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Etiopia: il massacro di Gambella e il rapporto con il Sud Sudan

Lo scorso 15 aprile tredici villaggi nel distretto di Jakawa, nella regione etiope di Gambella, sono stati attaccati da uomini armati provenienti dal Sud Sudan: il bilancio è stato di oltre 200 morti, 102 bambini rapiti e circa 2.000 capi di bestiame rubati

Le vittime appartengono al gruppo etnico nuer, mentre gli incursori all’etnia murle: questa regione di frontiera non è estranea a scontri violenti, ma l’episodio si inserisce un un quadro complesso dove si intrecciano fattori locali, regionali e interstatali che influenzano il rapporto tra i due Stati coinvolti, Etiopia e Sud Sudan

IL MASSACRO DI GAMBELLA − Il “massacro di Gambella”, come è stato denominato dai media, ha scatenato ondate di indignazione nella popolazione etiope: l’esercito di Addis Abeba è riuscito a intervenire uccidendo almeno sessanta assalitori durante lo scontro, e lo stesso premier etiope Hailè Mariam Desalegn ha annunciato che il Governo sta preparando un’operazione militare transfrontaliera congiunta con le autorità di Juba per la neutralizzazione delle milizie etniche e la liberazione degli ostaggi (a oggi solo diciannove bambini sono stati liberati). Sconosciute sono ancora le cause dell’incursione, ma la principale sarebbe il furto di bestiame. Quest’area, infatti, è stata spesso sfondo di scontri violenti tra i diversi gruppi per il controllo del territorio. Diversi fattori aggiuntivi hanno contribuito poi alla profonda instabilità del confine negli ultimi anni: la guerra civile in Sud Sudan e il gran numero di profughi che si sono riversati nei campi alla frontiera con l’Etiopia, nonché la diminuzione dei territori coltivabili, sia a causa della diffusione del fenomeno dell’accaparramento delle terre per opera degli investitori stranieri, sia a causa dell’ondata di siccità provocata da El Niño, il fenomeno atmosferico che sta mettendo in ginocchio l’Africa orientale.

La regione di Gambella si trova in terra etiope al confine sud occidentale con il Sud Sudan, a circa 50 km dalla capitale Addis Abeba
Fig. 1 – La regione di Gambella si trova in terra etiope al confine sud occidentale con il Sud Sudan: il 40% della popolazione appartiene all’etnia nuer e il 27% all’anuak (CC Peter Fitzgerald via Wikimedia Commons)

UNA TERRA DI FRONTIERA − La regione di Gambella è situata a cinquanta chilometri dal confine tra il Sud Sudan e l’Etiopia sud occidentale: è abitata principalmente da popolazioni di etnia nuer (40%) e anuak (27%) e conta circa 247mila abitanti. È stretta tra i fiumi Baro e Akobo: qui si trovano alcune delle terre più fertili del Paese e non a caso è anche una delle zone maggiormente colpite dal fenomeno del land grabbingÈ qui che gli investitori privati si sono accaparrati ettari di terreno a prezzi bassissimi con contratti vantaggiosi conclusi dal Governo etiope a discapito delle popolazioni locali. Ciò rende ancor più sanguinose le lotte per il controllo delle risorse tra i gruppi etnici che popolano la zona. Inoltre, secondo l’Alto commissariato dell’ONU per i rifugiati (Unhcr) l’Etiopia sta diventando il Paese che accoglie il maggior numero di rifugiati in Africa, circa 629.718, di cui 247.000 sono i sud-sudanesi scappati dalla guerra, soprattutto appartenenti all’etnia nuer.

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Fig. 2 – Secondo le stime dell’Unhcr, sono circa 247mila i rifugiati sudsudanesi nei campi profughi al confine con l’Etiopia. Il numero è destinato a crescere a causa della guerra civile che sconvolge il giovane stato dal 2013 tra i dinka e i nuer

I RAPPORTI TRA I GRUPPI ETNICI – Sebbene il Governo di Juba abbia smentito qualsiasi coinvolgimento nella vicenda e, anzi, fin da subito abbia collaborato con le autorità di Addis Abeba per localizzare i criminali e liberare gli ostaggi, le testimonianze dei sopravvissuti riportano che alcuni miliziani vestivano le divise dell’esercito sud sudanese e appartenevano alle etnie murle, dinka e anuak. Inoltre, avrebbero usato dei kalashnikov come arma, un elemento abbastanza insolito negli scontri tra popolazioni rurali e seminomadi.
I murle sono un gruppo etnico con una storia secolare di migrazioni e conflitti con le comunità incontrate lungo il proprio cammino di espansionismo dall’Etiopia occidentale fino all’attuale Sud Sudan. Le spedizioni armate contro i popoli vicini sono parte integrante di questo processo: l’obiettivo è colonizzare nuovi territori, sequestrare donne e bambini per ingrandire la comunità e catturare merci e bestiame da rivendere. Anche i dinka popolano i territori sud sudanesi, ma sono opposti ai murle da un’antica rivalità politica. I nuer si contrappongo anch’essi ai murle per la supremazia territoriale nello Stato sud sudanese di Jonglei (nonostante a livello nazionale combattano entrambi contro il potere dei Dinka). Gli anuak vivono, invece, lungo il confine etiope-sudsudanese e sono impegnati contro i nuer in un lungo conflitto che mai aveva raggiunto le dimensioni dell’episodio dello scorso aprile, sia per le tecniche di combattimento usate che per il numero delle vittime. Nel 2011, con la secessione del Sud Sudan, si è assistito a una strumentalizzazione politica delle rivalità etniche da parte degli Stati coinvolti: il Governo di Juba non ha esitato a emulare il comportamento del Sudan durante gli anni di guerra civile, arruolando milizie irregolari per indebolire il fronte dei ribelli nuer. D’altra parte, i murle sarebbero stati armati dal Sudan per fomentare rivolte nello Stato del Jonglei contro gli stessi nuer. Inoltre, la partecipazione di uomini di etnia dinka nel massacro di Gambella, ha prospettato l’ipotesi che l’invasione sia stata organizzata da forze filo governative sud sudanesi allo scopo di destabilizzare l’accordo di pace firmato tra i murle e Riek Machar, rappresentante del fronte dei ribelli nuer in Sud Sudan. Probabilmente un ulteriore obiettivo era quello di ritardare il ritorno in patria di Machar: nominato vicepresidente del Governo Kiir, era stato allontanato nel 2013 con l’accusa di aver architettato un golpe. Gli accordi di pace tra le due fazioni in lotta in Sud Sudan, siglati ad Addis Abeba nell’agosto 2014, prevedevano il ritorno in patria di Machar, la formazione di un esecutivo di unità nazionale e libere elezioni dopo un periodo di transizione. Il vicepresidente sudsudanese è rientrato a Juba il 26 aprile scorso: la speranza è che sia questo un passo avanti verso la pacificazione e la stabilizzazione del giovane Stato africano.

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Fig. 3 – Lo scorso 26 aprile con il rientro in patria di Riek Machar è stato formato in Sud Sudan il Governo di unità nazionale che guiderà il Paese verso le libere elezioni. Da sinistra: Riek Machar, primo vicepresidente del Sud Sudan, Salva Kiir, presidente, e James Wani Igga, secondo vicepresidente

IL RUOLO DELL’ETIOPIA − Nella guerra civile in Sud Sudan, l’Etiopia ha sostenuto in modo discreto i ribelli nuer e ha fornito al leader dell’opposizione Machar asilo politico, giocando allo stesso tempo un ruolo di arbitro nel processo di pacificazione. Ha partecipato alla missione di pace di Abyei nel giugno 2011, una zona petrolifera tuttora contesa tra il Nord e il Sud Sudan, ed entrambi gli Stati hanno accettato l’invio di militari etiopi nel proprio territorio. Anche all’indomani della secessione, Addis Abeba ha saputo rivestire in modo costruttivo sia la parte di mediatore che di peacekeeper, come è stato riconosciuto anche dalla comunità internazionale e in primis dagli Stati Uniti. Strategico è il mantenimento delle relazioni con i suoi vicini dell’est: L’Etiopia ha bisogno del Sudan come partner economico per la costruzione di dighe lungo il Nilo Blu per produrre energia idroelettrica da scambiare con il petrolio sudanese. Inoltre, il Sudan rappresenta una pedina importante nella rivalità con l’Egitto per lo sfruttamento delle acque del Nilo. Con il Sud Sudan il rapporto è più recente: è un Paese privo di sbocchi al mare, ma ricco di risorse naturali. Allo stato attuale, non può rappresentare un partner economico stabile e affidabile per Addis Abeba, ma la questione che più sta a cuore agli etiopi è legata alla sicurezza nazionale. Linteresse primario è evitare che la guerra civile sud sudanese possa complicare ulteriormente la situazione delle terre di confine, accentuando le rivalità etniche già esistenti. Nonostante le grandi trasformazioni del Corno d’Africa e l’instabilità della regione, quindi, l’Etiopia ha saputo mantenere rapporti costruttivi con i suoi vicini, tutelando allo stesso tempo i suoi interessi politici ed economici. Si è ritagliata, insomma, un ruolo credibile di leadership nella regione e nel processo di pacificazione e stabilizzazione dei due Sudan.

Irene Dell’Omo

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Per approfondire suggeriamo un articolo del Caffè sull’emergenza siccità in Etiopia: l’ondata di carestia provocata da El Niño ha conseguenze importanti sulle lotte per l’accesso e il controllo delle risorse tra le popolazioni locali.[/box]

Foto: UNICEF Ethiopia

 

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Irene Dell'Omo
Irene Dell'Omo

Sono laureata in Scienze Politiche, indirizzo Cooperazione internazionale, con una tesi sulla cooperazione tra Unione europea e Paesi del Maghreb per le risorse energetiche rinnovabili. Vivo a Roma, dove lavoro in un’organizzazione umanitaria nell’area marketing e comunicazione. Le mie passioni: scoprire posti e cose nuove, viaggiare, leggere (soprattutto romanzi a sfondo storico e di attualità) e scrivere.

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