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Effetto domino?

Dopo il Mali, anche la Guinea Bissau cade sotto un golpe dei militari, che giovedì hanno arrestato il presidente ad interim, Pereira, e il primo ministro Carlos Gomes, candidato favorito alle elezioni del 29 aprile. Dietro agli eventi, la difesa da parte dell’esercito dei privilegi derivanti dalla posizione di forza acquisita negli anni e dal traffico di stupefacenti: secondo le stime ONU, circa il 60% della cocaina diretta al mercato europeo transita dalla Guinea Bissau, trasformando il Paese in un “narcostato” piegato da corruzione e malaffare. Nei giorni precedenti l’arresto, il presidente Gomes potrebbe aver chiesto sostegno all’Angola: nessuno, tuttavia, intende intervenire in Guinea e scontrarsi apertamente anche con i trafficanti di droga

IL COLPO DI STATO – A tre settimane dagli eventi in Mali, adesso è la Guinea Bissau a subire un golpe per opera dei militari. Secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, e in seguito confermato da fonti dirette, nella notte di giovedì, l’esercito ha messo agli arresti il capo dello Stato, Raimundo Pereira, e il primo ministro Carlos Gomes jr., candidato favorito al secondo turno delle elezioni presidenziali del 29 aprile. Dietro il colpo di mano delle Forze Armate, tuttavia, ci sono motivazioni piuttosto complesse, strettamente connesse alle vicende storiche del Paese. GUINEA BISSAU: UN “NARCOSTATO” – L’aspetto fondamentale da tenere in considerazione è che, negli ultimi anni, la Guinea Bissau è diventata un vero e proprio “narcostato”, un hub internazionale della droga che dall’America meridionale è diretta verso l’Europa. Le Nazioni Unite hanno stimato che circa una tonnellata di cocaina transiti ogni notte nel Paese, cosicché si ritiene che dalla Guinea passi il 60% dello stupefacente consumato nel vecchio continente, per un valore complessivo prossimo ai 20 miliardi di dollari. La droga arriva per via aerea in un arcipelago disabitato di fronte alle coste guineane, e da lì è spedita verso i mercati di destinazione. Nel Paese operano alcuni tra i più noti narcotrafficanti sudamericani, i quali, corrompendo ampi settori della vita pubblica, sono riusciti a ottenere il controllo totale della Guinea Bissau. I maggiori beneficiari del commercio di droga, tuttavia, sono stati i militari, che hanno accresciuto ulteriormente il proprio potere, di per sé già rilevante, sfuggendo al controllo del governo e cominciando ad agire autonomamente. Nel marzo del 2011, l’allora presidente Malam Bacai Sanhà, morto lo scorso gennaio, chiese l’intervento di un’altra ex colonia portoghese, l’Angola, per riorganizzare le Forze Armate guineane, ma i risultati furono pressoché nulli. I militari, infatti, sono stati protagonisti di vari colpi di Stato dal 1974 (anno dell’indipendenza) a oggi, non ultimi quelli del 2009, nel quale fu ucciso il presidente Tagmè Na Waiè, e del 2010, che vide la deposizione dello stesso Carlos Gomes.

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IL PUGNO DI FERRO DEI MILITARI – L’esercito ha giustificato il golpe di giovedì citando presunti accordi che il primo ministro avrebbe stretto con l’Angola per l’invio di un contingente in sostegno al governo. Le forze di Luanda sarebbero dovute intervenire eliminando le figure chiave dei militari guineani e riportando le truppe sotto controllo. Questo sarebbe dovuto accadere nelle imminenze del secondo turno, adesso annullato, delle elezioni presidenziali, che il 29 aprile avrebbe contrapposto Carlos Gomes jr. al capo dell’opposizione Kumba Yala, candidato comunque deciso a boicottare le consultazioni per protesta contro i molteplici brogli. Non è ancora certo se effettivamente esistesse un piano già definito per l’intervento di Luanda, anche se probabilmente duecento soldati angolani di stanza in Guinea erano stati preallertati. I militari hanno agito temendo di perdere la posizione di preminenza acquisita negli anni e grazie al commercio di droga: nel loro intento non hanno incontrato alcuna resistenza, poiché il governo non era assolutamente in grado di mantenere la situazione sotto controllo. TRISTI PROSPETTIVE – Venerdì, l’esercito ha comunicato che Pereira e Gomes sono in ottime condizioni e che, nei prossimi giorni, sarà costituito un governo di unità nazionale che avrà al proprio interno alcuni esponenti militari. Riguardo al Primo Ministro, la scelta potrebbe ricadere su Kumba Yala, ma è difficile prevedere se egli, già deposto dai soldati nel 2003, riuscirà a trovare un accordo che gli garantisca una qualche libertà di movimento. A esser certo, comunque, è che la Guinea Bissau potrebbe essere lasciata pressoché sola, poiché, da un lato, l’ECOWAS, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, è già esposta in Mali, e non è politicamente, né militarmente capace, al momento, di intervenire; dall’altro, l’Angola non ha intenzione di agire con decisione in una campagna che comporterebbe notevoli spese e nessun vantaggio. Un’operazione della comunità internazionale, infine, dovrebbe necessariamente scontrarsi anche con il fenomeno del traffico di droga, aprendo scenari troppi ampi e irrisolvibili nel breve periodo, anche se le Forze Armate portoghesi sono in stato di allerta. Per la Guinea, purtroppo, non c’è alternativa oltre l’instabilità forzata. Beniamino Franceschini [email protected]

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Beniamino Franceschini
Beniamino Franceschini

Classe 1986, vivo sulla Costa degli Etruschi, in Toscana. Laureato in Studi Internazionali all’UniversitĂ  di Pisa, sono docente di Geopolitica presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Pisa. Mi occupo come libero professionista di analisi politica (con focus sull’Africa subsahariana), formazione e consulenza aziendale. Sono vicepresidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del desk Africa.

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