In 3 sorsi – Dopo un periodo di relativa calma a Tripoli, riscoppiano gli scontri tra le milizie rivali. Nel frattempo, la liberazione di Saif al-Islam Gheddafi, l’incontro ad Abu Dhabi tra Haftar e al-Serraj e l’accordo di riconciliazione tra le tribù del Sud impongono l’aggiornamento di uno scenario che, nonostante tutto, sembra rimanere lo stesso
1. GLI SCONTRI – Conclusa una parentesi di relativa calma iniziata a marzo, nuovi scontri tra fazioni rivali hanno ridato linfa al caos di Tripoli. Il 26 maggio scorso, feroci combattimenti scoppiati tra gruppi armati a favore e contro il Governo di Accordo Nazionale di Tripoli (GNA) hanno provocato la morte di almeno 54 combattenti e oltre un centinaio di feriti. Il leader del GNA (Government of National Accord), Fayez al-Serraj, ha attribuito la responsabilità degli scontri al rivale Khalifa al-Ghawil, Premier dell’islamico e autoproclamato Governo di Salvezza Nazionale, e al leader della milizia che lo sostiene, Salah Badi. Nel frattempo, nel Sud della Libia, un attacco della milizia “Terza Forza”, leale al Governo al-Serraj, alla base aerea di Brak al-Shati ha ucciso circa 141 persone, per la maggior parte soldati fedeli al generale Khalifa Haftar. L’incidente, condannato dal Governo di Tripoli, è avvenuto un mese dopo un altro attacco, condotto dall’Esercito Nazionale Libico di Haftar alla base aerea di Tamenhant, vicino la città di Sebha, controllata proprio dalla milizia “Terza Forza”. Sempre a fine maggio, inoltre, in risposta all’ennesimo attentato rivendicato dall’IS contro un gruppo di cristiani copti diretti al Monastero di San Samuele il Confessore, l’Egitto ha ordinato una serie di bombardamenti contro la città di Derna, sulla costa nord-orientale del Paese. I bombardamenti, secondo le dichiarazioni del Cairo, avrebbero colpito alcuni campi di addestramento delle milizie islamiste della Consiglio della Shura, una coalizione jihadista allineata ad Al-Qaeda e creata nel 2014 per rispondere all’Operazione Dignità avviata da Haftar contro l’estremismo islamico.
Fig. 1 – Colonne di fumo si alzano dal centro di Tripoli dopo gli scontri del 26 maggio scorso
2. LA LIBERAZIONE DI SAIF AL-ISLAM GHEDDAFI – Il 10 giugno, la brigata Abu Bakr al-Sadiq ha annunciato la liberazione del figlio secondogenito ed erede di Muammar Gheddafi, Saif al-Islam, avvenuta il giorno prima in esecuzione – secondo le dichiarazioni della milizia – della legge di amnistia approvata dal Parlamento di Tobruk. Dopo la cattura nel 2011 mentre tentava la fuga in Niger, e dopo aver trascorso quasi sei anni prigioniero nella città di Zintan, in Tripolitania, secondo alcuni il figlio del defunto dittatore avrebbe raggiunto la zona di Tobruk; secondo altri, invece, si troverebbe ad al-Bayda, città sede del Governo ad interim, mentre secondo altri ancora potrebbe essersi rifugiato nella città di Bani Walid, principale insediamento della tribù araba dei Warfalla, fedele ai Gheddafi e ultima roccaforte lealista a cadere nella guerra civile del 2011. Personaggio molto conteso in Libia e non solo, su di lui rimangono pendenti la condanna a morte in contumacia per crimini di guerra, emessa dalla Corte di Assise di Tripoli il 28 luglio 2015, e il mandato di cattura della Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità, commessi durante la rivoluzione del 2011. Inizialmente visto come riformatore in grado di smussare gli aspetti più duri del regime del padre e figura chiave nella ricostruzione delle relazioni con l’Occidente a partire dal 2000, con lo scoppio delle prime rivolte a Bengasi, Saif al-Islam ha guidato la feroce repressione del regime contro ogni istanza di democrazia. Oggi, nonostante tutto, Saif Gheddafi potrebbe ancora giocare un ruolo chiave nello scenario libico. Sebbene per molti egli rimanga il figlio del tiranno che hanno combattuto, esiste una parte della popolazione che dalla fine del regime ha sofferto il caos, la violenza e la disgregazione del Paese e che oggi guarda nostalgicamente a quel passato come ad un male decisamente inferiore al vuoto di potere degli ultimi sei anni. Per loro, l’erede di Gheddafi potrebbe essere la figura in grado di riappacificare e riunificare la Libia. Molte sono le milizie, le fazioni politiche e gli uomini d’affari che si opporrebbero al ritorno di Saif al-Islam, ma altrettanti potrebbero decidere di sostenerlo, o utilizzarlo, per guadagnare terreno e lealtà delle tribù prima fedeli a Gheddafi. Tra questi, primo fra tutti, il generale Khalifa Haftar, che potrebbe voler usare Saif come pedina a proprio vantaggio.
Fig. 2 – Saif al-Islam Gheddafi in collegamento video durante il processo alla Corte di Assise di Tripoli
3. LA LIBIA OGGI – Nel dicembre 2015, l’Accordo di Skhirat, veicolato dall’ONU, ha tentato di ricomporre le divisioni in Libia e la sempre più profonda rivalità tra le autorità di Tripoli e Tobruk, prevedendo la creazione di un governo di unità nazionale. Oggi, nonostante l’Accordo Politico Libico, i centri di potere in Libia rimangono tre:
- Il Consiglio Presidenziale, guidato dal Primo Ministro Fayez al-Serraj, che a sua volta sceglie e presiede il Governo di Accordo Nazionale (GNA). Quest’ultimo, secondo l’Accordo di Skhirat, avrebbe dovuto ricevere il voto di fiducia della Camera dei Rappresentanti di Tobruk, ma questa, controllata di fatto da Haftar, non ha ancora espresso il suo sostegno. Riconosciuto dalle Nazioni Unite e da gran parte della comunità internazionale, oggi il Governo di Tripoli controlla l’Ovest del Paese.
- Il Governo di Salvezza Nazionale di Khalifa al-Ghawil, anch’esso con base a Tripoli, rivendica il potere, contro il Governo al-Serraj. Al momento, nonostante i recenti scontri, di fatto non detiene più il controllo di alcuna istituzione rilevante.
- La Camera dei Rappresentanti di Tobruk e il Governo ad interim di Abdullah al-Thinni ad al-Bayda, di fatto sotto il controllo dell’Esercito Nazionale Libico del generale Haftar. Questi è a sua volta sostenuto, contro i suoi rivali, dalla Russia e da attori regionali quali Emirati Arabi Uniti ed Egitto.
Il 2 maggio, ad Abu Dhabi, per la prima volta un incontro tra al-Serraj e Haftar avrebbe dovuto veicolare un accordo di pace tra le due autorità rivali, ma nessun documento concreto è stato redatto. Dopo alcune vaghe dichiarazioni di impegno per la pacificazione della Libia, significativo è stato l’annuncio del Ministro degli Esteri libico sulla possibile designazione di Haftar in qualità di Comandante in capo delle forze armate, a condizione però del pieno riconoscimento dell’autorità del GNA di Tripoli. In realtà, il compromesso non sembra interessare il generale che, forte del vasto sostegno nell’Est e del controllo di fondamentali giacimenti petroliferi e gasdotti, potrebbe voler ambire al pieno controllo di un esercito libico unito, senza dover sottostare però al potere politico di Tripoli. Parallela alla rivalità tra i due Governi, la fitta rete di scontri e alleanze tra gruppi armati, tribù e “città-stato” complica la lotta per il potere nel Paese e alimenta la sua instabilità. Ideologicamente divise, milizie e tribù sono ulteriormente separate lungo linee regionali, locali ed etniche. Ciascuna stringe proprie alleanze, si schiera a favore dell’una o dell’altra fazione, ma di fatto combatte la propria guerra, rivendicando potere e pieno controllo sul proprio territorio. Per anni, dopo la caduta di Gheddafi, nel desertico Sud della Libia, le tribù Tebu e Tuareg hanno combattuto una sanguinosa guerra che si è intrecciata al più vasto conflitto nazionale. Solo il 2 aprile scorso, grazie alla mediazione italiana, è stato siglato un accordo di riconciliazione, che però difficilmente mostrerà effetti nel breve periodo, vista l’importanza strategica della regione per il controllo dei pozzi petroliferi e delle principali rotte dei traffici illegali.
Maria Di Martino
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
- Dal 2014, la città di Derna è stata la principale meta di ritorno dei jihadisti libici partiti per la Siria e l’Iraq e, per mano loro, si è formata in Libia quella cellula IS che si è progressivamente estesa verso ovest, fino a conquistare la città di Sirte nel febbraio 2015. Una campagna delle forze pro-GNA, col supporto di attacchi aerei statunitensi, ha permesso dopo mesi di combattimenti la riconquista di Sirte nel dicembre 2016.
- Riuniti al Viminale, i rappresentanti di oltre 60 clan, tra cui i Tebu, gli Awlad Suleiman e i Tuareg, alla presenza del vicepresidente libico Kajman, hanno siglato un accordo di pace che dovrebbe garantire il controllo delle frontiere con Ciad e Niger, contro il traffico di esseri umani, in cambio di un piano di investimenti per lo sviluppo del sud libico.
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