Miscela Strategica – Durante il periodo natalizio del 1914 – all’improvviso e in maniera spontanea – in qualche punto del fronte occidentale si cessò di combattere: la tregua durò il giorno di Natale o al massimo un paio di giorni senza influire sull’andamento generale della guerra.
Il fatto è noto, citato ed enfatizzato, forse mai approfondito in maniera adeguata se non negli ultimi anni dopo la comparsa del volume «Silent Night: The Story of the World War I Christmas truce» di Stanley Weintraub e la realizzazione di un film. Mentre tutta l’attenzione si rivolge a questo singolo episodio, sul fronte orientale – soprattutto tra tedeschi e russi – la ‘fraternizzazione’ dell’autunno 1917 fu invece fenomeno tutt’altro che isolato e raggiunse un livello inatteso, controllato con attenzione dai comandi tedeschi, quanto incoraggiato invece dai rivoluzionari bolscevichi. Non a caso, di li a poche settimane, fu firmato l’armistizio di Brest-Litovsk e nello stesso tempo la propaganda pacifista si imperniò sulla rivoluzione, intesa come scelta dal basso per uscire dal conflitto.
ACCETTAZIONE E RIFIUTO DELLA GUERRA – Probabilmente la questione della partecipazione popolare alla Grande Guerra costituisce ancora uno dei temi più discussi e controversi in quanto – è bene ricordarlo nuovamente – per estensione e coinvolgimento, essa costituì un evento epocale nella storia d’Europa. Data la vastità e complessità dell’argomento si sono succedute decine di interpretazioni contrastanti, ma alla base resta il semplice fatto che, sia pure per poche ore, il tritacarne della macchina bellica si fermò. La spiegazione di quest’improvvisa battuta d’arresto, in apparente contraddizione con l’entusiasmo manifestatosi pochi mesi prima nel momento dello scoppio della guerra, implica meccanismi che abbracciano una molteplicità di fattori personali e collettivi che comprendono cultura, sentimento religioso o convinzione ideologica e possono essere interpretati attraverso l’etologia umana, l’antropologia o la psicologia di massa.
La mobilitazione dei Paesi belligeranti si era svolta ovunque con successo non solo in senso tecnico, ma anche dal punto di vista del consenso popolare: a parte l’Inghilterra, che non disponeva di un esercito basato sulla coscrizione obbligatoria, in Francia e Germania il numero di disertori all’inizio delle ostilità fu praticamente trascurabile. Vi furono tuttavia in Russia delle eccezioni locali, mentre, ad esempio, anche in un impero plurinazionale e scricchiolante come quello asburgico, il richiamo al principio di nazionalità, che si era manifestato nel secolo precedente contro il soffocante sistema della duplice monarchia, non contrastò in maniera rilevante la mobilitazione. Naturalmente occorrerebbe operare una distinzione tra l’entusiasmo popolare spontaneo che accompagnò la partenza per il fronte (testimoniato da centinaia di immagini diffuse poi con uno scopo propagandistico preciso) e la semplice obbedienza dei sudditi o dei cittadini, ma la chiamata alle armi si svolse ovunque ordinatamente senza difficoltà. Nel prosieguo della guerra le situazioni tuttavia cambiarono, a cominciare proprio dall’episodio di Natale del 1914. Per iniziare qualche riflessione in generale sugli episodi di fraternizzazione bisognerebbe partire dalla descrizione delle ‘diversità’ non solo nazionali che si manifestarono durante il conflitto evolvendosi continuamente e ricordare inoltre che diserzioni o altri atti contrari alla guerra invece aumentarono progressivamente.
IL CONTROLLO SULLO SFORZO BELLICO TRA REPRESSIONE E PROPAGANDA – Difficile stabilire se la ‘tregua di Natale’ in sé abbia seriamente impensierito Governi e stati maggiori fino al punto di elaborare una strategia specifica per il caso o se i controlli per evitarla anche in altre forme fossero già iniziati prima a causa della necessità di imprimere la massima efficienza allo sforzo bellico. Detto in altre parole, agli occhi dei comandi, la fraternizzazione era essenzialmente un atto di grave indisciplina, pari alla disubbidienza, all’autolesionismo, alla diserzione, all’ammutinamento o alla propaganda sovversiva: impossibile quindi – in un quadro di guerra pressoché totale – consentire che episodi simili si verificassero e tanto meno se ne parlasse. I metodi per contrastare tali comportamenti furono fondamentalmente di due tipi: uno disciplinare e repressivo, basato sui tribunali militari, e uno basato sulla propaganda. Ambedue i sistemi non potevano dirsi del tutto nuovi perché la novità semmai consisteva nel numero enorme di combattenti da sorvegliare o da incitare alla lotta. La legge militare, la paura cioè di incorrere nelle pesanti sanzioni previste, sembrava un deterrente sufficiente e la propaganda, oltre che ribadire in ogni singolo belligerante la validità assoluta delle proprie ragioni di guerra, insinuava lentamente il dubbio che l’avversario non fosse da porsi allo stesso livello.
Per usare un’espressione abbastanza azzardata – in quanto nel corso della Grande Guerra non furono raggiunti i picchi di intensità propagandistica della Seconda, né si trattò di uno scontro ideologico – cominciò insomma un processo di lenta disumanizzazione dell’avversario, di rappresentazione distorta dello stesso in termini stereotipati o grotteschi, a volte subumani, tanto da far venir meno all’origine le possibilità o le ipotesi di intesa personale diretta. Una controprova evidente è l’osservazione più comune e diffusa in tanti diari di guerra o lettere nel momento della cattura di prigionieri nemici: la sorpresa – nel constatarne la similitudine (uniforme a brandelli, fame, magrezza, ferite o pidocchi) – o, al contrario, la conferma dei caratteri disumani, colti magari travisando lo sguardo pieno di paura del prigioniero appena catturato, di un nemico sconfitto e impaurito che non esprime per questo rabbia animalesca. La tregua di Natale del 1914 si svolge dunque in un momento in cui la pressione della guerra sui combattenti sta per innalzarsi a causa di una relativa stagnazione delle operazioni e la propaganda non ha ancora del tutto disumanizzato l’avversario.
IPOTESI ETOLOGICA E FATTORE UMANO – Nonostante repressione o propaganda, la fraternizzazione può manifestarsi in concreto in una situazione bellica e una possibile spiegazione è contenuta negli scritti di I. Eibl-Eibesfeldt (Etologia della guerra). La chiave del meccanismo si trova nella ‘conoscenza personale’ del nemico che tende a ridurre l’aggressività: «Per questo durante una guerra sono sempre emessi provvedimenti contro la fraternizzazione, che devono impedire che gli avversari si conoscano personalmente e si comportino in maniera amichevole». Conoscenza personale a parte, talvolta anche un semplice comportamento riconosciuto ‘comune e condiviso’ dai belligeranti può far scattare il riconoscimento del carattere umano dell’avversario fermando la normale aggressività bellica. Eibl-Eibesfeldt racconta in proposito un episodio accaduto sul fronte occidentale durante la Grande Guerra che è sotteso da questo comportamento: sul fronte dell’Aisne, una zona di colline aspre e boscose, durante le pause tra i combattimenti, un ufficiale tedesco, approfittando della nebbia, era andato a caccia nella cosiddetta ‘terra di nessuno’ con un proprio fucile e indossando un vistoso cappello da cacciatore. Levatasi all’improvviso la nebbia e rimasto allo scoperto, dalle linee francesi non erano partiti colpi di fucile, ma grida divertite che avevano salutato il tedesco augurando «Bonne chasse, Colonel! Bonne chasse!» Un episodio analogo è raccontato da Emilio Lussu: dopo un appostamento lungo e paziente, al momento di tirare il grilletto, l’austriaco nel mirino di Lussu si accende una sigaretta facendo scattare lo stesso desiderio ed impedendogli di sparare. Altri casi celebri di fraternizzazione si sono svolti ad esempio durante la guerra in montagna: sul fronte italo-austriaco era frequente la presenza di guide alpine di ambo i Paesi (e che probabilmente si conoscevano personalmente dall’anteguerra) e la cui professionalità alpinistica in alta montagna era indispensabile: ricordiamo a questo proposito il film di Louis Trenker «Berge in Flammen». Sebbene in guerra l’eliminazione in massa dell’avversario non crei dunque a volte eccessivi problemi (l’aviatore che sgancia una bomba), di fronte ad un gesto banale che umanizza il nemico si esita a varcare una determinata soglia.
IL PLACIDO DON E IL PARADOSSO DELLA GUERRA CIVILE – Sul fronte orientale, che nelle sue continue oscillazioni da est a ovest aveva coinvolto un’area sconfinata dal Baltico al mar Nero e dove si erano affrontati per tre lunghi anni austriaci, tedeschi e russi, il momento critico delle fraternizzazioni si ebbe tra la fine dell’estate del 1917 e lo scoppio della Rivoluzione d’ottobre: comportamenti e motivazioni furono però ben diversi da quelli del Natale 1914. Sebbene il romanzo di Solochov costituisca una fonte letteraria (scritta quasi ‘a caldo’, cioè una decina di anni dopo gli avvenimenti), resta una testimonianza utile per capire dimensioni e aspetti del fenomeno. Altri eventi narrati dalla letteratura della Grande Guerra sul tema derivano a loro volta da autori come John Reed o da episodi riportati nelle memorie di personalità come i generali ‘bianchi’ Krasnoff o Vrangel.
Tutte queste fonti disparate e di opposti orientamenti confermano tuttavia rilevanza del fenomeno, dimensioni e diffusione. In generale le modalità erano semplici: dalle trincee russe erano eretti cartelli o striscioni inneggianti alla pace, un gruppo di soldati attraversava la terra di nessuno per ‘incontrare’ i tedeschi e per ‘fare la pace’ direttamente con strette di mano. Un comitato di delegati esprimeva il proprio saluto e scambiato un po’ di cibo (per la verità poco, mentre più abbondanti sembrano le sigarette) o qualche altro oggetto, il cerimoniale si concludeva con il rientro soddisfatto della delegazione alle proprie linee. Le unità militari russe erano praticamente in dissoluzione: ai comandanti zaristi – ai quali seguirono quelli di Kerensky, all’epoca della tentata offensiva del Governo provvisorio – si erano sostituiti i consigli dei soldati e il grido che si levava ovunque era «Pace e pane». Il vero e proprio paradosso si verificò in seguito: nonostante i soldati russi che avevano fraternizzato coi tedeschi alla ricerca della pace fossero più o meno gli stessi, una volta che si trovarono a combattersi tra loro, ‘divisi’ tra bianchi o bolscevichi all’interno di uno scontro ideologico, il livello di disumanità – soprattutto nel trattamento dei feriti dei prigionieri – toccò un picco elevato, caratteristico della violenza che si scatena nelle guerre civili o religiose. In questa particolare situazione di conflitto la fraternizzazione solitamente tende a scomparire del tutto.
IL PENDOLO DELLA GUERRA – Allontanandoci dal fenomeno della fraternizzazione, della quale abbiamo visto sinteticamente due diversi modelli, per concludere l’argomento dovremmo ora considerare l’andamento generale della guerra delineando una curva immaginaria che descriva picchi e cadute dell’accettazione o del rifiuto dall’agosto 1914 al novembre 1918: indubbiamente il rapporto tra questi elementi fu stretto (quanto difficile da cogliere anche per una relativa novità dell’oggetto di studio) e i sentimenti collettivi cambiarono in relazione a questo andamento. All’accettazione della mobilitazione seguì una fase di stagnazione; il consenso si trasformò in dubbio agnostico e l’attesa divenne incerta. Dopo il fallimento della grandi offensive tra 1916 e il 1917 – e dopo il crollo dell’illusione della ‘guerra breve’ durata fino al 1915 – lo scoramento vero e proprio si trasformò in ammutinamenti in Francia e in rivoluzione in Russia. A questo quadro generale sono da aggiungere anche condizioni locali: ad esempio la scomparsa di Francesco Giuseppe nel novembre 1916 – nonostante l’età avanzata – produsse effetti collettivi di preoccupazione per il futuro, soprattutto in un impero che da quasi settant’anni si era autorappresentato nel longevo sovrano.
Infine, nonostante la propaganda politica tedesca abbia sempre mantenuto l’immagine di un fronte interno solido e compatto, nel 1917, nella guarnigione navale di Wilhelmshaven, si verificò un ammutinamento seguito da decine di fucilazioni. E pochi sanno che ad esempio perfino in un reparto britannico stazionato nel Kent nel giugno del 1917 fu proclamato un soviet di soldati e lavoratori. Naturalmente si tratta di fatti l’uno diverso dall’altro e con origini e contesti diversi, ma la coincidenza del 1917 resta tuttavia singolare. Il rifiuto lentamente divenne quindi attivo. Ma solo in una situazione già gravemente compromessa politicamente e militarmente come quella russa si trasformò in rivoluzione. Solo a partire dalla rivoluzione russa però la propaganda ebbe un ruolo rinnovato nello sforzo bellico delle potenze occidentali, una sorta di rimobilitazione. Uno sforzo enorme in quanto, prima del crollo tedesco, le potenze occidentali erano quasi rassegnate che solo una grande offensiva prevista nella primavera del 1919 avrebbe avuto ragione definitivamente delle potenze centrali.
Giovanni Punzo
[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in più
Per la realizzazione di questo articolo, l’autore si è avvalso di un’ampia bibliografia che vale la pena proporre come consiglio di lettura per gli appassionati:
- Ashworth, Tony: Trench warfare, 1914-1918: the live and let live system, New York 1980: Holmes & Meier.
- Ziemann, Benjamin: War experiences in rural Germany, 1914-1923, Oxford; New York 2007: Berg.
- Saint-Fuscien, Emmanuel: À vos ordres? La relation d’autorité dans l’armée française de la Grande guerre, Paris 2011: Editions de l’École des hautes études en sciences sociales.
- Wildman, Allan K.: The end of the Russian imperial army, Princeton 1980: Princeton University Press.
- Cochet, François: Survivre au front, 1914-1918: les poilus entre contrainte et consentement, Saint-Cloud (Hauts-de-Seine) 2005: 14-18 Editions.
- Jahr, Christoph: Gewöhnliche Soldaten: Desertion und Deserteure im deutschen und britischen Heer 1914-1918, Göttingen 1998: Vandenhoeck & Ruprecht.
- Oram, Gerard: Military executions during World War I, Houndmills; Basingstoke; Hampshire; New York 2003: Palgrave Macmillan.
- Loez, André / Mariot, Nicolas / Collectif de recherche et de débat international sur la guerre de 1914-1918 (France) (eds.): Obéir, désobéir: les mutineries de 1917 en perspective, Paris 2008: Éd. la Découverte.
- Mariot, Nicolas: Tous unis dans la tranchée? 1914-1918, les intellectuels rencontrent le peuple, Paris 2013: Éd. du Seuil. Loez, André: 14-18 les refus de la guerre: une histoire des mutins, Paris 2010: Gallimard.
- Pluviano, Marco / Guerrini, Irene: Le fucilazione sommarie nella prima guerra mondiale, Udine 2004: Gaspari.
- Bach, André: Fusillés pour l’exemple: 1914-1915, Paris 2003: Tallandier.
- Sheffield, Gary D.: Leadership in the trenches: officer-man relations, morale, and discipline in the British Army in the era of the first World War, New York 2000: St. Martin’s Press.
- Bianchi, Bruna: La follia e la fuga: nevrosi di guerra, diserzione e disobbedienza nell’esercito italiano, 1915-1918, Rome 2001: Bulzoni.
- Offenstadt, Nicolas: Les fusillés de la Grande guerre et la mémoire collective, 1914-1999, Paris 1999: O. Jacob.
- Strachan, Hew: Training, morale and modern war, in: Journal of Contemporary History 41/2, 2006, pp. 211-227,
- Watson, Alexander: Enduring the Great War: combat, morale and collapse in the German and British armies, 1914-1918, Cambridge; New York 2008: Cambridge University Press. [/box]