In 3 Sorsi – I nuovi sviluppi nel processo per l’omicidio dell’attivista Berta Cáceres gettano nuova luce sulla questione sempre aperta dei difensori dei diritti umani in America Latina e su quanta strada c’è ancora da fare per assicurare la loro tutela.
1. GLI ULTIMI SVILUPPI NEL PROCESSO
Lunedi 5 luglio Roberto David Castillo Mejía, ex ufficiale dell’intelligence honduregna ed ex Presidente esecutivo dell’impresa idroelettrica Desarrollos Energéticos S.A. (DESA) è stato giudicato colpevole dal Tribunale di Tegucigalpa nell’ambito del processo per l’assassinio dell’attivista e difenditrice dei diritti umani Berta Cáceres, avvenuto nel 2016.
A seguito delle prove raccolte, in cui figurano telefonate e messaggi incriminanti, Castillo è stato ritenuto dal Tribunale honduregno “co-autore” dell’omicidio, in quanto ne avrebbe organizzato la logistica e avrebbe messo in contatto gli esecutori materiali del crimine con i mandanti, come spiega la portavoce del Tribunale Lucía Villars.
Castillo si dichiara innocente e ribadisce i suoi buoni rapporti con la vittima, ma l’accusa sostiene che l’imputato avrebbe utilizzato l’amicizia con Berta per ottenere informazioni sui suoi spostamenti e attività. La lettura della sentenza è prevista per il 3 agosto. Castillo rischia dai 20 ai 35 anni di carcere.
Fig. 1 – Alcuni membri della Polizia Militare dell’Ordine Pubblico scortano David Castillo, Presidente di Desarrollos Energeticos S.A. (DESA) e presunta mente dell’omicidio dell’attivista honduregna e leader indigena Berta Caceres, all’arrivo presso il tribunale per la pronuncia della sentenza, Tegucigalpa, 5 luglio 2021
2. CHI ERA BERTA CÁCERES
Berta Cáceres venne uccisa a sangue freddo nella sua residenza a La Esperanza nella notte del 3 marzo 2016 da un gruppo di sicari che si pensa siano stati assoldati dai proprietari di DESA, una delle più influenti famiglie honduregne, gli Átala Zablah. Ad oggi sono stati condannati i sette esecutori materiali, ma non ci sono ancora prove che colleghino i membri della famiglia all’omicidio di Berta.
Berta Cáceres era nota per il suo impegno in difesa delle popolazioni indigene e delle risorse naturali del loro territorio. Nel 1993 fondò il COPINH (Consiglio Nazionale delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras), con il quale portò avanti le sue principali battaglie.
L’ultima grande campagna di Berta, che le è valsa il premio Goldman nel 2015 (equivalente al Nobel in materia ambientale), è stata la lotta contro la costruzione di un imponente impianto idroelettrico per conto di DESA sulle acque del fiume Gualcarque, sacro alla popolazione indigena Lenca. L’Impresa honduregna avrebbe ottenuto l’appalto grazie a operazioni di corruzione delle Autorità governative locali senza il previo consenso libero e informato della popolazione indigena, che abita di diritto i territori ancestrali in questione.
Berta, assieme al COPINH, riuscì a far saltare gli accordi di DESA con il Governo e i finanziatori internazionali, bloccando così la costruzione dell’impianto. Questa è la motivazione principale che ha portato al suo assassinio.
Fig. 2 – Centinaia di indigeni honduregni e contadini in marcia per chiedere giustizia per l’assassinio dell’attivista indigena Berta Caceres, Tegucigalpa, 17 agosto 2016
3. UNA QUESTIONE ANCORA APERTA
La violenza ai danni dei difensori dei diritti umani è una questione che preoccupa a livello mondiale e che ha raggiunto dati allarmanti negli ultimi anni, soprattutto a causa del clima di impunità generale che caratterizza molti Paesi.
Secondo un rapporto del 2021 redatto dal Commissario dell’ONU per i Diritti Umani (UNHRC) sulla situazione dei difensori dei diritti umani, nel periodo 2015-2019 sono stati uccisi 1.323 attivisti, di cui 281 solo nel 2019. L’America Latina figura come la regione più colpita, con 933 omicidi di attivisti nel periodo considerato.
In particolare l’Honduras risulta come la nazione più pericolosa per i difensori dei diritti umani, considerate le sue dimensioni. L’esecuzione di Berta ha portato all’attenzione internazionale la questione, ma ha anche provocato un incremento del numero di uccisioni nel Paese (14 attivisti ambientali uccisi nel 2019). Tra le ultime vittime figurano Feliz Vasquez, José Medina e Carlos Cerros, tutti rappresentanti della comunità Lenca.
Il rapporto dell’UNHRC afferma come sia urgente che gli Stati in primis si rendano responsabili dell’implementazione di meccanismi di tutela efficienti a protezione degli attivisti, in modo da evitare tragedie già annunciate.
Diverse Organizzazioni internazionali per i diritti umani quali l’UNHRC e la Commisione Interamericana dei Diritti Umani sottolineano infatti come le vittime siano oggetto di minacce di morte, persecuzioni e altre violenze da parte di imprese e anche delle Autorità statali stesse. Inoltre le denunce effettuate non vengono quasi mai prese in debita considerazione, condannando così gli attivisti a morte certa.
Sara Ferrari
“Manifestación Berta Cáceres” by Comisión Interamericana de Derechos Humanos is licensed under CC BY