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Cosa ci fanno navi cinesi nel Mediterraneo?

La Cina esce dal suo perimetro regionale e manda le sue navi nelle acque del Mediterraneo per una esercitazione congiunta con la Russia. Obiettivo ufficiale dell’operazione Interazione in mare 2015 “aumentare la capacitĂ  di risposta alle minacce alla sicurezza marittima”

INTERVENTISMO CINESE? – Se può essere prematuro parlare di neo interventismo cinese, di certo il ruolo della Cina sulla scena mondiale politico-militare sta cambiando per andare oltre la retorica pacifista della non interferenza. Potrebbe essere proprio il Mediterraneo, una delle aree piĂą turbolente al mondo, lontano da casa e lontano dai centri di riferimento strategici della Cina, il terreno prescelto per dare il via al nuovo corso della politica estera cinese.  Si tratta di un quadro complesso se si considera il deterioramento delle relazioni della Russia con l’Occidente per la vicenda ucraina e le rivendicazioni territoriali di Pechino nei confronti dei “vicini”, nel Mar cinese meridionale.
Anche se i timori sulla nascita di un nuovo asse autoritario sino-russo non vanno sottovalutati, le motivazioni delle presenza cinese nel Mediterraneo sono tuttavia piĂą complesse e riflettono la coesistenza di interessi economici e di considerazioni strategiche, sono solo in parte funzionali alla realizzazione dei primi.

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Fig. 1 – La fregata cinese Yancheng, all’ancora nel porto cipriota di Limassol

OBIETTIVI ECONOMICI – Di recente la Cina ha scalzato gli Stati Uniti dal primo posto nella classifica dei Paesi importatori di petrolio. Malgrado gli sforzi fatti da Pechino per diversificare i fornitori di greggio, puntando in particolare su Africa e Asia centrale, la dipendenza dell’economia cinese dai Paesi mediterranei e in generale da tutta l’area MENA (Middle East and North Africa) continuerĂ  ancora a lungo. Questo rende la Cina particolarmente vulnerabile alle dinamiche geopolitiche e alle condizioni di sicurezza di una delle aree piĂą instabili al mondo. I flussi commerciali Europa –  Cina transitano attraverso il Golfo di Aden e il Canale di Suez, il che rende estremamente importante per la Cina poter contare su collegamenti garantiti e rotte di navigazione sicure.
Negli ultimi anni la Cina ha sviluppato notevolmente la sua presenza nel Mediterraneo, come del resto, e ancor più, in tutto il continente africano. Durante le Primavere arabe, anche se con qualche ambiguità, Pechino si è mossa nel solco della tradizione non interventista,  mantenendo un approccio multilaterale anche rispetto a Siria e Libia. Tuttavia, ha pagato un prezzo alto in termini di perdite economiche. Negli ultimi anni la Cina è dovuta intervenire più  volte con operazioni di salvataggio dei propri lavoratori. In Libia, dove prima del 2011 gli investimenti cinesi ammontavano a circa 20 miliardi di dollari,  più di 35mila lavoratori cinesi sono stati evacuati a seguito delle violenze scoppiate con la fine del regime di Gheddafi. Più di recente nello Yemen, dopo l’intervento armato saudita, in Nigeria e in Sud Sudan.

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Fig. 2 – Cittadini cinesi evacuati dalla Libia nel 2011

Tuttavia è rimasto invariato il paradigma per cui è la geoeconomia a determinare la geopolitica della diplomazia cinese. Tanto nell’Egitto di Morsi che in quello di al-Sisi, Pechino ha continuato pragmaticamente ad iniettare liquidità e ad investire in progetti nel settore dell’energia, dell’agricoltura, delle comunicazioni e nel potenziamento infrastrutturale del Paese, in particolare dell’area del canale di Suez. Non meno forte la presenza in Algeria, con cui Pechino ha siglato alla fine dello scorso anno un partenariato strategico-globale quinquennale e dove sono presenti circa 40mila operai cinesi impegnati nel settore energetico-petrolifero ed in quello edilizio.

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Fig. 3 – Visita a Pechino del Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi nel dicembre 2014

OBIETTIVI STRATEGICI – Pur restando il Pacifico il fulcro dei suoi interessi strategici e militari, la presenza militare della Cina in acque europee è rilevante, innanzitutto da un punto di vista simbolico. Un’esercitazione navale nel Mediterraneo, anche se di piccola dimensione (in tutto si tratta di dieci navi), è una cosa da grandi potenze. La fortissima instabilitĂ  dell’area mediterranea, su cui pesa piĂą di ogni altra la minaccia del fondamentalismo islamico in funzione anti-occidentale, e rispetto alla quale gli attori esterni dimostrano scarsa capacitĂ  o volontĂ  di intervento, preoccupa non poco la diplomazia di Pechino.
Tutto questo per due ordini di ragioni. Gli obiettivi strategici della Cina nel Mediterraneo sono strettamente collegati alla realizzazione delle nuova Via della Seta, che nella duplice versione della Silk Road e della Maritime Silk Road collegherà la Cina con il Golfo Persico e il Mediterraneo attraverso l’Asia centrale e l’Oceano indiano. Una rete fittissima di connessioni terrestri e marittime uniranno tre continenti a conferma delle ambizioni di cinesi di restituire al “Middle Empire”, la sua antica vocazione di centro mondiale di scambi commerciali e culturali.

chinese navy foto

Fig. 4 – Un elicottero della Marina cinese in visita a Malta

La creazione di insediamenti portuali in Africa, Medio Oriente e Asia sud orientale consentirà al petrolio cinese di evitare la “maledizione dello stretto di Malacca”. La Via della Seta Marittima arriverà al Mediterraneo attraverso lo stretto di Suez, dove Pechino partecipa alla realizzazione del nuovo canale di Suez, un progetto che raddoppierà la capacità di transito dello stretto. Va da sé che la stabilità del Mediterraneo è essenziale per la realizzazione della Maritime Silk Road.
Il Mediterraneo preoccupa la Cina anche per un’altra ragione. Il caos politico dell’area potrebbe facilmente avere un effetto a macchia d’olio arrivando a lambire zone molto più vicine, perfino interne alla Cina stessa. La minaccia di possibili connessioni tra l’estremismo islamico e i movimenti separatisti della provincia dello Xinjiang non è mai sottovalutata dalle autorità cinesi.
C’è il fattore Stati Uniti tra le ragioni della uscita cinese nel Mediterraneo. Schierandosi con la Russia in acque occidentali, Pechino ha controbilanciato, sul piano simbolico, il peso che gli Stati Uniti hanno gettato nel Pacifico nel sostenere i loro tradizionali alleati contro le mire cinesi. Per più di una ragione, quindi, c’è da aspettarsi che con il passare del tempo la Cina aumenterà la sua presenza nel Mediterraneo.

UNA PRESENZA DISCRETA – Non accadrĂ  in tempi brevi, nĂ© si può immaginare che in un futuro non molto lontano la Cina si presenti come nuova potenza regionale in grado di contenere la supremazia del modello occidentale. Pechino, del resto, non può  pensare di competere con Stati Uniti ed Europa nel loro cortile di casa. E non sembra essere questa la sua intenzione. La Cina è consapevole di non avere nĂ© i mezzi, in termini di capacitĂ  militare, nĂ© l’appeal per diventare il perno dei futuri assetti della regione. Di certo sarĂ  sempre piĂą difficile difendere ingenti interessi economici senza ricorrere ad una presenza militare.
Nel Mediterraneo Pechino deve muoversi con circospezione, dosando con perizia soft e hard power nel rispetto della special relation che la lega alla Russia, della cooperazione economica con Stati Uniti ed Europa  e, non in ultimo, della cornice ideologica della non ingerenza funzionale a coltivare relazioni non conflittuali con il mondo che “conta” e a proseguire lungo la nuova Via della Seta.

Mariangela Matonte

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Per approfondimenti sul tema si consiglia Enrico Fardella, ‘Il Mediterraneo nella strategia globale della Cina’, Orizzonte Cina, a. V, n. 8, settembre-ottobre 2014. [/box]

Foto: Drinu C

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Mariangela Matonte
Mariangela Matonte

Laurea in scienze politiche internazionali, scuola diplomatica MAE, analista politico, appassionata da sempre di relazioni internazionali e di politica. Molti viaggi, tante esperienze lavorative. Il tutto sempre con vocazione internazionale. Relazioni transatlantiche, Mediterraneo e Medio Oriente principali focus di interesse.

Curatrice del blog Geomovies, che si occupa del rapporto tra cinema e politica internazionale.

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