In 3 Sorsi – Il Governo britannico ha annunciato di aver formalmente inviato la richiesta di adesione all’Accordo Globale e Progressivo per il Partenariato Trans-Pacifico (CPTPP), per rafforzare ulteriormente il libero scambio con i Paesi del quadrante indo-pacifico. La scelta però appare poco rilevante sul piano strategico, mentre rischia di avere soltanto un significato simbolico.
1. LE AMBIZIONI DI LONDRA NEL PACIFICO
Dalla guerra dell’Oppio all’Hong Kong britannica, la Gran Bretagna ha sempre cercato di stabilire la propria la influenza nel Pacifico. Con la separazione dall’Unione Europea il Regno Unito sta ripensando il proprio ruolo di Global Britain, iniziando da un riposizionamento proprio in tale area. L’attuale teoria geopolitica della Global Britain nasce appunto con Brexit e con l’idea che questa non debba necessariamente significare “isolazionismo”, ma al contrario il principio da cui Londra dovrà ripartire per ri-affermarsi come grande potenza nello scacchiere internazionale. L’uscita dall’UE e lo svincolo del Regno Unito dall’UE rappresenta secondo molti l’occasione per avviare nuove partnership e cooperazioni di rilievo mondiale. Uno dei principali quadranti in cui Londra sta esercitando le proprie mire è l’area del Pacifico. Dal 2018 Londra ha cercato di inserirsi nella regione, dapprima provando a stabilire un dialogo con la Cina. La relazione sino-britannica però nel 2019 si è rivelata complicata per via della questione Huawei, di Hong Kong e delle accuse dell’ambasciatore cinese nel Regno Unito, Liu Xiaoming, che ha imputato al premier britannico Boris Johnson l’ingerenza negli affari di Pechino. Per queste ragioni i rapporti tra i due Paesi sono ai minimi storici. Poi tramite l’avvio degli accordi di libero scambio con alcuni attori della regione, tra cui la Corea del Sud nel settembre 2019 e il Giappone nell’ottobre 2020, nonché con l’inizio dei negoziati con Australia e Nuova Zelanda. Infine con il rafforzamento della partnership strategica con l’India, tramite cui Londra e Nuova Dehli hanno dichiarato di voler affrontare delle priorità condivise, come la lotta al cambiamento climatico e la pandemia da Covid-19.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Nella foto alcuni rappresentanti di alcuni degli 11 Paesi che fanno parte della partnership Trans-pacifica-CPTPP.
2. LA PARTENERSHIP TRANS-PACIFICA
Lunedì 1° febbraio il Governo britannico ha inviato la propria richiesta per avviare le procedure di adesione all’Accordo Globale e Progressivo per il Partenariato Trans-Pacifico (CPTPP). Per Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership si intende l’accordo di libero scambio commerciale tra alcuni Paesi dell’Indo-pacifico. Il primo tentativo di costruzione di questa partnership si ebbe nel 2010, sotto il nome di Partnership per il Transpacifico (TPP). Questo primo tentativo, in cui spiccava la presenza degli Stati Uniti, fallì nel 2017 con la decisione dell’amministrazione Trump di ritirarsi dall’accordo prima della ratifica. Le altre Potenze partecipanti scelsero di continuare i negoziati ed improntare un nuovo accordo, così nel 2018 firmarono il CPTPP. I Paesi firmatari dell’area sono Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam. Il blocco del libero scambio mira a ridurre le tariffe commerciali tra i Paesi membri. Tra le righe dell’annuncio del Dipartimento per il Commercio Internazionale del Governo UK si legge che “l’adesione al CPTPP è una priorità per il governo britannico e una parte fondamentale del nostro programma di negoziati commerciali come nazione commerciale di recente indipendente.” Le ragioni dell’adesione, quindi, appaiono in linea con la volontà di costruzione di una Global Britain.
Embed from Getty ImagesFig.2- A seguito di Brexit, i dazi e le dogane stanno complicando i rapporti commerciali tra Unione Europea e Regno Unito.
3. I LIMITI DELLA MANOVRA
Un‘adesione alla Partnership avrebbe effetti economici limitati per il Regno Unito a causa delle distanze geografiche e non compenserebbe le perdite della Brexit. Secondo l’economista Daharshini David, l’adesione all’accordo non comporterebbe alcun vantaggio sostanziale e i benefici che Londra otterrebbe sarebbero minimi: il Paese ha, di fatto, già accordi bilaterali con sette degli undici Paesi membri e ne ha in cantiere altri due (con Australia e Nuova Zelanda). Nessun elemento di novità quindi. In totale le nazioni del CPTPP rappresentano al momento circa il 10% delle esportazioni del Regno Unito, un dato di per sé basso specialmente se confrontato con i flussi commerciali con i Paesi UE. Per esempio, il dato eguaglia il valore delle esportazioni britanniche verso la sola Germania. Inoltre, molti sono i dubbi sulla natura del gesto, considerandolo più politico che commerciale: si tratterebbe dunque solo di una partnership simbolica. Per molti, infatti, Global Britain è sinonimo di malinconia per il periodo imperiale, un tentativo di ristabilire i legami storici con il Commonwealth. Infine, un ulteriore limite dell’adesione al CPTPP è da riscontrare nei futuri rapporti con la Cina. Anche Pechino ha infatti annunciato di considerare l’adesione all’Accordo di libero scambio nel Pacifico come strumento aggiuntivo di penetrazione nell’area. Il Regno Unito, presentandosi come “una potenza globale con un interesse geopolitico nell’area asiatica” e dati i precedenti problematici con Pechino, potrebbe rappresentare un ostacolo per le mire cinesi e la partnership finirebbe per non avere l’esito sperato.
Alessandra Fiorani
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