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A occhi aperti

Le recensioni del Caffè – “Questo non è un libro sulla fotografia ma sul giornalismo, sull’essenza del giornalismo: andare a vedere, capire e testimoniare.” Così recita Mario Calabresi nelle prime pagine della sua opera dedicata a dieci fotoreporter, che con i loro scatti hanno lasciato nella nostra memoria immagini indelebili degli ultimi cinquant’anni di storia

Attraverso le interviste a Steve McCurry, Josef Koudelka, Don McCullin, Elliott Erwitt, Paul Fusco, Alex Webb, Gabriele Basilico, Abbas, Paolo Pellegrin e Sebastião Salgado, Calabresi si interroga sul senso del racconto giornalistico, che non può limitarsi ad osservare il mondo dall’alto, restando a guardare dai margini comodi e sicuri. Per raccontare una storia umana bisogna immergersi, abbracciare la realtà che si vuole riportare fino in fondo, finché essa non penetra sin dentro la pelle e le ossa e si diventa parte della storia stessa.
E’ così che Mc Curry racconta di aver vinto quattro World Press immortalando i monsoni in India negli anni Ottanta. A Porbandar si immerse fino al petto per quattro giorni in un fiume marrone, tra corpi galleggianti di animali morti, con la macchina fotografica alta sopra la testa. E’ così che Sebastião Salgado racconta sia nato il suo progetto “In cammino”, un viaggio di sette anni per testimoniare un’umanità in fuga. Attraverso le sue foto abbiamo potuto conoscere le conseguenze del genocidio ruandese; ma a che prezzo? La violenza e la morte che Salgado vive nei campi profughi lo fanno ammalare al punto da decidere di lasciare la fotografia: “aveva troppa morte dentro”, gli dissero i medici al suo ritorno.
[box type=”shadow” align=”alignright” ][/box]E’ grazie alle foto di Koudelka che abbiamo ancora vivide nella nostra mente le immagini della repressione della Primavera di Praga e grazie a quelle di Abbas la rivoluzione di Komeini in Iran. Basilico e McCullin ci hanno permesso di vedere con i loro occhi la distruzione di Beirut e la guerra civile in Libano. Erwitt e Fusco ci hanno trasmesso il dramma dei funerali di John Kennedy e il lungo tributo d’addio che accompagnò il viaggio del feretro del fratello Bob. Webb ci ha mostrato la tragedia dell’immigrazione clandestina attraverso il confine tra Messico e Stati Uniti e lo scatto piĂą incredibile degli attacchi terroristici dell’11 settembre.
Forse questo non è da considerarsi nĂ© un libro sulla fotografia nĂ© sul giornalismo, ma un luogo d’incontro tra parole e immagini che si fondono per raccontarci i momenti in cui la storia si è fermata in una foto.

Martina Dominici

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Martina Dominici
Martina Dominici
Instancabilmente idealista e curiosa per natura, il suo desiderio di scoprire il mondo l’ha spinta a studiare lingue straniere presso l’Università Cattolica di Milano e relazioni internazionali tra l’Università di Torino e la Zhejiang University di Hangzhou. Le esperienze lavorative presso l’Ambasciata d’Italia a Washington DC e Confindustria Romania a Bucarest hanno contribuito a forgiare il suo spirito girovago e ad affinare la sua arte nel preparare la valigia perfetta. Dopo quasi due anni di analisi strategica, si è occupata di ricerca per l’Asia Program dell’ISPI, prima di partire per la Thailandia come Casco Bianco per Caritas italiana in un programma di supporto ai migranti birmani. Continua ad essere impegnata nell’umanitario in campo di migrazioni.

 

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