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Il tour di Trump in Asia

In 3 sorsi – Presentato dallo stesso tycoon come un grande successo personale, la visita di Donald Trump in Asia è andata avanti tra colpi di scena, tête-à-tête con Kim Jong-un e proficui accordi. Offriamo una rassegna del viaggio, riassumendo per prima cosa – e rapidamente – gli eventi più significativi, e poi concentrandoci sui due temi più “scottanti”: commercio e Corea del Nord

1. UN BREVE RIASSUNTO, TRA VECCHIE E NUOVE CONOSCENZE 

Dopo una visita di due giorni nel più “giovane” degli Stati USA, le Hawaii, il tycoon, ben deciso a promuovere la sua filosofia dell’America First anche in Asia, si è imbarcato il 5 novembre alla volta di Tokyo; la Casa Bianca sarebbe rimasta senza il suo più importante inquilino per altri dieci giorni. Infatti, dopo aver trascorso tre giorni con Shinzo Abe, tra partite a golf e distribuzione di mangime ai pesci, Trump è dovuto tornare alle sue incombenze presidenziali, proseguendo il suo viaggio in Corea del Sud (7-8 novembre) e Cina (8-10 novembre), dove è stato accolto con tutti gli onori da Xi-Jinping, con tanto di tour nella Città Proibita. L’Air Force One è quindi ripartito alla volta del Vietnam (10-12 novembre), dove il Presidente ha preso parte al forum dell’Asian-Pacific Economic Cooperation (APEC), e successivamente verso le Filippine (12-14 novembre), Paese ospite del 31. Summit dell’Association of Southeast Asian Nations (ASEAN).

In Vietnam era presente anche Vladimir Putin; pur non essendo stato organizzato alcun incontro ufficiale, i due hanno avuto tempo per una stretta di mano e una chiacchierata amichevole: tanto è bastato per riuscire a produrre un comunicato congiunto in cui entrambi si pronunciavano in favore della «sovranità, indipendenza e integrità territoriale della Siria», ribadendo il ripudio della soluzione militare al conflitto. Putin ha inoltre garantito a Trump che durante le elezioni 2016 non vi fu nessuna interferenza da parte del Governo russo; la sua controparte statunitense, del resto, non ha avuto nulla da obiettare, anzi si è detta convinta della sua sincerità. Dopo poco Trump ha ritrattato le proprie posizioni, che però hanno avuto, come al solito, un certo impatto.

Ultimo a comparire sulla scena è stato il Presidente delle Filippine Rodrigo Duterte, con il quale sembra che Donald Trump si sia trovato molto bene: al termine di un breve colloquio durato quaranta minuti con il suo collega filippino, il tycoon ha lodato la grande relazione tra Stati Uniti e Filippine – stando alle parole del portavoce del governo filippino entrambi hanno “condiviso” la loro antipatia nei confronti di Barack Obama. Trump non ha discusso, nonostante gli fosse stato richiesto sia da politici che da attivisti, di diritti umani – in riferimento  alle risvolti cruenti della guerra “totale” lanciata da Duterte per combattere il traffico di droga.

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Fig. 1 – Trump incontra Rodrigo Duterte durante il Summit dell’ASEAN (Filippine)

2. UN “NEW DEAL” SUL COMMERCIO

Uno dei punti più importanti nell’agenda presidenziale in vista del viaggio in Asia era certamente il commercio. Come sappiamo, una delle major issues della campagna elettorale di Donald Trump è stata proprio l’ostilità verso tutti quei trattati di libero scambio (NAFTA, KORUS, TPP, TTIP) stipulati a suo parere ai danni dell’industria nazionale.  Difatti, uno dei primi ordini esecutivi del Presidente è stato quello di ritirare gli USA dalle trattative per la Trans-Pacific Partnership (TPP), che avrebbe incluso buona parte delle nazioni affacciantisi sul Pacifico, attirandosi le numerose critiche di tutti coloro i quali temevano che, così facendo, si sarebbe permesso alla Cina di estendere enormemente la propria influenza (anche se nel mentre, tutti gli altri undici Paesi avevano deciso di implementare in ogni caso il trattato).

La risposta a queste accuse è arrivata a Da Nang, in Vietnam, dove Trump ha offerto la possibilità a qualunque Paese lo desiderasse di poter stipulare un accordo commerciale bilaterale con gli Stati Uniti, in sostituzione del vecchio patto multilaterale. Il Presidente ha inoltre lamentato la scarsa reciprocità da parte di molti Paesi, che sono riusciti ad arricchirsi dall’abbattimento delle tariffe doganali statunitensi, senza abbassare le proprie, e ha attaccato la World Trade Organization (WTO) per non aver trattato onestamente gli USA.

L’attivismo del Presidente non si è fermato  qui. Sebbene avesse messo in discussione l’accordo di libero scambio con la Corea del Sud, una volta arrivato a Seoul non ha dato seguito alle sue minacce. Allo stesso modo, sono stati firmati importanti accordi per la vendita di armamenti alla Corea del Sud e al Giappone. In Cina gli Stati Uniti sono riusciti a strappare solo qualche vittoria a breve termine, come gli accordi commerciali da 250 miliardi di dollari; le promesse di future aperture al mercato Usa sono rimaste vaghe, nonostante Xi abbia espresso una certa empatia verso la riduzione del deficit commerciale sino-americano.

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Fig. 2 – Trump e la First Lady visitano la CittĂ  Proibita assieme a Xi Jinping

3. I PROBLEMI CON KIM JONG-UN

La questione Corea del Nord non poteva naturalmente passare inosservata durante il viaggio asiatico del tycoon. Quest’ultimo ha confermato la linea dura contro il regime di Kim Jong-un, sebbene si sia astenuto dal minacciare attacchi unilaterali contro Pyongyang, lasciando apparentemente un piccolo spiraglio aperto per il dialogo – cosa parecchio gradita da Seoul. La vendita di sistemi d’arma a Giappone e Corea del Sud va letta come un tentativo da parte del Presidente di dare seguito alla sua politica e di rafforzare la cooperazione multilaterale con i due alleati degli USA nella regione.

L’incognita piĂą grande rimane comunque la Cina: pur avendo infatti Xi Jinping condannato Kim per i suoi test missilistici e pur avendo varato alcune sanzioni contro il regime, queste non sono mai state tanto incisive da mettere in ginocchio il dittatore nordcoreano. In generale, la Cina non si è mai mobilitata per porre fine alle provocazioni di Pyongyang, nonostante avesse tutte le possibilitĂ  per farlo: questo è piĂą o meno il riassunto delle lamentele di Trump, che si è dunque recato a Pechino per spronare Xi all’azione. Purtroppo, assieme ai risultati commerciali, non è riuscito effettivamente a ottenere molto piĂą che un semplice assenso da parte della Cina nel voler essere parte attiva nella denuclearizzazione della penisola coreana, assieme all’implementazione di alcune sanzioni.

Fortunatamente, il tour asiatico Trump si è svolto senza provocazioni particolari da parte di Kim, se non quella di apostrofare il Presidente definendolo un «vecchio rimbambito […] ansioso di scatenare un conflitto nucleare», a cui ha fatto seguito un bizzarro tweet del tycoon (in quel momento in Vietnam), nel quale si è rivolto a Kim Jong-un chiedendosi perché lo avesse definito “vecchio” mentre lui non lo chiamerebbe mai “basso e grasso” nonostante i suoi tentativi di distensione: «Io ci ho davvero provato ad essere suo amico – forse un giorno succederà!».

Vincenzo G. Romeo

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””] Un chicco in piĂą

Appena tornato in patria, Trump ha tenuto una conferenza stampa. Ad un certo punto è stato costretto a fermarsi per bere un sorso d’acqua; in passato the Donald si era preso gioco per una simile ragione del Senatore Marco Rubio, che ha sarcasticamente commentato: «Simile al mio caso, anche se deve lavorare sulla forma. Bisogna farlo in una sola mossa e lo sguardo dovrebbe rimanere fisso sulla camera. Ma niente male per la sua prima volta».

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Foto di copertina di North Charleston Licenza: Attribution-ShareAlike License

 

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Vins G. Romeo
Vins G. Romeo

Nato nel 1997, studio Economia a Bologna. La politica americana si somma ai miei giĂ  numerosi interessi in politica internazionale, storia ed economia, in particolare dopo un fruttuoso scambio accademico alla University of California, Los Angeles.

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