In 3 sorsi – Con la cancellazione delle sanzioni economiche e commerciali imposte dagli Stati Uniti, il Sudan passa ad essere da Stato canaglia un importante alleato americano nello scacchiere internazionale
1. FINE DELL’EMBARGO
Il 6 ottobre scorso la portavoce del Segretario di Stato degli Stati Uniti Tillerson ha annunciato la sospensione dell’embargo economico e commerciale nei confronti del Sudan, in vigore dal 1997. L’ordine n. 13067, firmato dal Presidente Clinton, dichiarava le politiche e le azioni del governo sudanese una grave minaccia alla sicurezza nazionale e alla politica estera americana. Pertanto proibiva l’importazione di beni e servizi sudanesi negli Stati Uniti, e l’esportazione di beni, tecnologie e servizi statunitensi verso il Sudan. Era inoltre proibito ai cittadini statunitensi facilitare le esportazioni dal Sudan verso qualsiasi destinazione o viceversa e stipulare prestiti a favore del governo sudanese. Infine, era fatto divieto di inviare qualsiasi tipo di supporto logistico e di effettuare transazioni commerciali e finanziarie. La decisione di revocare le sanzioni economiche è stata presa come riconoscimento delle azioni positive sostenute dal governo sudanese negli ultimi 16 mesi. I progressi specificatamente concernono l’impegno del Sudan a mantenere la cessazione delle ostilità nelle zone di conflitto (Darfur, Sud Kordofan, Nilo Blu), migliorare l’accesso umanitario, supportare la risoluzione del conflitto in Sud Sudan, neutralizzare il movimento terroristico Lord Resistance Army (LRA) e le attività di antiterrorismo e spionaggio tra il Sahel e il Corno d’Africa. Con la revoca delle sanzioni sono state sbloccate le proprietà del governo del Sudan negli Stati Uniti e tolta la proibizione per i cittadini statunitensi di effettuare transazioni commerciali e finanziarie. Poiché il Sudan resta nella State Sponsors of Terrorism List (SST List) è obbligatorio il rilascio di licenze da parte dell’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro per l’esportazione in Sudan di strumenti agricoli, medicinali, dispositivi medici, software e tecnologie. La revoca delle sanzioni non mette fine all’emergenza nazionale dichiarata dall’ordine presidenziale n. 13067, né invalida le sanzioni imposte al governo e ai soggetti coinvolti nel conflitto in Darfur.
Fig. 1 – Il Presidente del Sudan Oman Hasan Ahmad al-Bashir durante un discorso tenuto a Nyala, Darfur, nel settembre 2017. Per favorire la revoca delle sanzioni da parte degli Stati Uniti, Bashir ha intrapreso un lungo tour attraverso il Paese
2. REAZIONI ALLA REVOCA DELLE SANZIONI
La fine delle sanzioni è stata accolta positivamente da Egitto e Giappone, dai vertici dell’Unione Africana e dell’UNAMID e salutata come una vittoria storica da parte del partito del Presidente Omar Bashir, il National Congress Party. Secondo Abdelrahman Hassan, governatore della Banca Centrale Sudanese, la rimozione delle sanzioni permetterà al sistema bancario sudanese di essere reintegrato nell’economia globale. Il ministro dell’agricoltura auspica che la stabilizzazione dei tassi di cambio sosterrà il rilancio dell’agricoltura. Non sono mancate, tuttavia, i critici alla decisione presa dall’amministrazione Trump. Per gli esponenti del movimento ribelle del Darfur Justice and Equality Movement (JEM) la revoca dell’embargo offre al regime sudanese «un assegno in bianco per continuare a perpetrare orrendi crimini». Per il portavoce del Sudan Liberation Movement Minni Minawi (SLM – MM) l’unico a beneficiare sarà il regime di Khartoum responsabile delle condizioni di indigenza in cui vivono più di cinque milioni di persone che vivono in campi per rifugiati e sfollati all’interno del Paese. Secondo l’economista Hamid Eltigani dell’American University del Cairo, l’abolizione permanente delle sanzioni susciterà un effetto psicologico positivo ma non migliorerà le condizioni di vita in Sudan per via del fatto che il settore produttivo, le infrastrutture e l’istruzione sono al collasso, condizioni per cui, in aggiunta alla permanenza nella lista dei Paesi che supportano il terrorismo, le principali aziende americane ed europee si asterranno dall’investire in Sudan. Secondo Andrea Prasow, vicedirettore dell’ufficio di Washington di Human Rights Watch «è un grave errore la rimozione permanente delle sanzioni dal momento che il Sudan non ha fatto progressi nel rispetto dei diritti umani».
Fig. 2 – Steven Koutsis, Chargé d’Affaires e direttore della delegazione speciale in Sudan durante una conferenza stampa sui rapporti tra Stati Uniti e Khartoum
3. IL FUTURO DELLE RELAZIONI TRA STATI UNITI E SUDAN
All’indomani della rimozione delle sanzioni le relazioni tra USA e Sudan saranno il diretto risultato della capacità dei due Paesi di realizzare i rispettivi obiettivi strategici alla luce delle vigenti dinamiche geopolitiche. Nell’agenda sudanese ci sono questioni in sospeso che il Ministro degli Esteri Ghandour gradirebbe ridiscutere nei prossimi incontri con Washington. Tra queste, la permanenza del Sudan nell’elenco degli Stati sponsor del terrorismo, l’alleggerimento dell’enorme debito estero e l’adesione del Sudan all’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Dal canto loro, gli Stati Uniti chiedono al Sudan di compiere maggiori sforzi nel raggiungere una stabilità interna e di cooperare su una serie di priorità dell’amministrazione Trump, come l’ulteriore espansione dell’accesso umanitario, il rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa e l’incondizionato impegno nel rispettare le sanzioni imposte dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite alla Corea del Nord. Secondo International Crisis Group Washington dovrebbe usare le sanzioni ancora in essere per incoraggiare nuovi passi in avanti nell’ambito delle riforme politiche e del rispetto dei diritti umani. Parimenti, l’organizzazione Enough Project suggerisce all’amministrazione Trump una nuova linea di collaborazione con il governo sudanese incentrata sul raggiungimento della pace e il rispetto dei diritti umani mediante la disposizione di un nuovo insieme di precise sanzioni economiche che risparmino la popolazione sudanese, mirate a colpire coloro che sono responsabili di atrocità di massa, della demolizione delle chiese, dell’ostruzione degli aiuti umanitari, dell’arresto e della tortura dei giornalisti. All’uso del bastone l’amministrazione Trump alternerà quello della carota. Gli Stati Uniti hanno promesso di utilizzare l’impegno diplomatico per incoraggiare progressi e sanzioni mirate nel caso il Governo del Sudan intraprenda attività destabilizzanti. Nelle relazioni tra USA e Sudan entrano in gioco determinati equilibri geopolitici. Un blocco di Paesi come Israele, Arabia Saudita e Emirati Arabi hanno fatto pressione sull’amministrazione Trump a favore della rimozione delle sanzioni. Nel 2014, il Sudan ha interrotto le storiche relazioni con l’Iran, le ha riallacciate con l’acerrimo nemico israeliano. In cambio di due miliardi di dollari depositati nella Banca Centrale, il Sudan sin dal marzo 2015 ha messo a disposizione della coalizione anti-iraniana guidata dai paesi del Golfo migliaia di uomini nella guerra in Yemen. Il Sudan è considerato un partner strategico dall’Unione europea nella gestione delle rotte migratorie. In cambio del supporto dato in operazioni transfrontaliere di lotta alla tratta degli esseri umani, al contrabbando dei migranti e al terrorismo internazionale, il Paese beneficia di speciali programmi di sviluppo. Infine, l’interruzione del traffico d’armi con la Corea del Nord ha portato definitivamente il Sudan dalla parte degli alleati degli Stati Uniti.
Salvatore Loddo
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””] Un chicco in più
Il Sudan è la porta d’uscita verso il Mar Rosso del greggio estratto in Sud Sudan da compagnie statunitensi come ExxonMobil di cui il Segretario di Stato Tillerson è stato amministratore delegato. [/box]
Foto di copertina di Free Grunge Textures – www.freestock.ca Licenza: Attribution License