Con la morte di Gheddafi e la fine del suo regime ha termine anche l’operazione Unified Protector. Per gli alti comandi alleati è giunto il momento di trarre le conclusioni su cosa abbia funzionato e cosa no, poiché l’operazione ha fornito l’opportunità di verificare le capacità di una forza NATO operante senza un predominante supporto USA. Senza Washington, il gigante NATO mostra in realtà di avere piedi d’argilla o, meglio, di non essere più capace di operare lontano dai propri confini
PROIEZIONE – Non serve a nulla avere un potente esercito se non posso farlo agire là dove serve. La proiezione (force projection) è la capacità di una nazione o di una coalizione di portare fisicamente le proprie forze là dove esse devono operare. Nel caso di Unified Protector tutto si riassumeva nella necessità di avere un sufficiente numero di aerei (caccia e cacciabombardieri) e altri velivoli (elicotteri) a distanza utile per colpire l’apparato militare di Gheddafi. Per fare questo sono necessarie navi portaerei, capaci di trasportare via mare i velivoli che non possono operare da lunga distanza. Senza portaerei tale capacità risulta compromessa e indipendentemente dai numeri “su carta” la forza effettivamente disponibile può ridursi sensibilmente.
SENZA NAVI? – Una volta ridotto l’impegno USA, le forze NATO, in particolare quelle europee, si sono trovate a corto proprio di portaerei. La Gran Bretagna ha decommissionato (mandato in pensione, preludio alla rottamazione) la sua ultima portaerei, la HMS Ark Royal, in Marzo. La Francia possiede un solo vascello di questo tipo, la Charles de Gaulle, mentre l’Italia è risultata essere la nazione meglio fornita, operando alternativamente la Cavour e la piccola Garibaldi. Tuttavia tre navi da sole non possono alloggiare un numero sufficiente di velivoli, oltre a non essere spesso in grado di ospitare cacciabombardieri delle nazioni alleate per questioni tecniche (lunghezza rampa di lancio, spazio fisico sulla nave…). Ciò che ha aiutato lo sforzo NATO è stata la relativa vicinanza della Libia all’Europa; è stato perciò possibile impiegare numerose basi sulla terraferma europea. Proprio l’Italia è risultata fondamentale sfruttando la sua posizione geostrategica di “portaerei naturale” al centro del Mediterraneo. Va detto però che tale soluzione era tutt’altro che ideale: le maggiori distanze coinvolte hanno comportato minore rapiditĂ di risposta alle richieste di intervento nel caso i velivoli non fossero giĂ in zona, oltre a un maggiore dispendio di carburante e minore tempo operativo per ogni apparecchio (causa necessitĂ di perdere tempo per andata e ritorno).
IL FUTURO – La situazione non appare destinata a migliorare, soprattutto a causa dei vasti tagli alla difesa operati dalle nazioni. La Gran Bretagna ha sì in progetto di introdurre due nuove portaerei (classe Queen Elizabeth), ma la prima verrĂ costruita solo nel 2013-14 e non è previsto venga armata per diventare operativa, mentre per la seconda si potrebbe attendere fino al 2020. La Charles de Gaulle è invece unica nel suo genere e il suo particolare design – poco efficiente – la obbliga a sottostare a lunghi periodi di manutenzione che la rendono inutilizzabile per circa il 35% del tempo; inoltre verrĂ sottoposta a un lunga revisione nel 2014. Durante tali periodi dunque la marina francese ne rimane – e rimarrà – priva. I piani per una nuova portaerei sono stati fermati dal Presidente Nicholas Sarkozy causa costi eccessivi e sono attualmente in fase di revisione – cosa che probabilmente posticiperĂ ulteriormente ogni nuova costruzione. L’Italia come detto è invece in migliori condizioni, avendo giĂ due navi che dunque possono alternarsi permettendo una presenza aeronavale costante. Tuttavia anche qui esistono nubi all’orizzonte: i cacciabombardieri Harrier a decollo verticale imbarcati sulla Garibaldi potrebbero andare fuori servizio fra qualche anno, e la nave non è adatta a ospitare altri tipi di velivoli alternativi ora nell’arsenale italiano.
SENZA MORDENTE – Che significa? In breve, la NATO e l’Europa senza gli USA rischiano di non poter più proiettare il proprio air power lontano da casa. Meno capacità di proiezione porta a minori possibilità di intervento, che a sua volta comporta un’inferiore rilevanza strategica e, in ultimo, una sempre minore influenza al di fuori dei propri confini e immediate vicinanze. Che succederebbe infatti in caso di crisi in luoghi molto più lontani di quanto fosse la Libia? Ottenere basi terrestri all’estero è sempre complicato e soggetto a difficili negoziati che potrebbero anche non avere successo. Anche qui o si impiegano le strutture USA oppure le prospettive appaiono buie.
Non solo: l’aiuto USA è stato comunque necessario per quanto riguarda altri aspetti. Per mantenere più a lungo i caccia in zona di operazioni si è provveduto a rifornirli in volo; peccato però che numerosi paesi siano privi di aerei cisterna o non ne abbiano a sufficienza, costringendoli così ad appoggiarsi a quelli dell’USAF. Analogamente la ridotta capacità degli aerei NATO di operare anche in condizioni meteorologiche sfavorevoli (soprattutto in caso di fitte nubi) e la ridottissima disponibilità di droni ed elicotteri d’attacco ha anche in questo caso costretto gli USA a mantenersi operativi fino all’uccisione del Colonnello, pena la profonda riduzione dell’intensità dell’operazione alleata. Tali problematiche sono state riconosciute dallo stesso Segretario Generale della NATO Anders Fogh Rasmussen e dal comandante di Unified Protector Generale Charles Bouchard.
FUTURO INCERTO – La NATO – e in generale l’insieme delle forze armate europee – ha dimostrato di essere un gigante con i piedi d’argilla. I tagli ai budget degli ultimi anni hanno ridotto considerevolmente le capacità operative e l’operazione Unified Protector ha mostrato come stia diventando sempre più difficile agire senza diretto intervento USA (che, per inciso, il loro coinvolgimento vorrebbero ridurlo per gli stessi motivi economici!). La situazione non è destinata a migliorare, rispecchiando in termini militari quella crisi di importanza globale che l’Europa sta ora affrontando anche in ambito economico e politico. Il problema appare ancora più rilevante se si pensa invece alle mosse di altri paesi extraeuropei (come la Cina) che stanno invece rafforzando le propria capacità di operare lontani da casa.
Lorenzo Nannetti