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Africa e vaccini: uno per tutti, tutti per uno?

AnalisiLa questione riguardante l’acquisto e la distribuzione dei vaccini anti-Covid è, di per sé, un tema molto complesso, le cui dinamiche si complicano ulteriormente quando entrano in gioco Paesi quasi totalmente sprovvisti delle risorse umane, finanziarie e infrastrutturali necessarie per affrontare prontamente una pandemia mondiale. L’unica risposta a queste difficoltà sembra essere il multilateralismo: il caso dell’Africa, fra qualche mese, ci rivelerà la sua effettiva efficacia. 

CIFRE INASPETTATE

Il 26 gennaio 2021, in occasione del World Economic Forum di Davos, il Segretario Generale dell’OCSE Angel Gurría ha dichiarato che garantire un accesso globale ai vaccini contro la Covid-19 è, nella sua interezza, la più grande sfida che il genere umano abbia mai dovuto affrontare, sottolineando il bisogno di azioni e soluzioni condivise, fra cui l’assistenza e il supporto ai Paesi in via di sviluppo. Effettivamente senza una rapida ed equa espansione dell’accesso ai vaccini e senza una copertura del fabbisogno finanziario dei Paesi a più basso reddito sembra improbabile poter debellare la pandemia nel breve termine: se, infatti, la maggior parte degli adulti nelle economie avanzate verrà vaccinata entro la metà del 2022, le stime più recenti spostano l’orizzonte temporale al 2024 per il raggiungimento dell’immunizzazione di massa negli Stati più poveri. Tale scenario risulta problematico se pensiamo (e prestiamo fiducia) al leitmotiv che ha accompagnato questo ultimo anno e mezzo di politica internazionale: nessun Paese sarà al sicuro fino a quando non lo saranno tutti. Ad avvalorare questo sentimento auspicante un approccio multilaterale ci sono alcune cifre da tenere presente. Una recente analisi dell’Economist, sviluppata sulla base di un modello a 121 variabili (dal numero di morti registrate alla demografia), rivela che le vittime da Covid-19 sarebbero già fra i 7,1 milioni e i 12,7 milioni, un eccesso di circa 7-10 milioni di morti rispetto alle cifre ufficiali (attualmente si parla di poco meno di 3 milioni e mezzo di vittime). La maggior parte delle perdite che nessuno, a oggi, ha ancora contato sono avvenute principalmente nei Paesi a medio-basso reddito: secondo le stime riportate dalla rivista inglese, in Romania le cosiddette “morti in eccesso” sarebbero più del doppio di quelle registrate e in Egitto tredici volte di più. In Perù sembra che la pandemia abbia colpito due volte e mezzo più duramente che in India (dove oltre 2mila persone muoiono ogni giorno) e simili dimensioni del contagio si hanno in Nepal e in Pakistan. Davanti a questi numeri, è opinione comune che l’unica via alla salvezza sia la vaccinazione.

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Fig. 1 – Un’infermiera somministra le vaccinazioni anti-Covid-19 sopra un autobus a Kolkata (Calcutta), in India

QUALE STRATEGIA?

È per questo motivo che le Nazioni Unite e i suoi partner hanno lanciato l’iniziativa COVAX (Acceleratore per l’Accesso agli Strumenti Covid-19), la quale attraverso un’estesa collaborazione internazionale comprendente anche i Paesi più poveri del mondo si pone l’obiettivo di accelerare la produzione e l’accesso equo a test diagnostici, terapie e vaccini contro la Covid-19, condividendo competenze e allestendo una rete di distribuzione unica. In particolare l’iniziativa punta a garantire ai Paesi con medio e basso reddito l’accesso ai vaccini di diversi produttori indipendentemente dal proprio potere d’acquisto, tentando di rispondere a quelle difficoltà strutturali che stanno caratterizzando la lotta alla pandemia in questo gruppo di Paesi: disponibilità dei vaccini, costi, produzione locale, logistica e infrastrutture. In una narrativa proiettata al futuro e al raggiungimento della sicurezza globale, l’iniziativa COVAX incontra (o si scontra?) con la recente dichiarazione del Presidente americano Joe Biden, il quale ha chiesto la temporanea revoca dei diritti sui vaccini anti-Covid per favorirne una diffusione più immediata tra Paesi, fra cui, per l’appunto, quelli in via di sviluppo. Mettendo da parte le ampissime considerazioni sulla contesa scatenatasi tra proprietà intellettuale e diritto globale alla salute e volendoci concentrare sul nesso che lega il progetto ONU alla dichiarazione di Biden, va detto che in molti si sono definiti contrari, suggerendo piuttosto al Presidente di investire nell’iniziativa COVAX, donando dosi di vaccini se effettivamente spinto dal desiderio di fare la differenza.

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Fig. 2 – Un dipendente dell’OMS controlla l’arrivo delle prime dosi del vaccino AstraZeneca a Khartum, capitale del Sudan

REVOCA DEI BREVETTI: PERCHÉ NO?

In effetti la mancanza di materie prime, la limitata capacità di produzione e il complesso sistema di distribuzione non hanno nulla a che vedere con i brevetti, ma derivano piuttosto dalla complessità del prodotto da realizzare e dall’enorme quantità di dosi di cui c’è bisogno. In più non basta disporre di un brevetto per realizzare un vaccino a MRna (se così fosse, già in molti avrebbero usufruito della “ricetta” resa disponibile dall’azienda farmaceutica Moderna, la quale ha dichiarato di non far valere i suoi brevetti relativi alla Covid-19 contro altri produttori di vaccini). Senza know-how, capacità produttive e risorse economiche non è realistico pensare che chiunque, prendendo legalmente in prestito un brevetto, possa produrre un vaccino sofisticato ed efficace, come non è prudente disincentivare le grandi case farmaceutiche a investire (miliardi) nella ricerca e nello sviluppo di questi prodotti, creando un precedente che ne permette la sospensione dei brevetti in seguito a scelte governative. Le numerose varianti e mutazioni del virus rallentano l’estinzione della pandemia e rendono necessario il lavoro della comunità scientifica affinché continui a fare ricerca per garantire farmaci e vaccini efficaci nel lungo termine. La revoca dei diritti sui vaccini può rappresentare, di fatto, un freno all’innovazione nonché un mero gesto simbolico dalla scarsa efficacia. Rinunciare al nazionalismo vaccinale consentendo di esportare vaccini verso i Paesi terzi e investire maggiori risorse in COVAX, canale ufficiale di distribuzione, sarebbero risposte potenzialmente più significative. A ben guardare, infatti, Paesi come Regno Unito e Canada hanno inizialmente ordinato una quantità di dosi decisamente superiore a quella necessaria per ciascun adulto (si stima nove dosi in più nel Regno Unito, tredici in Canada) che, se donate, potrebbero avere maggiore utilità in altre parti del mondo.

Fig. 3 – Infogramma a cura di Francesca Carlotta Brusa, autrice dell’articolo

I NUMERI DELL’AFRICA

Messo in atto a partire da febbraio, il programma ONU mira a distribuire 600 milioni di dosi in Africa, quantità sufficiente a vaccinare solo il 20% della popolazione del Continente: si pensi che in Africa subsahariana sono disponibili soltanto otto dosi ogni 1.000 abitanti. A questo si aggiungono le preoccupazioni mostrate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ad aprile 2021 dichiara che meno del 2% dei vaccini a livello globale è stato somministrato in Africa, dove, fra l’altro, la distribuzione sta avvenendo a macchia di leopardo, concentrando il 93% delle dosi in soli 10 Paesi, e dove una terza ondata minaccia di colpire nuovamente Kenya, Etiopia, Eritrea, Mali, Ruanda e Tunisia. La lotta alla pandemia viene affrontata in maniera altrettanto variegata dai Governi locali africani, fra titubanze di carattere scientifico, prese di posizioni di natura ideologica e introduzione di tecnologie all’avanguardia. Si passa dal caso della Tanzania, Paese che ha smesso di riportare all’OMS i casi di Covid-19 da maggio 2020 e che sta ritardando l’adesione all’iniziativa COVAX a causa di un forte scetticismo nei confronti dell’effettiva validità scientifica dei vaccini (in parte diminuito grazie al cambio di passo politico ottenuto con l’elezione della nuova Presidentessa Samia Suluhu Hassan) al caso del Ghana, uno dei primi Stati ad aver beneficiato del programma e ad aver distribuito le dosi di vaccino fra le strutture sanitarie del territorio per mezzo di droni, con l’obiettivo di riuscire a trasportare più di 2,5 milioni nei prossimi mesi. Ci sono i Governi di Burundi ed Eritrea che si sono rifiutati di iniziare la campagna vaccinale nella convinzione che la pandemia possa essere sconfitta con altri metodi (come, ad esempio, respirare vapore acqueo), mentre in Malawi sono state bruciate circa 20mila dosi scadute di AstraZeneca per dimostrare e assicurare che ogni vaccinazione sarà effettuata in modo sicuro e controllato, nel tentativo di mantenere alta la fiducia della popolazione nei confronti del Governo e delle Autorità sanitarie in un momento di tale difficoltà. Accanto alle iniziative globali l’Unione Africana ha, poi, promosso l’Africa Vaccine Strategy, piano di azione con il quale l’Organizzazione ha stimato il fabbisogno finanziario del continente a 12 miliardi di dollari e ha creato una task force specifica per l’acquisizione dei vaccini (AVATT). Affrontata su due livelli, internazionale e regionale, si auspica che la pandemia abbia sempre meno margine di diffusione nei Paesi in via sviluppo, nonostante sarà solo nei prossimi mesi che si potranno vedere i tanto desiderati frutti del multilateralismo (o forse no). 

Francesca Carlotta Brusa

Syringe aimed at the globe.” by shixart1985 is licensed under CC BY

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Perchè è importante

  • Garantire ai Paesi in via di sviluppo un accesso più rapido alle vaccinazioni anti-Covid è l’unica via perseguibile per debellare la pandemia a livello globale.
  • L’avvio dell’iniziativa COVAX e la proposta americana di revoca dei brevetti hanno scatenato un acceso dibattito. Quali sono i termini della discussione? Come agire?
  • Il nazionalismo vaccinale potrebbe essere l’unico vero nemico del multilateralismo.
  • Nonostante alcuni progressi nella lotta alla pandemia, l’Africa continua a scontrasi con i limiti strutturali di un continente che, da solo, non può salvarsi.

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Francesca Carlotta Brusa
Francesca Carlotta Brusa

Francesca Carlotta Brusa, 27 anni, da Imola, Emilia-Romagna. Laureata in Relazioni Internazionali alla LUISS Guido Carli a Roma, curiosa lettrice di geopolitica e appassionata di tematiche riguardanti la transizione sostenibile, la just resilience e il cambiamento climatico. Amante dell’Africa, del cibo, dei cani e delle passeggiate, ma anche di un sacco di altre cose, fra cui gli Avengers e i libri che si basano su fatti realmente accaduti.

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