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Nuove rotte nel Pacifico

Il 2012 ha condotto alcune novità nell’equilibrio del Pacifico meridionale. L’avvicendamento al Foreign Office australiano potrebbe essere il prodromo all’allentamento dell’intransigenza di Canberra verso le Fiji, linea che gli USA hanno mostrato di non approvare. Washington, infatti, ha scelto di dialogare con la giunta militare, mentre la Cina, migliore amica del presidente Bainimarama, ottenuta la certezza dell’interruzione dei rapporti delle Isole con Taiwan, preferisce non forzare i toni. A dominare, quindi, è il realismo politico, allo scopo di rendere neutra una regione certo strategica, ma, al momento, secondaria rispetto al Pacifico centro-settentrionale.

AUSTRALIA: INDIETRO TUTTA – A inizio marzo, in seguito a una crisi interna alla maggioranza laburista australiana, il ministro degli Esteri, Kevin Rudd, è stato sostituito con Bob Carr, politico esperto, ma accusato di eccedere con la cosiddetta megaphone diplomacy, ossia di indugiare troppo spesso in dichiarazioni forti tramite i media. Fra i primi obiettivi del nuovo membro del governo c’è la volontà di coordinarsi con i neozelandesi per tentare di ricostruire un fronte compatto nel Pacifico meridionale. In particolar modo, a preoccupare Carr è la gestione dei rapporti con le Fiji, in un periodo nel quale Stati Uniti e Cina sembrano propensi a mutare l’atteggiamento nei confronti dell’arcipelago. Se, infatti, fino ad adesso l’Australia ha scelto la completa chiusura nei confronti della dittatura di Frank Bainimarama, da parte loro, Pechino e Washington, seppur con modalità ed esiti diversi, hanno avviato una mediazione con il Paese in un’ottica più realista.

IL GIOCO NON VALE LA CANDELA – La Cina si avvicinò alle Fiji sin dal colpo di Stato del 2006, rafforzando poi la cooperazione al momento della sospensione delle garanzie costituzionali nel 2009, quando le Isole si trovarono pressoché istantaneamente sole, sospese dal Commonwealth e dagli organi internazionali del Pacifico meridionale. L’interesse di Pechino era volto a due scopi: ottenere una base d’appoggio rilevante nella regione per la ricerca di materie prime, ed evitare che Bainimarama intrattenesse relazioni con Taiwan. Tuttavia, raggiunta la certezza che le Fiji avrebbero riconosciuto formalmente soltanto la Repubblica Popolare, i cinesi, pur rimanendo senza dubbio i migliori amici della giunta militare, hanno cominciato, dalla fine del 2011, ad allentare la pressione, considerando controproducente inasprire i rapporti con Stati Uniti e Australia per mantenere la posizione nel Paese.

REALISMO MADE IN USA – Washington ha mostrato segni di insofferenza verso la rigida politica di Canberra, basata su sanzioni e interruzione delle relazioni diplomatiche. L’Amministrazione Obama, infatti, ha preferito intraprendere un dialogo diretto con Bainimarama ispirato dalla previsione dei vantaggi negli ambiti della sicurezza e della lotta alla criminalità che l’apertura nei confronti delle Isole Fiji avrebbe potuto condurre, senza contare la necessità statunitense di riaffermare la propria presenza nel Pacifico meridionale. Lo sguardo di Washington verso l'arcipelago sembra cambiato anche in virtù della ridefinizione del sistema di sicurezza e difesa globale, ora maggiormente concentrato sulle questioni orientali e sul contrasto alle egemonie regionali emergenti.

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FIJI 2014 – L’attività delle potenze si intensificherà in vista delle elezioni del 2014: Bainimarama, infatti, di per sé è poco propenso a rispettare la scadenza del mandato, ma è consapevole che il futuro delle Fiji sarà condizionato dalla sua condotta verso le opposizioni. Il percorso che intraprenderanno le Isole, cioè la scelta del Presidente tra concessioni più o meno ampie e accentuazione dei caratteri dittatoriali, modificherà la linea strategica degli Stati coinvolti nell’area. L’Australia, infatti, potrà rivendicare l’efficacia del proprio operato solo qualora le Fiji si inoltrassero sulla via democratica: coesistenza di forze partitiche, elezioni regolari e pacificazione delle tensioni interetniche sarebbero una vittoria per l’intransigente Canberra. Tuttavia, qualora Bainimarama non potesse, oppure non volesse, aprire eccessivamente alle istanze dei dissidenti, gli australiani si troverebbero nella posizione più difficile, stretti in una situazione ambigua che delegittimerebbe la politica verso le Fiji e, forse, addirittura, il sistema strategico del Paese, poiché Cina e USA continuerebbero a perseguire una linea conciliante.

OBIETTIVO STATUS QUO – A meno che Bainimarama non concentri drasticamente il potere nelle proprie mani, è evidente che Washington e Pechino trarranno vantaggio da qualsiasi forma di normalizzazione, al contrario dell’Australia. Per questo motivo, anche gli Stati Uniti sono disposti a subordinare le misure di Canberra e la risoluzione delle criticità interne figiane alla stabilità della regione. Considerata la partita che si disputa nel Pacifico centro-settentrionale, infatti, nessuno ha interesse a rischiare l’apertura di un fronte di dissidio per le Fiji: l’obiettivo, adesso, è soltanto mantenere l’equilibrio, neutralizzando progressivamente i possibili focolai di tensione.

Beniamino Franceschini [email protected]

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Beniamino Franceschini
Beniamino Franceschini

Classe 1986, vivo sulla Costa degli Etruschi, in Toscana. Laureato in Studi Internazionali all’UniversitĂ  di Pisa, sono specializzato in geopolitica e marketing elettorale. Mi occupo come libero professionista di analisi politica (con focus sull’Africa subsahariana), formazione e consulenza aziendale. Sono vicepresidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del desk Africa. Ho un gatto bianco e rosso chiamato Garibaldi.

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