I tempi degli esecutivi a maggioranza ampia di Gaston Eyskens e di Leo Tindermans sono ormai passati; adesso, in Belgio, il processo per la formazione del Governo è lungo e si sviluppa su sottili equilibri e fuochi “nazionali(sti)” sempre vivi.
IL GOVERNO LIBERALE DI CHARLES MICHEL – Il 25 maggio 2014 si è tenuta la tornata elettorale fondamentale per disegnare la mappa politica belga vista la congiunzione, in una stessa giornata, delle elezioni federali, regionali ed europee, ma soltanto dopo quasi cinque mesi di trattative, l’11 ottobre il Belgio ha avuto il suo 49° Primo ministro. Charles Michel, quarant’anni, francofono, originario di Namur, la capitale della regione della Vallonia, leader liberale del Mouvement RĂ©formateur, ha giurato davanti al Re con tutto il suo Governo, una coalizione in cui domina la presenza degli uomini della Nieuw-Vlaamse Alliantie (Alleanza Neo-Fiamminga, N-Va) di Bart De Wever, sindaco di Anversa, che a livello federale ha ottenuto la maggioranza relativa. Nell’esecutivo anche gli esponenti del centro cattolico Christen-Democratisch en Vlaams (Cristiano-democratici e Fiamminghi, Cd&V) e i liberaldemocratici di Open Vlaamse Liberalen en Democraten (i Liberali e Democratici Fiamminghi Aperti, Open VLD).
IL PROGRAMMA DI GOVERNO – Nonostante i progressi nel rivitalizzare la crescita, il Belgio presenta squilibri macroeconomici che richiedono un attento monitoraggio: la ripresa è ancora fragile e va consolidata sul medio-lungo periodo, mentre a destare preoccupazione è il crescere del debito pubblico, schizzato a oltre il 100% del PIL. Ad analizzare le tematiche contenute nel Regeerakkoord / Accord de Gouvernement, si capisce come spesso si parli del Belgio come l‘Italie sans soleil (l’Italia senza il sole). Il Governo è impegnato in un progetto sociale, unito a un impegno economico per pianificare un graduale miglioramento del saldo strutturale, così da arrivare a un pareggio di bilancio entro il 2018 attraverso un piano serrato di riforme (mercato del lavoro, fisco, pensioni e sistema di sicurezza sociale) volto a modernizzare il Paese, rinforzare la competitivitĂ e assicurare, così, la creazione di posti di lavoro supplementari.
Fig. 1 – Il Primo Ministro del Belgio, Charles Michel
PENSIONI, FISCO, LAVORO. Il BELGIO, ITALIA SENZA SOLE? – Il fatto che il Belgio sia tra gli Stati europei ad aver patito in misura minore la crisi economico-finanziaria (crescita PIL giĂ in positivo nel 2011), ma con un debito che si attesta al 111% del PIL (+4.5 nell’ultimo trimestre, Quotidiano Nazionale, 23 luglio 2015), ha indotto il governo Michel a porsi come obiettivo primario quello di ridurre la spesa pubblica di circa 8 miliardi, il che significa portare la politica economica su una strada piĂą impervia di quella intrapresa dal socialista Di Rupo.
Il primo intervento, inserito nel piano di riforme nazionale presentato alle istituzioni comunitarie e in discussione in questi ultimi due mesi, riguarda la materia previdenziale (punto 2 dell’Accord): sulla scia di provvedimenti adottati in altri Paesi, il Governo federale ha programmato di innalzare a poco a poco l’etĂ pensionabile fino ai 67 anni, obiettivo da raggiungere intorno al 2030. Tale provvedimento di natura strutturale si è reso necessario per mettere in atto un’efficace strategia di risanamento delle finanze pubbliche che si concili con l’impatto sul lungo periodo dell’invecchiamento della popolazione.
Altra riforma in programma è quella relativa al sistema fiscale (punto 4), caratterizzato, ad oggi, da una forte pressione complessiva. Si legge nel documento di coalizione che la pressione fiscale e parafiscale globale è troppo elevata in Belgio. La pressione fiscale implicita sul lavoro è la piĂą elevata dell’Unione Europea
e per correggere questa tendenza si rendono necessari interventi anche sul mercato del lavoro:
i problemi strutturali che lo caratterizzano, infatti, determinano un impiego cronicamente inefficiente della manodopera e deboli tassi aggregati di occupazione e attivitĂ . Il Governo pone una particolare attenzione sulla revisione del sistema di indicizzazione dei salari, oltre che su azioni volte alla riduzione della disoccupazione e un taglio per gli oneri alle imprese per un ammontare di circa 3.5 miliardi di euro.
Fig. 2 – Il predecessore di Charles Michel, Elio Di Rupo
LA POLITICA ESTERA – Di interesse è anche quanto riservato al punto 9 del programma di Governo, quello relativo alla politica internazionale. Il contesto mondiale attuale differisce di gran lunga da quello di inizio secolo e le relazioni economiche hanno subito modifiche radicali in seguito alla crisi finanziaria ed economica e con l’arrivo sullo scenario internazionale di nuovi attori emergenti. Emerge con sempre piĂą attualitĂ il problema dell’estremismo di matrice islamica, tematica sentita in Belgio soprattutto in seguito agli attentati che sconvolsero la popolazione di Bruxelles nel maggio del 2014: l’aumento in potenza dei nuovi gruppi radicali si è tradotto attraverso la contestazione del nostro modello di societĂ occidentale. I recenti avvenimenti in Nord Africa, Medio Oriente ed Europa orientale mettono a nudo le difficoltĂ insite nella costruzione di istituzioni democratiche su basi solide in un ambiente caratterizzato da un aumento il radicalismo. Di fronte a tale scenario il Belgio ha scelto di puntare su una politica capace di adattarsi a questo mondo in cambiamento. Realismo, affidabilitĂ e ambizione sono le parole chiave della politica estera di questo Governo. Il realismo di riconoscere i cambiamenti nel contesto geopolitico ed economico, le sfide e le minacce che li accompagnano, il nome e indirizzo. AffidabilitĂ nel prendere le nostre responsabilitĂ nei confronti dei nostri partner internazionali. E l’ambizione di difendere il nostro Stato di diritto, i nostri diritti e valori fondamentali per noi stessi e contro gli altri in tutto il mondo.
CONFEDERALISMO, NUOVO PARADIGMA ISTITUZIONALE BELGA? – Il motto del Regno, l’union fait la force, l’unione fa la forza, viene ripetutamente sottoposto a uno stress test: i valloni chiedono maggiori risorse, i fiamminghi, motore trainante dell’economia del Paese, maggiori poteri. Nonostante il Governo Michel registri la presenza di uomini del Partito nazionalista fiammingo in posti chiave, questioni in merito all’assetto istituzionale non sono previste in questa legislatura. L’ultima riforma è stata varata il 31 gennaio 2014 quando vennero pubblicate sul Moniteur Belge, la Gazzetta Ufficiale del Regno del Belgio, le modifiche alla Costituzione, le leggi speciali e le leggi che danno esecuzione alla sesta riforma dello Stato, attuazione del cosiddetto Accord du Papillon, che insiste su un complesso ma significativo pacchetto di riforme da attuarsi progressivamente: divisione del distretto elettorale di Bruxelles-Halle-Vilvoorde insieme ad un rafforzamento delle prerogative federali (ripartizione delle materie in via esclusiva alle regioni, due miliardi e mezzo di fondi strutturali devoluti dal centro agli organi di Governo regionali) le principali novitĂ . Bart De Wemer, leader della N-VA, partito che detiene la maggioranza relativa alla Camera dei Rappresentanti, abbandonata la via della piena autonomia, anela a una nuova confederazione belga capace di fare a meno dell’amministrazione federale centrale, un confederalismo in cui le regioni, alla stregua di Stati indipendenti e soÂvrani, pur essendosi uniti per raggiungere degli scopi comuni (difensivi, economici, o culturali) non rinuncino a nessuna delle loro prerogative. Il Belgio per come lo conosciamo diverrebbe superato, e il confederalismo sarebbe l’ultima tappa del percorso istituzionale centrifugo del Regno. La cancellazione delle comunitĂ a favore della creazione di quattro regioni – Fiandre, Vallonia, regione tedesca (Liegi), Bruxelles capitale – dotate di ampi poteri di autogoverno e di bilancio, insieme con il conseguente abbandono dell’attuale federalismo per sovrapposizione, sarebbe la via idonea per un Paese attraversato da profonde fratture culturali e linguistiche, e in cui i Governi locali e regionali sopperiscono alla frequente vacanza del potere federale.
Non resta che monitorare il cammino del federalismo belga, sempre pronto ad accelerazioni e profonde scosse perchĂ©, per dirla con le parole del leader socialista Di Rupo all’indomani del varo della sesta riforma istituzionale, «plus rien n’est impossible en Belgique», niente è piĂą impossibile in Belgio.
Andrea Turi
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]
Un chicco in piĂą
L’evoluzione federalista del Belgio da Stato unitario al federalismo per disaggregazione.
Dopo la deposizione di Napoleone, sconfitto a Waterloo il 18 giugno 1815, la rivoluzione belga portò, nel 1830, al costituirsi di uno Stato belga indipendente (riconosciuto nel 1839). Partendo da una realtĂ di Stato unitario e accentrato, l’attuale assetto federalista è il risultato di un processo in tappe: tra il 1968 e il 1970 vennero costituite le ComunitĂ culturali, fase alla quale seguì, negli anni Ottanta, la vera “regionalizzazione”: nel 1980 le ComunitĂ furono dotate di un esecutivo e le Regioni diventarono concrete; nel 1988 fu previsto un ampliamento delle competenze trasferite dal centro agli altri livelli di Governo. Nel 1993 venne approvata la riforma costituzionale e si proclamò il Belgio uno Stato federale composto di ComunitĂ e Regioni, con conseguente modifica in profonditĂ del potere federale e delle istituzioni centrali.
[/box]
Foto: @XavVdb