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Mc Mafia


Perchè la globalizzazione non muove solo hamburger e banane, ma anche cocaina, armi, donne e soprattutto soldi, soldi, soldi.            

Durante lo scorso weekend si è svolta a Milano un’imponente manifestazione contro la mafia organizzata dall’Associazione Libera. Giovani, anziani, uomini e donne di tutta Italia si sono trovati nella capitale finanziaria del paese per gridare la propria contrarietà alle organizzazioni criminali in tutte le loro forme. Nel nostro paese quello della criminalità organizzata è un problema vasto e, ahinoi, endemico, ma i coraggiosi esponenti dell’associazione antimafia sanno bene come sia sempre più importante affrontare questo problema da una prospettiva sovranazionale. Sia perché i gruppi criminali hanno allargato i loro traffici oltre i confini delle nazioni d’origine, sia perché si sono create forti alleanze tra le organizzazioni di diversi paesi. Per questo alla manifestazione di Milano erano presenti rappresentati di associazioni di diversi paesi impegnate nella lotta contro il crimine organizzato.

 

Per combattere il nemico è necessario conoscerlo, il ruolo dell’informazione è fondamentale quindi, sia per portare avanti le grandi battaglie civili per la legalità, sia per aprire gli occhi su quanto le dinamiche criminali influiscano nella vita di tutti i giorni. Misha Glenny, giornalista della BBC, ha raccolto nel suo libro “McMafia” un impressionante sforzo investigativo (giornalistico, è il caso di specificare) per cercare di raccontare la realtà del crimine organizzato da un punto di vista globale. Nelle 400 e passa pagine del volume edito da Mondatori, Glenny ci accompagna in un viaggio attraverso le reti criminali che stringono, in maniera più o meno visibile, la moderna comunità globalizzata: dalla Russia post comunista, passando da Balcani, India, la tranquilla Dubai, Sudamerica, Giappone, fino all’inevitabile nuova frontiera, la Cina.

Il modello che viene subito in mente nella lettura di questo viaggio allucinante è evidentemente quello di Roberto Saviano e infatti lo stile dell’opera ricorda molto quello di Gomorra: un taglio giornalistico-narrativo (sul modello del migliore new journalism), una prosa semplice e accattivante, che favorisce una lettura scorrevole, in un continuo rimando dal particolare al generale. Come “Gomorra”, l’opera di Glenny, presta quindi il fianco alle possibili critiche di un approccio non sempre rigoroso dal punto di vista scientifico: la scorrevolezza della lettura è anche garantita dalla pressoché totale assenza di note. Il lettore deve quindi fare affidamento unicamente sulla testimonianza dell’autore e sulla sua buona fede nel riportare le parole dei molti personaggi intervistati in giro per il mondo. Per il lettore critico il dubbio che l’autore stia “colorando” alcune parti a fini narrativi è sempre dietro l’angolo.

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Fatte le dovute premesse, qui non si intende discutere se con “McMafia” ci troviamo di fronte a un’opera di fiction o di giornalismo (le critiche di questo tipo rivolte a “Gomorra”, su cui non ho niente da obbiettare in linea di principio, non influiscono a mio parere sull’importanza e la bellezza dell’opera di denuncia Saviano), ognuno si farĂ  la propria idea in proposito, piuttosto accennare ad alcune idee contenute nel libro. Innanzi tutto quello che colpisce di McMafia è il modo con cui Glenny dimostra come “tutto si tiene insieme”, come quella criminale è una vera e propria economia “ombra” che collega Delhi a Dubai, Shenzen a Los Angeles, Tel Aviv a Mosca, parallelamente all’economia globale “ufficiale”. Questo ci porta direttamente al concetto che permea tutto il libro: la criminalitĂ  organizzata è una diretta conseguenza della societĂ  capitalistica e la sua forma globalizzata non è altro che la conseguenza diretta dell’internazionalizzazione dei flussi di capitali e merci. Mentre l’economia si liberava dei vincoli nazionali negli anni ’80, contemporaneamente si sviluppavano i rapporti criminali internazionali. Quelle organizzazioni che spesso erano state fino allora erroneamente catalogate come il frutto di retaggi culturali locali, diventavano apripista di nuovi rapporti economico-finanziari globali. N’drangheta docet. Forse, Glenny non ne parla in quanto la Mafia con la “M” maiuscola, il piĂą grande prodotto d’esportazione del made in italy, non rientra nella sua indagine, esempi importanti della forte vocazione imprenditoriale alla base della nascita dei grandi organismi criminali possono essere trovati piĂą in lĂ  nel tempo. E’ un dato storico assodato il fatto che le famiglie mafiose italo-americane abbiano giocato un ruolo molto importante nel periodo del boom economico degli anni ’40-’50 della nazione capitalista per antonomasia, gli Stati Uniti: basti fare l’esempio di Las Vegas, che è stata praticamente fondata dai due gangster ebrei Bugsy Siegel e Meyer Lansky in societĂ  con Lucky Luciano e le famiglie della mafia italo-americana, oppure del ruolo delle stesse organizzazioni malavitose nei sindacati di autotrasportatori e portuali e di conseguenza sul commercio degli Stati Uniti all’interno e all’esterno.

 

Tornando a periodi più recenti l’economia liberista imposta come modello di sviluppo vincente si fonda sulla riduzione della regolamentazione del mercato, Glenny sottolinea come la deregulation, oltre ad aprire le porte a merci e capitali, ha configurato un ambiente ideale per il proliferare delle mafie internazionali, costituzionalmente decisamente allergiche alle leggi. La deregulation ha permesso anche di creare una “zona grigia” in cui sono fioriti imponenti legami tra il mondo sommerso del potere criminale e quello alla luce del sole dei grandi gruppi economici.

Si può essere d’accordo o meno con le conclusioni del giornalista, sicuramente esistono studi piĂą approfonditi e scientifici sulle singole situazioni da lui affrontate, non di meno la sua “lettura d’insieme” risulta convincente. Ha inoltre il pregio di essere avvincente, cosa non da poco, visto che un’opera di diffusione dell’informazione su questi temi appare necessaria, alla luce del fatto che un grande potere di incidere sulle dinamiche criminali internazionali risiede nel ruolo di ognuno di noi come consumatore. Il grande pubblico è affezionato alla figura del grande criminale affiliato a un organizzazione rappresentato come un eroe romantico al negativo, eccessivo, alle prese con sparatorie e sempre in fuga dalla polizia. In veritĂ  questa immagine è sempre meno rispondente alla realtĂ  dei boss in doppiopetto, manager navigati, perfettamente inseriti negli ambienti in cui operano grazie a stretti rapporti con l’elitè economiche e politiche, cosiddette “rispettabili”.

 

Jacopo Marazia

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Jacopo Marazia

Mi chiamo Jacopo, da 30 anni circa ho i piedi infilati nelle pantofole del mio salotto meneghino e la testa sempre altrove (grazie internet!). La storia e la politica internazionale sono state prima la mia passione e poi oggetto di studio all’UniversitĂ  Statale, dove mi sono laureato in Scienze Internazionali e Istituzioni Europee. Europa, Russia e Balcani sono le aree geografiche che ho studiato piĂą approfonditamente, mentre pirateria moderna, politiche energetiche e di sicurezza sono le questioni che ho seguito con piĂą attenzione. Lavoro come copywriter presso un’agenzia di comunicazione. Mi piace disegnare e ogni tanto lo faccio anche per il Caffè. Scrivere, disegnare, fare video e grafica: il Caffè rappresenta per me un’ottima occasione per sperimentare nuovi modi per comunicare meglio contenuti di qualitĂ . Hope you enjoy!

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