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Missione compiuta? Dialogo sui raid in Siria

I raid anglo-franco-americani di sabato notte sulla Siria, effettuati come risposta al presunto attacco chimico di Douma della scorsa settimana, hanno provocato polemiche e reazioni forti anche in Italia. In redazione abbiamo invece cercato di discutere a mente fredda dell’evento e di capire le sue possibili conseguenze per il futuro del conflitto siriano e degli equilibri mediorientali. Qui sotto presentiamo proprio tale conversazione con la speranza di stimolare un simile dibattito anche tra i nostri lettori.

ELISABETTA ESPOSITO MARTINO

Le reazioni internazionali agli attacchi di sabato notte sono state molto forti e non sembrano promettere nulla di buono. Russia e Siria collocano aerei da guerra, l’Iran minaccia larvatamente Israele, Gerusalemme vuole bloccare l’Iran, l’ONU fa appello alla moderazione, Putin ha detto che l’attacco non essendo stato autorizzato dall’ONU non ha fondamento giuridico e quindi non rimarrà impunito…Intanto Trump ha sottolineato che si andrà avanti fino a che sarà necessario.

DAVIDE LORENZINI

È vero che Trump ha minacciato di continuare, ma “nel caso in cui Assad continui a usare armi chimiche”. Insomma, a meno di ulteriori sviluppi, dovrebbe essere l’azione di una notte soltanto. Peraltro, si tratta di strike molto limitati, soprattutto tenuto conto che, secondo CNN e Wall Street Journal, Trump avrebbe desiderato un attacco più esteso. Alla fine, sembra che abbia prevalso la linea del Segretatio alla Difesa Mattis (che ha parlato in conferenza stampa e ha dato i dettagli sui raid). Si tratta di qualcosa in più rispetto all’anno scorso (più bersagli, coinvoglimento degli alleati, coinvolgimento della forza aerea), ma rimane un attacco limitato e dubito fortemente che sia sufficiente a innescare una concreta risposta russa e/o iraniana.

ELISABETTA MARTINO

Io non starei così tranquilla…Si evocano conseguenze regionali ed extra-regionali molto serie…

DAVIDE LORENZINI

Chiaro, ma per ora sembra che volino parole più che altro. Del resto, sembra che i russi non abbiano mosso un dito (come era prevedibile, vista la scala modesta e gli obiettivi limitati degli strike). La situazione rimane delicata, ma più tra Iran e Israele/USA e indipendentemente dagli attacchi di sabato notte.

SIMONE PELIZZA

Concordo con Davide. Gli strike sono stati piuttosto limitati e non cambieranno il quadro strategico in Siria. La Russia protesta, ma non credo farà nulla di concreto perchè i suoi interessi a Damasco non sono stati minimamente toccati (e non c’è mai stata davvero l’intenzione di toccarli).

MARCO GIULIO BARONE

Abbiamo assistito all’ennesimo attacco in difesa della “coerenza delle linee rosse”. Per certi aspetti, in primo luogo di credibilità giuridica, è comprensibile e auspicabile che ci sia una risposta, per quanto concordata, pianificata e sporcata da bilanciamenti di ogni tipo ad attacchi chimici, per ribadire come “non si fa la guerra”. Ciononostante, presentare un gesto del genere come a favore della popolazione è ipocrita e riprovevole. Se l’obiettivo di Stati Uniti e alleati fosse davvero quello di fermare il massacro dei civili siriani, allora la cosa più ragionevole da fare sarebbe sedersi al tavolo con la Russia e “spartirsi la Siria a tavolino”. Effettuando tale spartizione, Mosca si terrebbe Assad e le sue basi, ma in cambio della responsabilità della ricostruzione e della stabilizzazione delle aree assegnate. Ovviamente ci sarebbero altri “dettagli”, tipo il ritiro della bolla A2/AD che limita anche la libertà di movimento di Israele, ma una volta stabiliti i confini nero su bianco è anche meno necessario a Mosca mantenerla. Gli Stati Uniti fanno discorso analogo sul resto. A quel punto, Mosca ha ottenuto di sedere al tavolo come potenza, e Putin può ritenersi soddisfatto del risultato conseguito. Però non è il vero vincitore, e noi lo sappiamo bene dopo anni di Afghanistan, perché ricostruire la Siria di Assad gli costerebbe molto di più che lo stato attuale. Da parte statunitense, per contro, una situazione di questo genere farebbe comodo perfino agli alleati più riluttanti come Italia o Germania, nel senso che potrebbero ancora una volta gestire il post-conflict con tranquillità. Ci sono grandi incognite come la Turchia, l’Iran o l’Arabia Saudita, ma una volta messi d’accordo Mosca e Washington, ognuno sa come “torcere le braccia” ai propri alleati. Per esempio, se la Turchia ha da ridire, la si minaccia con i curdi, e così via. Tutto molto cinico e neocoloniale, ma l’obiettivo principale, ovvero fermare il massacro quotidiano dei siriani e aiutarli in patria, sarebbe raggiunto. Ma per pensare a soluzioni di questo genere si deve ragionare sul lungo periodo. La classe politica occidentale attuale pensa invece all’orizzonte elettorale più vicino, e tende a scartare a prescindere le soluzioni di lungo periodo. Tutto questo per compiacere la propria opinione pubblica, che piange per il bambino siriano morto visto in TV ma poi non vuole spendere soldi per l’aiuto ai rifugiati e non vorrebbe spenderne i molti di più necessari per ricostruire il territorio siriano. E i politici assecondano tale sentimento per non venire contestati. Diciamo che per Stati Uniti, Paesi europei, e per molti aspetti anche la Russia, qualunque cosa va bene pur di dare priorità all’agenda interna e minimizzare i costi della politica estera. Certo, è imbarazzante avere a che fare con una Turchia sempre più assertiva e meno aderente al nostro sistema occidentale oppure avere l’Arabia Saudita come alleato (palese o indiretto che sia). È come chiedere un passaggio a un amico e poi lamentarsi perché la sua auto è piccola ed inquina.  Ma di andare a piedi o acquistare un’auto più ecologica in prima persona, nemmeno a parlarne. Se volessimo fare i pignoli sulle compagnie, poi ci toccherebbe prenderci le responsabilità in prima persona invece di delegare. E fare le cose in prima persona è più difficile (e costoso!) del delegare ad altri e poi contestarli sul modo in cui lo fanno. Insomma, trovo del tutto sterile e ipocrita battersi il petto per i morti siriani, e la verità è che il bombardamento attuale è l’ennesimo evento di maquillage in un conflitto che nessuno vuole risolvere davvero, perché nessuno vuole prendersene la responsabilità. I mezzi ci sarebbero, ma manca la volontà. E quella volontà è politica nel senso più ampio del termine, ovvero coinvolge tutti dal singolo elettore ai vertici dello Stato. Ma nessun cittadino occidentale, oggi, rinuncerebbe ad alcunché per la Siria. Vorrebbe che tutto finisse magicamente senza essere scomodato dal divano, da dove sta battendosi il petto per i bimbi con gli occhi arrossati. I politici, dal canto loro, continuano a prendere in giro questo elettore fingendo vertici, operazioni, e altre cose creative di nullo impatto, ma accontentandolo, in fondo, perché si cerca la “soluzione magica” senza scomodare nessuno.

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Fig. 1 – Il Presidente USA Trump e il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Bolton

DAVIDE LORENZINI

Non sono del tutto d’accordo con le tue conclusioni. Agli USA riconoscere un ruolo ufficiale alla Russia in Siria farebbe anche comodo: sanzionerebbe una situazione di fatto che Washington sa di non poter/voler cambiare e massimizzerebbe i vantaggi. Il problema vero è che Iran e Israele, per fare solo un esempio, sono troppo indipendenti da Washington e Mosca per accettare senza fiatare accordi bilaterali. USA e Russia sono attori protagonisti più forti e potenti di altri, ma non tirano le fila. Prova ne è che, ad esempio, il coinvolgimento diretto iraniano precede quello russo e che Putin non è in grado di controllare Iran ed Hezbollah (come in un primo momento aveva sperato Israele). Insomma, dubito che, se anche volessero (e non credo non vogliano, ma ovviamente se ne può discutere), USA e Russia riuscirebbero, con una loro intesa, a mettere fine al tutto. E il sostanziale disimpegno americano dal Medio Oriente in generale (e dal teatro siriano in particolare) acuisce il problema, svincolando i propri alleati regionali e aumentando la loro paranoia. Mentre la Russia non può mollare l’Iran. Da una parte abbiamo una Russia molto impegnata, ma con alleati forti e autonomi. Dall’altra abbiamo alleati potenzialmente più controllabili, ma che hanno aumentato la propria autonomia, e il proprio desiderio di autonomia, proprio per lo scarso coinvolgimento americano (come dici anche tu, è il prezzo da pagare per non essere impegnati direttamente). Per questo credo che un’intesa bilaterale sarebbe necessaria, ma non sufficiente, vista la pluralità di conflitti incrociati di cui oggi è teatro la Siria. Inoltre, la Siria è un dossier non vitale per la sicurezza nazionale USA e, agli occhi di Washington, non giustifica eccessivi investimenti. In questo senso, sì: manca la volontà politica. Ma per un motivo sensato, secondo me. Gli USA non rischieranno inutilmente le proprie alleanze e non investiranno prezioso capitale politico per un teatro secondario e parecchio scivoloso. Discorso in parte diverso per noi europei. Premesso questo, mi sembra sensato intervenire per evitare gli abusi peggiori. In particolare, dare l’impressione che le armi chimiche si possano utilizzare impunemente è molto pericoloso. Dopodichè, si potrebbe e dovrebbe riconoscere che in Siria le armi convenzionali hanno ucciso molte più persone delle armi chimiche. Ma un intervento più generale sarebbe costoso e non tollerato dalle opinioni pubbliche occidentali. Gli USA, la Francia e il Regno Unito ieri sera sono intervenuti per contenere i danni, salvare (almeno in minima parte) la loro credibilità e impedire lo sdoganamento del ricorso ad armi di distruzione di massa. È brutto dirlo, ma è il massimo che si possa ottenere, viste le condizioni.

MARCO BARONE

Quello che dici è vero, ci sono tante asimmetrie che di fatto complicano a dismisura il contesto. Però è altresì vero che se Russia e Stati Uniti questa sintesi la trovassero, gli altri volenti o nolenti dovrebbero accodarsi per avere voce in capitolo. Una lettura interessante è “New rules or a world without rules”, uno speech di Putin al Valdai club di qualche anno fa.  Tagliata (l’ampia) parte propagandistica, diciamo che se tu parli di “cristallizare” la situazione scrivendo a tavolino le regole, Putin lo convinci, e lui sa anche essere convincente con gli iraniani…Certo, devi lasciar perdere le dichiarazioni roboanti e i risultati netti ed elettoralmente spendibili con facilità e metterti al lavoro…davvero, per avere un impatto, non per avere i tuoi voticini a casa. E non è proprio periodo per discorsi di questo genere…

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Fig. 1 – Un bombardiere B-1B Lancer dell’Aeronautica militare USA. Alcuni di questi velivoli sono stati usati nei raid di sabaton notte

SIMONE PELIZZA

Mi trovo abbastanza d’accordo con le considerazioni di Davide. Quello siriano è un conflitto molto complesso, con almeno tre dimensioni (locale/regionale/internazionale) che si intersecano continuamente tra loro. Non dipende tutto da Washington e Mosca, ma da un insieme di attori locali e regionali che spesso fanno valere la propria autonomia e i propri interessi a spese di quelli delle due potenze globali. È anche questo che rende il conflitto “irrisolvibile”: troppi galli nel pollaio e nessuno vuole fare concessioni per sistemare la situazione. Il risultato è che la guerra in corso diventa infinita e sempre più difficile da gestire. Marco ha comunque ragione su due punti essenziali: 1) questa crisi è frutto dell’incapacità delle classi dirigenti occidentali di pensare sul medio-lungo termine e di elaborare soluzioni credibili per il futuro della Siria (es: se facciamo fuori Assad, cosa succede dopo?); 2) la popolazione siriana è principalmente una scusa per giustificare le proprie decisioni belliche. In tal senso, la retorica umanitaria serve a continuare la guerra e non a fermarla. La preoccupazione per i civili vale infatti solo per le parti che si sostengono nella lotta. Gli occidentali, ad esempio, si indignano solo quando le vittime civili sono nelle aree controllate dai ribelli. Quando sono nelle aree controllate da Assad esse non esistono nemmeno. Viceversa, i russi battono il tasto umanitario quando le vittime innocenti sono in aree governative e ignorano bellamente il problema quando sono in aree non governative. Per i turchi le vittime sono i loro alleati nel nord della Siria, per gli iraniani sono gli sciiti siriani ecc. C’è quindi una appropriazione continua delle vittime del conflitto e un loro uso propagandistico a sostegno delle proprie decisioni belliche. Un uso che è diventato sempre più sfacciato e che credo abbia alimentato ulteriormente l’indifferenza dell’opinione pubblica internazionale verso la tragedia siriana.

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Fig. 3 – Lancio di missili da crociera Tomahawk, anch’essi usati nel raid di sabato notte

MARCO BARONE

Difatti ciò che propongo non ha la minima chance di fattibilità, concretamente. È però un esercizio utile per smontare “l’umanitarismo” a buon mercato. Simulando in qualche modo il comportamento degli attori se questi avessero come scopo davvero di salvare i popoli, si fa vedere che le cose andrebbero parecchio diversamente da come vanno in realtà. Da questo punto di vista, sarebbe interessante provare a vedere cosa succederebbe se gli obiettivi dei vari Paesi fossero decisi sulla base del concetto di “human security” che le Nazioni Unite hanno provato (ovviamente fallendo miseramente) a far passare. Ma purtroppo la realtà, come sempre nella storia, è che non è quello l’obiettivo primario.

ELISABETTA MARTINO

Quanto ci siamo detti può suonare disfattista ma è in realtà ragionevole realismo. Partendo da ciò penso che il compito di geopolitici seri e impegnati sia quello di far conoscere il più possibile la situazione, per quanto inestricabile e frutto di logiche spartitorie che credevamo finite dopo il 1989, ma invece più attuali che mai nel nostro mondo multilaterale. Perché la conoscenza produce consapevolezza, nella speranza che il passo successivo, come dice Marco, non sia un mero sdegno di facciata, ma produca una consapevolezza di impegno collettivo, come accadde negli anni ’60 per la guerra del Vietnam, al di qua e al di là del Pacifico, impegno che è lentamente ed inesorabilmente impallidito fino a sprofondare insieme a noi sui  nostri divani…

La Redazione

Foto di copertina di Airwolfhound Licenza: Attribution-ShareAlike License

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