Il Giro del Mondo in 30 Caffè 2012 – Un piccolo viaggio attraverso la lunga stagione del 2011 nel mondo arabo; un anno per molti versi glorioso, e per molti altri tragico. Un anno indubbiamente turbolento e di svolta per una parte del mondo importante sotto il punto di vista politico, economico, demografico. La grande onda del cambiamento ha colpito alcuni paesi e altri no, ma non ha certo esaurito la sua spinta. Il pericolo della risacca è però ancora forte.
INVERNO – Correva l’anno 2011 e i primi segni della lunga primavera araba che si sarebbe protratta per tutto l’anno, arrivarono dirompenti in Tunisia, poi in Egitto, poi negli altri paesi. Dal Maghreb all’Egitto, dal Mashreq alla Penisola Araba, il contagio rivoluzionario si propagava assumendo nei singoli stati caratteristiche proprie, per il carattere delle rivendicazioni e l’intensità, per le reazioni dei regimi e le soluzioni raggiunte. La rapidità e l’imprevedibile concatenamento degli eventi, dal suicidio di un giovane tunisino alla fine cruenta del rais libico, dalla cacciata di Ben Ali e Moubarak all’infiammarsi della Siria e dei piccoli stati petroliferi, hanno fatto nascere la speranza e l’illusione di un futuro immediatamente roseo in tutta la regione. E’ molto probabile che queste fossero le aspettative degli osservatori occidentali che si trovano sempre molto a disagio quando poi i partiti di ispirazione musulmana raccolgono un forte consenso elettorale come è accaduto nelle elezioni in Tunisia, Marocco e Egitto. Ma erano soprattutto le speranze dei rivoluzionari che hanno mostrato un’immagine laica, giovane, moderna, mediatica e tecnologica e che ora, ad un anno di distanza, sono ben coscienti della necessità di non abbassare la guardia per non rivivere inverni rigidi.
TRA RIVOLUZIONE E CONTRORIVOLUZIONE – E’ questo soprattutto il caso di Tunisia ed Egitto, laddove si può parlare di vere e proprie rivoluzioni e tentativi di controrivoluzione. Negli altri paesi il processo sembra aver avuto fuochi di paglia, accelerate, frenate e normalizzazioni, come in Bahrein, Algeria, Marocco, Giordania. Due realtà a parte sono rappresentate da Libia e Siria. Se in Egitto, Tunisia e Yemen le rivoluzioni hanno pagato un prezzo relativamente poco caro in termini di vite umane anche perché le polizie e gli eserciti dopo un po’ di esitazione sono passati nel campo dei rivoltosi e hanno accompagnato le rivoluzioni fino alla caduta dei raìs, in Libia e Siria ci si è trovati di fronte a due regimi molto duri e determinati che avrebbero portato inevitabilmente alla guerra civile. Il prezzo di circa 15.000 vittime in Libia proviene da una lotta di liberazione in un paese praticamente senza istituzioni e fortemente tribale che ha fatto della primavera una lotta tra bande con l’intervento decisivo della Nato. Quanto alla Siria il quadro ancora incerto mostra da una parte un nocciolo duro del regime che instaura un terrore di stato spietato e la tenacia del popolo siriano nei confronti della dura repressione.
LE GRANDI NAZIONI DEL NORDAFRICA – Nei due grossi paesi del Maghreb, Marocco ed Algeria, la primavera è stata un po’ più fredda. In Algeria l’ancien régime non ha vacillato. In febbraio 2011 alcuni sommovimenti hanno spinto le autorità a togliere lo stato d’emergenza in vigore da 19 anni, ma le forze armate e i servizi di sicurezza non hanno ceduto né hanno subito attenzioni e pressioni da parte della comunità internazionale. Gli osservatori attribuiscono questa situazione al fatto che gli algerini conservano un ricordo doloroso degli eventi degli anni ’90 e del conflitto tra il regime e gli islamisti radicali, che la grigia classe dirigente da cinquant’anni dimostra fermezza e compattezza nella gestione del tesoro petrolifero e che la comunità internazionale e soprattutto la Francia si sono tenute in disparte. La vita democratica algerina avrà una verifica molto importante con le elezioni legislative del prossimo maggio, il cui esito si prevede vedrà anche qui la vittoria degli islamisti moderati. In Marocco, come anche in Giordania con re Abdellah II, la monarchia ha avuto l’abilità di rispondere immediatamente alle richieste della piazza. Il re Mohamed VI dopo le prime manifestazioni ha temporeggiato soltanto due giorni prima di annunciare delle riforme costituzionali. Il 20 febbraio 2001 a Casablanca, Rabat e in altre città migliaia di persone manifestavano contro la corruzione e per la limitazione dei poteri della monarchia, si verificavano incidenti gravi e qualche vittima. Il 22 febbraio sia il primo ministro sia il re annunciavano tempestivamente riforme e cambiamenti nelle politiche del paese. Uguale atteggiamento dimostrava il re giordano durante le fasi più convulse. Alcuni mesi dopo Mohamend VI favorisce un progetto di riforma costituzionale che sottopone a referendum nel luglio 2011 e che ottiene un consenso plebiscitario. La nuova carta prevede, senza troppo osare, qualche passo in avanti verso una monarchia costituzionale. Le successive elezioni legislative anticipate di novembre 2011 vedono la vittoria schiacciante del partito islamico moderato PJD (Parti de la Justice et du Développement) il cui leader Abdelilah Benkirane, assume la carica di primo ministro e insedia il nuovo governo. In definitiva in Marocco la primavera non è stata altro che una breve stagione del progetto che ormai da anni il re Mohamend VI porta avanti e cioè di concessioni lente e graduali. Ora tutto è alla prova dell’azione di questo nuovo governo per la prima volta in Marocco con una maggioranza parlamentare di ispirazione religiosa.
LA PENISOLA ARABA – In Bahrein la primavera non ha avuto che qualche sussulto immediatamente soffocato da una dura repressione grazie all’aiuto degli stati confinanti. Il 14 febbraio 2011, giorno di festa a Manama e nel resto del paese per il nono anniversario della transizione da emirato autocratico a monarchia costituzionale ad opera del principe Hamad Ibn Issa numerosi manifestanti di confessione sciita, nel paese la maggioranza della popolazione, scendono in piazza per chiedere le riforme democratiche che lo stesso monarca aveva messo in cantiere. La repressione è dura e senza l’aiuto militare del re dell’Arabia Saudita la crisi avrebbe potuto far vacillare prepotentemente il regime di Hamad Ibn Issa che fino a quel momento godeva di una forte popolarità nel mondo arabo per le sue idee progressiste. A parte il caso dello Yemen di una forte lotta tra ribelli e il regime di Saleh, negli altri paesi della Penisola qualche soffio di primavera ha spirato, persino in Arabia Saudita, ma queste realtà presentano ancora una forte impermeabilità a trasformazioni repentine.
COSA VIENE DOPO LA PRIMAVERA? – Ogni paese del mondo arabo nordafricano e arabo mediorientale ha potuto risvegliarsi ognuno nella propria primavera durante il 2011. Ora la realtà dovrà fare i conti con i tentativi controrivoluzionari, con l’opportunismo politico, con le possibile alleanze reazionarie senza dimenticare il ruolo che potrà giocare l’esercito. Nonostante le incertezze, gli errori commessi e i timori il fatto nuovo nel mondo arabo è stata l’esperienza di pluralismo, il dibattito, il rischio anche fisico, la domanda di libertà che le popolazioni hanno vissuto e che sperano ancora di vivere, possibilmente con un clima dolce.
Rocco Troisi