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Rally in Kenya(tta)

Le recenti elezioni in Kenya hanno premiato Uhuru Kenyatta, politico potente e controverso, sotto processo di fronte alla Corte dell’Aia per crimini contro l’umanità. Parte della comunità internazionale, soprattutto Stati Uniti e Gran Bretagna, avevano più volte espresso perplessità sulla sua figura, causando la reazione del popolo keniota, che ha votato il nuovo capo di Stato col 50,03% delle preferenze e senza le violenze del 2008. Adesso gli attori occidentali dovranno tentare di non compromette i rapporti con il Kenya, Paese fondamentale per la sicurezza dell’Africa orientale e la lotta al terrorismo islamista, nonché campo di scontro tra gli interessi economici angloamericani e quelli asiatici, sempre più presenti.

 

LE ELEZIONI IN KENYA – Agli inizi di marzo, il Kenya ha scelto  il proprio Presidente, ossia Uhuru Kenyatta, uno degli uomini più potenti e controversi del Paese, figlio del primo Capo di Stato dopo l’indipendenza (1963) e imputato presso la Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità. All’estero si temeva che le elezioni fossero caratterizzate dalla riproposizione degli scontri intertribali che tra il 2007 e il 2008 causarono oltre 1.300 morti e 600mila sfollati – proprio i fatti per i quali Kenyatta è chiamato a difendersi all’Aia. Eppure, quest’anno il Paese ha mostrato una responsabilità politica inattesa, derivata anche dall’attenzione rivolta alle recenti elezioni dalla comunità internazionale, attraverso costanti appelli alla concordia e alla riconciliazione. Secondo alcuni osservatori, i timori dei rappresentanti stranieri riguardo all’eventuale vittoria di Kenyatta avrebbero favorito proprio la sua elezione, con una sorta di “rally around the flag” contro le ingerenze esterne.

 

CHI È UHURU KENYATTA – Il nuovo Presidente keniota è nato nel 1961 e, come già detto, è figlio di Jomo Kenyatta, eroe dell’indipendenza dal Regno Unito. Laureatosi negli USA, Uhuru è tra gli uomini più ricchi in Africa: gestisce infatti ampi investimenti in molti settori, possedendo mezzi di comunicazione e potendo contare su un patrimonio difficilmente stimabile (comprendente anche quasi 250mila ettari di terreni) acquisito dalla famiglia durante la transizione post-coloniale con metodi non sempre trasparenti. Kenyatta, eletto per la prima volta in Parlamento nel 2001, fu prima vice Primo Ministro (2008), poi ministro delle Finanze. La svolta, però, è stata nel 2012, con l’assunzione della guida della National Alliance, incarico col quale egli impose una svolta modernizzatrice al partito e alla vita politica keniota, avviando una vera e propria rivoluzione digitale attraverso l’uso costante di internet e social network. Sulla sua figura, tuttavia, pesa il processo di fronte alla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità: Kenyatta è accusato di aver fomentato e organizzato gli scontri tra la propria tribù, i Kikuyu, e quella dei Kalenjin del suo rivale, ma ora alleato, William Ruto, a sua volta imputato per gli stessi reati.

 

Licenza CC: International Livestock Research Institute (ILRI), Flickr.
Una lunga fila di kenioti in attesa di votare

IL DILEMMA OCCIDENTALE: CHE FARE CON KENYATTA? – La posizione di Kenyatta imbarazza gli attori occidentali, poiché, se da un lato le cancellerie, soprattutto a Washington e Londra, hanno già preannunciato l’opportunità di non procedere oltre rapporti formali con il Presidente, dall’altro lato è evidente che Nairobi rappresenti un’alleata fondamentale per la sicurezza in Africa orientale e nell’Oceano Indiano. Basti considerare, infatti, il contributo keniota alla lotta contro al-Shabaab, riguardo alla quale l’intervento militare in Somalia alla fine del 2011, su forte sollecitazione francese, è la manifestazione maggiore. Non bisogna dimenticare nemmeno che gli Stati Uniti dispongano di alcuni UAV in Kenya e che il contrasto al terrorismo islamista passi anche dal controllo delle regioni nord-occidentali del Paese. Il porto di Lamu, infine, sarà il terminale dell’ambizioso LAPSSET, il corridoio infrastrutturale dal costo di 22 miliardi di dollari che dovrebbe unire il Sudan del Sud all’Oceano Indiano. Economicamente, Nairobi sta attirando con sempre maggiore costanza investimenti da Cina e India direttamente concorrenti con i capitali britannici e statunitensi: un’ottima ragione per non procedere con roboanti vie di fatto contro Kenyatta, il quale, per di più, al contrario di al-Bashir ha accettato di sottoporsi al giudizio dell’Aia.

 

PROSPETTIVE E ATTESE – Kenyatta ha ottenuto il 50,03% delle preferenze, superando lo sfidante Raila Odinga, primo ministro uscente, ed evitando di poco il ballottaggio. I ricorsi degli altri candidati, salvo sorprese, non dovrebbero essere accolti, confermando la sostanziale validità delle elezioni, nonostante qualche episodio oscuro. Tuttavia, gli avvertimenti della comunità internazionale hanno senz’altro influito su una polarizzazione del voto a vantaggio di Kenyatta, il quale potrà contare su un buon sostegno da parte della popolazione. Le speranze sono affinché il nuovo Presidente conduca a un complessivo rinnovamento della vita politica nel Paese – sono forti gli auspici che l’alleanza con l’ex nemico Ruto, posto alla vice Presidenza, sia segno di reale pacificazione – prendendo una netta posizione contro quelle che molti kenioti ritengono ingerenze colonialiste da parte delle potenze straniere e creando condizioni vantaggiose per un ingresso più ampio e diversificato di capitali stranieri a condizioni vantaggiose per Nairobi.

 

Beniamino Franceschini

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Beniamino Franceschini

Classe 1986, vivo sulla Costa degli Etruschi, in Toscana. Laureato in Studi Internazionali all’Università di Pisa, sono specializzato in geopolitica e marketing elettorale. Mi occupo come libero professionista di analisi politica (con focus sull’Africa subsahariana), formazione e consulenza aziendale. Sono vicepresidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del desk Africa. Ho un gatto bianco e rosso chiamato Garibaldi.

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