Recensioni | Geomovies – Nel suo ultimo lavoro Laura Poitras presenta un ritratto assai critico del leader di WikiLeaks, visto come una figura ambigua e amorale. Ad Assange Risk non è naturalmente piaciuto e ciò ha compromesso i suoi rapporti con la regista americana, premio Oscar nel 2015 per Citizenfour
Chi è Julian Assange? Un eroe? Un opportunista amorale? Un pericolo per la sicurezza internazionale? Forse tutto questo insieme. Certo è che per un pezzo della sua storia personale Julian Assange è stato l’icona globale della libertà di informazione in rete, della lotta contro la cospirazione e la segretezza del potere. Poi le cose sono cambiate e il nostro ha cominciato a perdere l’aureola.
Risk della regista Laura Poitras, premio Oscar nel 2015 con Citizenfour sulle rivelazioni di Edward Snowden, è uno sguardo “intimo” e prolungato (ben cinque anni di riprese) al re degli hacker.
Australiano di nascita, genio dell’informatica, come ogni talento che si rispetti Assange promette bene fin dalla prima ora. Da giovanissimo guida The International Subversives, un gruppo che  passa il tempo ad entrare nelle reti informatiche di mezzo mondo. Da una denuncia all’altra fino a rischiare il carcere, Assange nei primi anni Novanta è uno degli “smanettatori” più esperti a livello internazionale.
Nel 2006 fonda WikiLeaks, una piattaforma online che consente a fonti anonime di pubblicare documenti classificati e riservati, cioè sensibili dal punto di vista politico e militare.
Risk è iconico dalla prima scena. Una bottiglia di vino rosso aperta con i denti e giù scorrere l’Assange-pensiero.
“La maggior parte della gente con principi molto forti non sopravvive a lungo. Molte volte nella storia di WikiLeaks ho dovuto essere spietatamente pragmatico, capire che se cedi nel breve termine non corrompi i tuoi obiettivi di lungo termine […..], nel breve termine devi essere abbastanza disponibile ad equilibrare entrambi per sopravvivere il momento”
Cinque anni di riprese inaspettatamente difficili per Laura Poitras. “Credevo in questo progetto…sembrava che WikiLeaks stesse reinventando il giornalismo, un giornalismo che non veniva più fatto dall’undici settembre […] ‚ non so perché abbia accettato la mia proposta, in realtà penso di non piacergli”
Probabile che Assange si aspettasse un film agiografico.
Gran Bretagna, Nordfolk, 2011. Assange è agli arresti domiciliari per un caso di molestie sessuali ai danni di due giovani svedesi. La Svezia ha chiesto l’estradizione per interrogarlo, anche se non è stata mai formulata alcuna accusa a suo carico.
Una macchinazione del governo americano, l’ha definita Assange, respingendo recisamente tutte le accuse, per altro archiviate non senza clamore qualche mese fa.
Fatto sta che da cinque anni Julian Assange vive da rifugiato politico in una stanza della Ambasciata dell’Ecuador a Londra dove è arrivato travestito a bordo di una motocicletta mentre nello stesso momento un’aula di tribunale respingeva (prevedibilmente) l’appello contro la richiesta di estradizione. Chissà mai perché gli Stati Uniti non hanno chiesto l’estradizione direttamente alla Gran Bretagna.
Come Snowden (alla cui fuga Assange ha contribuito in maniera decisiva) anche Assange teme, e non a torto, di finire nella mani della giustizia americana. Lo attende una accusa già formulata dal Gran Jury di spionaggio e cospirazione. Nel 2010 WikiLeaks mette in rete circa 500.000 documenti militari classificati sulle guerre in Afghanistan e Iraq.
Una delle più grandi fughe di notizie della storia militare americana. Resoconti dettagliati pubblicati dalle principali testate giornalistiche internazionali (The Guardian, The New Work Times, Der Spiegel) che gettano un ombra pesantissima sulle operazioni militari in Medio Oriente, sul loro sostanziale insuccesso e sulle violazioni del diritto internazionale (uso massiccio dei droni, bombardamenti arbitrari, escalation di vittime tra i civili). Ma sopra a tutto, aprono gli occhi della ignara e sonnolenta opinione pubblica americana.
The sentence can be very though, fino al carcere a vita. Meglio non rischiare.
Mariangela Matonte
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