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Cinema africano alla 74. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia

La presenza del cinema africano alla 74esima edizione del Festival del cinema di Venezia offre importanti spunti di riflessione sull’attualità di diversi Paesi del continente

UNO SGUARDO SULL’ATTUALITÀ AFRICANA – La rappresentazione dell’Africa che emerge dalla Mostra di quest’anno rispecchia la sua irriducibile varietà geografica, culturale, politica e sociale del continente. Le pellicole spaziano dal Marocco al Mozambico, dalla Libia al Sudafrica, dal Sudan all’Egitto. Nelle forme della finzione e del documentario trovano posto temi quali l’amore e la guerra, la corsa allo sviluppo e la lotta per l’affermazione dei diritti delle donne e delle minoranze in società in costante rivolgimento politico e sociale.  Alla 74esima Mostra prevale tra i cineasti africani uno sguardo disincantato e attento alle sfide dell’attualità del continente. Il maggiore contributo del cinema africano alla 74esima edizione della Mostra Internazionale viene dai sei film provenienti da diversi Paesi africani (Egitto, Libia, Marocco, Mozambico, Sudafrica, Sudan) selezionati per il concorso Final Cut in Venice. Si tratta di un workshop aperto esclusivamente a film realizzati in Africa e Medio Oriente con la finalità di gettare ponti e creare reti tra cineasti africani e arabi e di promuovere e supportare i prodotti di talenti emergenti.

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Fig. 1 – Il cast del film Mektoub, My love: Canto uno alla 74esima Mostra Internazionale del cinema di Venezia

Originari dei paesi che raccontano nei loro film, questi giovani registi fanno emergere dall’ordinario delle vite dei protagonisti valori e temi che hanno importanza e risonanza collettiva e universale: la forza dell’amore contro la pervasività della guerra, l’emancipazione femminile e sessuale in società dominate dall’uomo e dal conservatorismo, la sfida costante della violenza terroristica lanciata all’affermarsi dello stile di vita democratico e liberale in Africa e le profonde diseguaglianze generate della globalizzazione. Resta fuori da questa rappresentazione sull’Africa contraddistinto dal dovere di raccontare il presente anche nelle sue forme più drammatiche l’unico film in concorso, Mektoub, My love: Canto uno, di Abdellatif Kechiche, regista tunisino naturalizzato francese. Primo episodio di un dittico, questo film è l’adattamento del romanzo La Bressure La vraie (2011) di Francois Begaudeau. Girato interamente in Francia, questo lungometraggio non racconta una realtà africana, ma quella di un villaggio di pescatori nel sud della Francia filtrata attraverso lo sguardo introspettivo e contemplativo di Amin, aspirante sceneggiatore di origini tunisine che trascorre le vacanze nella sua città natale.

LA FORZA DELL’AMORE E LA CRITICA DELLO STATUS QUO – Ritorna a Venezia, alle Giornate degli Autori, dopo la selezione nel 2006 con WWW – What a Wonderful World, il regista marocchino Faouzi Bensaïdi, con il lungometraggio Volubilis. Questo film ambientato a Meknès, città natale del regista, rivolge una critica alla società contemporanea sullo sfondo della vita di una coppia di giovani sposi, Abdelkader e Malika. Lui, guardia in centro commerciale, lei, domestica, vivono un amore forte e passionale, sono alla ricerca dell’indipendenza abitativa e di una dignità negata dalla società in cui vivono, segnata da disparità e ingiustizie. In una breve intervista, il regista così si interroga: «Una certa globalizzazione ha preso in ostaggio le nostre vite. Le persone hanno un lavoro ma non hanno dignità. Può una storia d’amore molto bella resistere a questo? Quanto la nuova economia o la finanza che prende il sopravvento può influenzare l’intimo?» Quest’opera, realizzata con attori ed equipe tecnica interamente marocchini dà visibilità’ e lustro al cinema marocchino. La giuria della rassegna Final Cut in Venice ha premiato come miglior film il lungometraggio A Kasha del regista sudanese Hajooj Kuka che racconta una storia d’amore in tempo di guerra civile. ‘Kasha’ è quel momento in cui le truppe sparse dopo la battaglia vengono radunate per tornare nelle rispettive unità. Il protagonista del film Adnan, combattente ribelle del fronte antigovernativo sudanese, dopo la conclusione di un attacco, si allontana dalla sua unità distratto dall’amore per Lina, con l’aiuto di Absi, suo commilitone.

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Fig. 2 – Il regista marocchino Faouzi Bensaïdi

Da tempo la guerra è al centro dell’opera cinematografica di Hajooj Kuka che ha finora realizzato i documentari Darfur’s Skeleton (2009) e Beats of Antonov (2014) rispettivamente sugli effetti del conflitto in Darfur sull’ambiente e sul ruolo della musica nel supportare le comunità del Nilo Blu e delle montagne Nuba coinvolte nella guerra civile. Con Our Madness, il regista angolano João Viana chiama in causa l’ordine sociale e politico stabilito dall’attuale regime in Mozambico ed evoca la forza di liberazione da questo ordine che viene dalla follia e della creatività artistica attraverso la coraggiosa e ostinata ricerca del marito, impegnato in guerra, e del figlio della protagonista Lucy che scappa dall’ospedale psichiatrico in cui è ricoverata.

IL SOGNO DELL’EMANCIPAZIONE IN PERICOLO – La docufiction Dream Away dell’egiziano Marouan Omara e della danese Johanna Domke racconta la storia di un gruppo di giovani egiziani che, nell’insicurezza lavorativa ed economica in cui sono stati proiettati in una Sharm El Sheikh sconvolta dagli attacchi terroristici, temono di dover rinunciare al realizzato sogno di vivere uno stile di vita liberale occidentale. In che modo l’identità di questi giovani assimila l’incontro con il modus vivendi occidentale? Con Joint Possession/Indivision la regista marocchina Leila Kilani, già nota per Sur la Planche (2011), selezionato alla Quinzaine des Realisateurs del Festival di Cannes e premiato come miglior film al Festival di Taormina 2011, offre uno spaccato sulla febbrile Tangeri, dove ai progetti immobiliari faraonici si accompagnano i rifugi clandestini, i cosiddetti ‘clandos’, dove la protagonista Anis vive con madre e figlia. L’emancipazione da questa miserabile condizione viene dalla possibilità di vendere la comune proprietà terriera a un’impresa immobiliare: a tal proposito si tiene una riunione di famiglia. In The Harvesters/Die Stropers, del regista greco-sudafricano Etienne Kallos, è tematizzata la lotta per acquistare rilevanza di una nuova generazione di giovani Afrikaner nella società sudafricana contemporanea attraverso la storia di Jano, adolescente che vive con insicurezza la sua omosessualità al cospetto della fiera religiosità della madre e delle provocazioni del fratello acquisito Pieter, orfano di strada con cui è impegnato nella raccolta del mais.

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Fig. 3 – Il regista greco-sudafricano Etienne Kallos, qui al Sundance Film Festival. Il suo primo film Eersgeborene (Firstborn), del 2009, è stato il primo film in lingua Afrikaans a vincere il premio come miglior corto alla Mostra del cinema di Venezia

All’insegna dell’impegno civile è l’opera di Nahiza Arebi, regista e artista libico-britannica che ha partecipato con il documentario  in cui viene data visibilità al sogno di un gruppo di donne nella Libia post-rivoluzionaria, quello di rappresentare il loro paese giocando a calcio. L’infernale discesa del Paese nella guerra civile ha infranto questo sogno? Quale Paese, ormai diviso tra fazioni in lotta, queste donne dopotutto rappresenterebbero? Nahiza Arebi ha realizzato per HIVOS e OXFAM anche Women on the Frontline (2016) sul ruolo giocato in prima linea dalle donne nella lotta per i loro diritti nel corso della promettente stagione delle primavere arabe e per l’organizzazione Lybian Women’s Platform for Peace (LWPP)  #JusticeForSalwa (2015), un appello alla giustizia per Salwa Bugaighis, attivista dei diritti umani assassinata il 25 luglio 2014 mentre rientrava a casa dalle urne elettorali dopo aver espresso il suo voto. Tra le sue realizzazioni vi sono anche Libyan Flavours (2014), brevi video che celebrano la diversità culturale libica e Granny’s Flags (2012) in cui è ritratto il contributo alla lotta per la libertà dato dalle donne nei mesi della rivoluzione a Tripoli attraverso la testimonianza di Haja Fatma, madre di otto figli.

Salvatore Loddo

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Alla scorsa edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia è stato assegnato al film Akher Wahed Fina/The Last of Us del regista tunisino Ala Eddine Slim il premio Leone del Futuro come migliore opera prima.[/box]

Foto di copertina di gianni.turris Licenza: Attribution-ShareAlike License

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Salvatore Loddo
Salvatore Loddo

Sono nato in una piccola località turistica della Sardegna nel 1985. Studi e lavoro mi hanno portato lontano. Ultima tappa è Atene, dove vivo da qualche tempo. Ho studiato filosofia a Venezia e Torino, diritti umani e “studi sul genocidio” a Londra. Ho collaborato con il Centro Studi Sereno Regis (Torino), Saratoga Foundation for Women Worldwide (New York), Philosophy Kitchen (Torino). Ho pubblicato nel 2015 La Shoah. Una guida agli studi e alle interpretazioni e articoli sulla crisi in Centrafrica e sulla “responsabilità di proteggere”. Principali aree di interesse sono la violenza politica e le strategie di prevenzione, la trasformazione non violenta dei conflitti e le innumerevoli forme di rappresentazione della violenza estrema.

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