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Uzbekistan, dove l’abuso psichiatrico uccide il libero pensiero

In 3 sorsi Il piano di riforme varato dalla nuova Presidenza Mirziyoyev sembra orientare l’Uzbekistan verso una maggiore tutela dei diritti umani. Ma nonostante la valutazione complessivamente positiva delle Nazioni Unite, l’impegno di Tashkent per il riconoscimento delle libertà fondamentali e l’adeguamento agli standard internazionali resta segnato da profonde contraddizioni

1. POLITICA E PSICHIATRIA PUNITIVA NELL’ERA POST-SOVIETICA – In alcune repubbliche indipendenti dell’area post-sovietica, l’abuso dei trattamenti psichiatrici per ragioni meramente politiche costituisce solo la punta dell’iceberg di una pluralità di fenomeni repressivi del diritto alla libertà di espressione. Una prassi aberrante del passato regime comunista, caduta quasi completamente in disuso all’alba degli anni Novanta, e gradualmente tornata alla ribalta in Russia come in Bielorussia e in Turkmenistan, ma soprattutto in Uzbekistan.
La propensione ad internare gli oppositori del Governo in strutture psichiatriche è dilagata negli anni Sessanta durante l’era Brežnev, si è accentuata nel decennio successivo ed è infine culminata con l’espulsione dell’Unione Sovietica dall’Associazione Psichiatrica Mondiale (WPA) nel 1983. Ma già nel 1971 le prime notizie circa il ricorso sistematico alla psichiatria punitiva per fini politici cominciavano a richiamare l’attenzione dell’Occidente, quando lo scrittore e attivista dissidente Vladimir Bukovsky denunciava l’abuso politico della psichiatria e l’orrore delle prigioni psichiatriche sovietiche. La denuncia di Bukovsky sconvolse l’opinione pubblica internazionale, almeno quella al di fuori del blocco sovietico, e coprì d’inchiostro le pagine del Times di Londra e del British Journal of Psychiatry. La documentazione di circa centocinquanta pagine che raggiunse le mani dei professionisti occidentali fu persino oggetto di discussione al Congresso Internazionale di Psichiatria, tenutosi in Messico nel novembre 1971.
Successivamente, l’implosione del comunismo sovietico e il faticoso processo di formazione statale che ha accompagnato la nascita delle varie repubbliche indipendenti dell’area post-sovietica marcavano una significativa inversione di tendenza rispetto a un triste passato di repressione sistematica della libertà di pensiero. Ma si trattava di una tregua temporanea, esauritasi in un breve arco di tempo. Negli anni Duemila il trattamento psichiatrico coatto ed altre condotte prevaricanti da parte delle autorità di pubblica sicurezza hanno infatti segnato una nuova stagione di persecuzioni contro esponenti della società civile e cittadini apertamente dissidenti dell’orientamento politico maggioritario degli Stati della regione.
E a vantare un triste primato in tal senso sarebbe proprio l’Uzbekistan dell’ex Presidente Karimov, scomparso improvvisamente nel settembre 2016.

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Fig. 1 – Un ospedale psichiatrico russo negli anni Novanta

2. YELENA URLAEVA, UN’ICONA PER I DIRITTI UMANI – Secondo la legislazione uzbeka, una persona può essere collocata in una struttura medica esclusivamente a seguito di una decisione assunta volontariamente dal soggetto interessato o dai parenti di questi, ovvero per effetto di un provvedimento giudiziario. Ma nessuna delle ipotesi tassativamente elencate dal legislatore sembra aver supportato in concreto la determinazione delle autorità di Tashkent, che il primo marzo scorso hanno ordinato il trasferimento in una clinica psichiatrica della capitale della nota attivista Yelena Urlaeva, Presidente della Human Rights Defenders Alliance of Uzbekistan.
Da quel momento un susseguirsi di appelli e petizioni promosse da associazioni non governative di tutto il mondo hanno svelato i particolari inquietanti che spesso caratterizzano il trattamento psichiatrico cui sono sottoposti giornalisti e attivisti in Uzbekistan. Per altro, la questione è stata fonte di notevole preoccupazione anche nel panorama politico internazionale, come traspare dalla dichiarazione rilasciata alcuni giorni più tardi dai rappresentanti dell’Unione Europea davanti al Consiglio Permanente dell’OSCE a Vienna.
Come in molte altre occasioni passate, dopo alcune settimane di ricovero coatto, il 24 marzo Yelena Urlaeva è tornata finalmente in libertà, secondo un copione che negli ultimi sedici anni si è ripetuto ad intervalli quasi regolari. Ora però, a distanza di sei mesi dall’elezione del secondo Presidente dell’Uzbekistan indipendente, resta da chiedersi se la questione Urlaeva non sia sintomatica di un arretramento politico di Shavkat Mirziyoyev. Ciò in quanto la strategia elaborata dal nuovo Presidente è stata orientata verso un approccio più liberale e sembra caratterizzarsi per una certa discontinuità rispetto alla direzione notoriamente conservatrice della politica di Islom Karimov. Nel corso degli ultimi mesi, Mirziyoyev ha infatti disposto la liberazione di diversi prigionieri politici, attivisti e giornalisti che in taluni casi avrebbero trascorso fino a dieci anni in ospedali psichiatrici.
Ciò nondimeno, le analisi eseguite di recente da ONG di grosso calibro denunciano persistenti limitazioni alla libertà di espressione e di associazione, mentre la detenzione in carcere o in strutture psichiatriche per motivi politici continua a rappresentare una realtà costante nella storia del Paese centro-asiatico.

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Fig. 2 – L’attivista Yelena Urlaeva fermata da un agente della polizia politica durante una manifestazione a Tashkent nel 2006

3. IL NUOVO UZBEKISTAN,TRA ELOGI E QUALCHE CRITICA – Gli abusi psichiatrici che intervengono tempestivamente a soffocare le voci dissidenti della società civile uzbeka raccontano una prassi inquietante, che costringe molti attivisti a svolgere il proprio lavoro nel perenne timore di subire intimidazioni, minacce o ritorsioni. Per circa vent’anni, le battaglie e le campagne di sensibilizzazione condotte da Yelena Urlaeva per la protezione e la promozione dei diritti umani in Uzbekistan si sono rivelate determinanti per portare alla luce della comunità internazionale la questione degli abusi perpetrati dalle autorità del Paese ed hanno inoltre documentato dettagliatamente il coinvolgimento forzato di circa novecentomila persone nella raccolta annuale del cotone.
Tuttavia, la pressione esercitata ultimamente sull’esecutivo di Tashkent da parte della comunità internazionale, congiuntamente agli impegni assunti dal Paese nei confronti della Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, hanno consentito di registrare una drastica diminuzione del numero di studenti obbligati ad abbandonare i banchi di scuola per raccogliere il prezioso oro bianco, fiore all’occhiello dell’agricoltura uzbeka. Per contro, è anche vero che i giovani in età scolastica verranno probabilmente sostituiti da un numero crescente di adulti – in particolare dipendenti pubblici e personale medico sanitario – in maniera tale da continuare a soddisfare le quote di produzione annuali.
Ciò nonostante, l’ultimo rapporto redatto dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha delineato uno scenario incoraggiante riguardo alle prospettive future del Paese ed ha evidenziato l’impegno del Governo centrale nella prevenzione dello sfruttamento minorile nelle piantagioni di cotone. Gli osservatori dell’agenzia delle Nazioni Unite non avrebbero infatti notato alcun tipo di coinvolgimento di minori nei progetti di sviluppo agricolo direttamente supportati dalla Banca Mondiale.
Di avviso opposto la posizione espressa dalle maggiori ONG internazionali, che riportano l’attenzione sulla necessità di proteggere la popolazione dalle azioni repressive poste in essere dalla classe dirigente, generalmente irrispettosa delle libertà e dei diritti fondamentali dei cittadini.
Ciò che è certo è che il Paese orfano dello storico Presidente Karimov vive una situazione politica e sociale assai problematica e contraddittoria, che potrebbe essere letta in chiave più positiva se non ci fosse la presenza di prassi governative apertamente autoritarie e repressive.
In tal senso si inserisce l’apprezzamento espresso dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani Zeid Ra’ad Al Hussein, che – in visita a Tashkent solo pochi giorni fa – ha elogiato le riforme promosse dal Presidente Mirziyoyev per la tutela della libertà di espressione ed il rafforzamento del ruolo della società civile. Parole importanti che riconoscono il carattere complesso e diversificato del nuovo Uzbekistan post-Karimov.

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Fig. 3 – L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani Zeid Raad Al Hussein incontra a Tashkent il Ministro degli Esteri Abdulaziz Kamilov, 10 maggio 2017

Luttine Ilenia Buioni

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

L’arresto e il trasferimento presso un ospedale psichiatrico di Yelena Urlaeva ha avuto luogo durante la visita in Uzbekistan di alcuni funzionari dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. La signora Urlaeva avrebbe dovuto incontrare i membri della missione il 2 marzo, ossia il giorno successivo al prelievo forzato nella sua casa di Tashkent. Esattamente il primo marzo, i rappresentanti dell’ILO hanno sottoscritto un memorandum d’intesa con il Governo dell’Uzbekistan per l’estensione del Programma Nazionale per il Lavoro Dignitoso relativamente al triennio 2017-2020.[/box]

Foto di copertina di Dan Lundberg Licenza: Attribution-ShareAlike License

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Luttine Ilenia Buioni
Luttine Ilenia Buioni

Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi Roma Tre con una tesi in Diritto Penale Internazionale, ho completato il mio percorso di studi conseguendo un Master in Peace Building Management e successivamente l’abilitazione  per l’esercizio della professione forense. Coltivo il sogno di coniugare la passione per il diritto a quella per l’analisi geopolitica dello spazio post-sovietico. Un percorso che mi ha recentemente condotto a Yerevan, in Armenia, dove ho avuto l’opportunità di partecipare ad un programma del Consiglio d’Europa. Per Il Caffè Geopolitico mi occupo in particolare di Caucaso Meridionale ed Asia Centrale. In passato ho collaborato anche con Termometro Politico, l’Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) e Mediterranean Affairs.

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