A sei mesi dal devastante terremoto che ha ucciso oltre ottomila persone e provocato mezzo milione di sfollati, il Nepal sta vivendo una delle peggiori crisi politiche della sua storia recente, aggravata da un pesante blocco economico imposto dalla vicina India. Pomo della discordia è la nuova Costituzione del Paese asiatico, negoziata tra mille difficoltà nei mesi scorsi e duramente contestata dalla minoranza madhesi, sostenuta implicitamente nelle sue rivendicazioni dal Governo di New Delhi.
DOPO IL TERREMOTO – Sono passati sei mesi dal terribile terremoto che mise in ginocchio il Nepal nell’aprile scorso, uccidendo 8.900 persone e provocando immani distruzioni in molte aree del Paese asiatico. Allora la reazione della comunitĂ internazionale era stata abbastanza rapida e aveva assicurato una buona assistenza primaria alle oltre cinquecentomila persone rese senzatetto dal sisma, concentrate soprattutto nelle valli montane intorno alla capitale Katmandu. In giugno una conferenza internazionale tenutasi in Nepal mise anche a disposizione 4.4 miliardi di dollari per la ricostruzione del piccolo Stato himalayano, coprendo circa il 70% della cifra complessiva avanzata dalle AutoritĂ nepalesi dopo le prime valutazioni dei danni. In cambio il Governo di Katmandu – allora guidato da Sushil Koirala, leader del Congresso Nepalese – promise completa trasparenza nella gestione dei fondi e una rapida tabella di marcia per l’implementazione dei lavori di ricostruzione, da concludersi con successo nei prossimi cinque anni. Dopo tali accordi i media internazionali non hanno piĂą parlato del Nepal, a parte in qualche articolo o servizio sporadico sulla situazione degli sfollati, e molti in Occidente hanno finito per pensare che l’emergenza nel Paese asiatico fosse terminata, sostituita dall’avvio dei primi lavori di ricostruzione e da un graduale ritorno alla normalitĂ – inclusa presenza di torme di turisti stranieri in fila per scalare l’Everest e le altre grandi vette della catena himalayana.
Fig. 1 – Le rovine di un tempio buddista a Bhaktapur, distrutto dal terremoto dell’aprile 2015
Nulla di più sbagliato: la ricostruzione in Nepal non è mai partita, e i fondi messi a disposizione dalla conferenza internazionale di giugno sono rimasti sostanzialmente bloccati dal grave deteriorarsi della situazione politica nepalese, che ha finito anche per dimezzare il tradizionale flusso di turisti e scalatori sull’Himalaya, da sempre importante fonte di sostentamento per l’economia locale. Al centro della crisi, tra le peggiori della recente storia nepalese, vi è la nuova Costituzione approvata dal Parlamento di Katmandu nelle scorse settimane, che ridisegna la geografia politica e istituzionale del Paese asiatico in senso federalista. Oggetto di durissime contese sin dalle sue prime discussioni nel 2008, la nuova carta costituzionale divide infatti il Nepal in sette Stati regionali con ampia autonomia amministrativa e propone una visione laica e secolarista della vita politica nazionale, ben lontana dall’induismo ortodosso del precedente regime monarchico. Si tratta di misure approvate a larga maggioranza dalle forze politiche nepalesi, e il Governo di Koirala ha spinto ripetutamente per una loro adozione nel corso di quest’anno, in modo da rendere più solide le basi politiche della ricostruzione del Paese. Sfortunatamente tali misure hanno anche provocato la violenta reazione della minoranza madhesi e l’ostilità diplomatica della vicina India, finendo per gettare il Nepal in una gravissima crisi politico-economica di difficile soluzione.
LA RIVOLTA DEI MADHESI – Di religione induista, i madhesi vivono nello strategico distretto di Terai, a ridosso del confine con l’India, e sono uno dei maggiori gruppi etnici del sud del Nepal. I confini dei nuovi Stati previsti dalla carta costituzionale dovrebbero tagliare in due alcune delle loro terre d’origine, affidandone l’amministrazione a gruppi etnici rivali e diminuendo la rappresentanza politica della minoranza a Katmandu. Per tali motivi la reazione dei madhesi all’adozione della nuova Costituzione è stata particolarmente violenta e ha provocato sanguinosi scontri con esercito e polizia, risultati finora nella morte di almeno 47 persone. Alla violenza dei madhesi ha poi risposto quella di altri gruppi etnici del distretto di Terai, fedeli al Governo di Katmandu, che ha ulteriormente destabilizzato l’area del confine indo-nepalese, spingendo New Delhi alla drastica decisione di bloccare ogni traffico commerciale con il vicino Nepal. Un vero e proprio blocco economico dalle conseguenze devastanti sia per l’economia che per il popolo nepalesi, ancora reduci dal terribile sisma dello scorso aprile.
Fig. 2 – Attivisti madhesi protestano contro l’adozione della nuova Costituzione vicino alla sede del Parlamento nepalese
L’INDIA BLOCCA LE FRONTIERE – Ufficialmente il Governo indiano ha giustificato la propria decisione di bloccare il traffico transfrontaliero col Nepal per motivi di sicurezza, adducendo il rifiuto volontario di molti autotrasportatori privati di recarsi nelle aree coinvolte nelle proteste dei madhesi. Inoltre tali proteste hanno spesso bloccato l’accesso ad alcuni valichi di frontiera tra i due Paesi, incluso quello importantissimo di Birgunj, rendendo di fatto estremamente difficile la pacifica prosecuzione del regolare traffico commerciale verso il Nepal. Tuttavia il Governo di Katmandu ha rifiutato completamente tali giustificazioni, accusando l’India di sostenere i madhesi nella loro violenta campagna anti-costituzionale e di interferire pesantemente nella vita politica interna nepalese. Si tratta di accuse molto gravi che mettono a rischio il disgelo diplomatico tra i due Paesi, avviato dalla storica visita di Narendra Modi in Nepal dell’anno scorso, la prima di un Premier indiano dal lontano 1997. In tale occasione Modi aveva promesso cospiscui finanziamenti per lo sviluppo dell’economia locale e di rispettare l’indipendenza politica del Nepal, astenendosi dal mettere in atto le stesse forme di pressione diplomatica e commerciale dei suoi predecessori sul piccolo Stato himalayano. Il Primo ministro indiano aveva anche garantito una revisione congiunta del Trattato di Pace e Amicizia tra India e Nepal del 1950, che impone pesanti restrizioni alla libertĂ diplomatica dello Stato nepalese. Oggi molti nepalesi denunciano la falsitĂ di queste promesse e paragonano le azioni di Modi a quelle di Rajiv Gandhi, artefice di un lungo e durissimo blocco commerciale del loro Paese nel 1989.
Fig. 3 – Decine di cambion bloccati alla frontiera indo-nepalese di Siliguri
Il risentimento nepalese verso Delhi è così forte che molti analisti temono serie conseguenze per il futuro della sicurezza indiana nella regione himalayana, prevedendo un rafforzamento dell’influenza economica e diplomatica della Cina a Katmandu nei prossimi mesi. Si tratta forse di timori esagerati, ma il comportamento ambiguo e cinico del Governo Modi ha indubbiamente danneggiato le relazioni indo-nepalesi, confermando il persistente paternalismo autoritario dell’India nei confronti dei suoi piccoli vicini regionali. Nelle scorse settimane le Autorità indiane non hanno infatti mancato di rilevare il loro disaccordo con certe parti della nuova carta costituzionale nepalese, invitando il Governo di Katmandu ad accettare le rimostranze delle minoranze dissidenti, e si sono rifiutate di aiutare la polizia nepalese a sgomberare i valichi di frontiera occupati dai dimostranti madhesi. L’India ha anche ignorato le ripetute richieste di Katmandu per un ponte aereo che possa alleviare le sofferenze della popolazione civile provocate dal blocco delle frontiere terrestri. I sospetti nepalesi verso Delhi appaiono quindi legittimi e, in alcuni casi, apertamente giustificati dal comportamento poco solidale e non cooperativo del Governo indiano.
RISCHIO CRISI UMANITARIA – Nel frattempo la situazione interna del Nepal si sta rapidamente deteriorando, prospettando il rischio di una gravissima crisi umanitaria. Dall’inizio del blocco delle frontiere con l’India, circa tre settimane fa, il Paese ha visto ridursi in poco tempo le proprie scorte di cibo e carburante, con pesanti conseguenze per le attivitĂ sociali ed economiche locali. Di solito caotica e affollata, Katmandu appare oggi quasi come una cittĂ fantasma: pochissimo traffico, alberghi e ristoranti semideserti, negozi vuoti o con pochissima merce esposta. Ci sono lunghissime code ai distributori di benzina e molti edifici non hanno nĂ© gas nĂ© energia elettrica. Anche gli ospedali cittadini hanno ridotto le proprie attivitĂ per risparmiare elettricitĂ , mentre malati e anziani hanno spesso enormi difficoltĂ a raggiungere le strutture mediche di base. I turisti stranieri, di solito numerosissimi in questo periodo dell’anno, si vedono a malapena e alcune agenzie turistiche specializzate in escursioni sull’Himalaya registrano oltre il 40% di cancellazioni.
Fig. 4 – Lunghissima coda di automobili e motociclette a un distributore di benzina di Katmandu
Se la situazione appare già difficile nella capitale, è addirittura ben peggiore nelle vicine aree montane devastate dal terremoto di aprile. Molti villaggi sono infatti ancora isolati e privi di acqua potabile, mentre la penuria di carburante impedisce la consegna di cibo e medicine ai campi di accoglienza per sfollati. Secondo le Nazioni Unite, che hanno espresso “preoccupazione” per la situazione in Nepal, l’80% del materiale umanitario per le zone terremotate è bloccato nei magazzini e potrebbe non raggiungere le comunità bisognose in tempo per la stagione invernale, mettendone a rischio la sopravvivenza.
Fig. 5 – Pochi e sovraffollati autobus: uno degli effetti del blocco commerciale indiano sulla vita dei nepalesi
SPIRAGLI DI NEGOZIATO – Negli ultimi giorni vi sono comunque stati diversi segnali di miglioramento, sia a livello politico che materiale. A livello politico il Governo Koirala si è dimesso ed è stato sostituito da un nuovo Esecutivo guidato da Khadga Prasad Sharma Oli, leader del Partito Comunista del Nepal (di orientamento marxista-leninista). Nel corso dei suoi primi interventi da Premier, Oli ha promesso di rivedere le parti piĂą discusse del testo costituzionale, venendo incontro alle principali obiezioni dei madhesi e di altri gruppi etnici del sud del Paese. Inoltre il suo Governo è disposto a collaborare con tutte le forze politiche nazionali, inclusi gli ex-ribelli maoisti, per ripristinare l’ordine nel Terai e per rilanciare le operazioni di ricostruzione nelle aree piĂą colpite dal terremoto dell’aprile scorso.
Fig. 6 – Studenti nepalesi protestano contro la decisione dell’India di bloccare il traffico commerciale verso il loro Paese
Nonostante le aperture di Oli, i madhesi hanno confermato la loro intenzione di resistere a oltranza contro l’adozione della nuova Costituzione, anche se le loro attività di protesta e occupazione dei valichi di frontiera si sono un po’ allentate, consentendo un parziale ripristino del traffico commerciale con l’India. Nel corso della scorsa settimana, per esempio, sono transitati oltre 200 camion attraverso il valico di Sunauli, carichi sia di merci che di benzina, e queste nuove scorte hanno permesso al Governo nepalese di rilassare un po’ le precedenti politiche di razionamento nell’area di Katmandu. La situazione resta comunque tesa e precaria: il blocco dell’India non è affatto tolto e l’ambasciatore indiano in Nepal, Ranjit Rae, ha iniziato una serie di colloqui con Oli per arrivare a una soluzione diplomatica della crisi.
Simone Pelizza
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]
Un chicco in piĂą
I madhesi hanno rarefatto le loro azioni di protesta anche per l’inizio della festa di Dashain, una delle più importanti della religione induista. La festa celebra la vittoria della dea Shakti sul malvagio demone Maishasura e dura circa due settimane, tra momenti di preghiera, offerte devozionali e giochi popolari. In Nepal, Dashain viene celebrata anche dalla comunità buddista ed è spesso contestata dalle associazioni animaliste per il sacrificio cruento di migliaia di bufali e pecore in onore della dea Shakti. [/box]
Foto: Inky-NL