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Elezioni politiche, consigli non richiesti: serve il coraggio di parlare dell’Africa

EditorialeIn vista delle elezioni politiche del 25 settembre sarebbe basilare introdurre nel dibattito il tema dell’Africa, non solo come terra di emigrazione, ma soprattutto come prospettiva strategica per l’Italia e per l’Europa.

Dalle pagine del Caffè mi permetto di suggerire uno spunto per la campagna elettorale, ovviamente in tema esteri. Cerchiamo di capire quante volte comparirà l’Africa nel dibattito e in quali termini. La motivazione è molto semplice: possiamo voltarci dall’altra parte, ma l’Africa è lì. Anzi, a breve saremo noi a diventare cintura periferica dell’Africa. E questa non è una provocazione.
Da qui al 25 settembre sentiremo parlare di Africa solo per un motivo: le migrazioni. Al massimo anche per il terrorismo. Sono già partiti i grandi classici, a destra il blocco navale e i taxi del mare, a sinistra proposte sulla cittadinanza (che condivido, ma non sono argomento di proiezione internazionale). Il dato che emerge, per avversità o difficoltà, è comunque un’enorme mancanza di visione.
L’Africa è un continente di inaudita e inestricabile complessità. È una straordinaria sommatoria di crisi e opportunità. È la terra cruciale per il futuro dell’umanità. Eppure il rapporto tra l’Occidente e l’Africa è peggiorato rapidamente. Stiamo perdendo la guerra contro il jihadismo e, oltre alla Cina, sta prendendo sempre più vigore la Russia, con un’aggressiva strategia di penetrazione che unisce alla disinformazione il sostegno a dirigenze autoritarie e violente. Ci stiamo disinteressando della crisi climatica, a cominciare dalla tremenda siccità che affligge il Corno d’Africa, mentre in Etiopia prosegue la guerra del Tigrai, con un effetto domino sulle regioni circostanti. Oltretutto l’urgenza del conflitto in Ucraina ci impone ritmi serrati negli accordi energetici con i partner africani, senza riuscire a negoziare misure che favoriscano miglioramenti del contesto.
Le stesse politiche migratorie europee e italiane sono fallite. Ci siamo convinti che fosse sufficiente esternalizzare le frontiere per creare degli argini alle migrazioni, ma abbiamo solo favorito il riarmo locale, alterato gli equilibri geopolitici (come in Niger e Sudan), aumentato i rischi per chi transita sulle rotte per arrivare nelle prigioni della Libia. Non riusciamo a uscire da approcci pietistici e dal circolo dei lasciti coloniali.
Nel 2050 gli africani saranno quasi 2,5 miliardi e circa il 25% della popolazione mondiale vivrà nelle aree subsahariane. Nell’Unione Europa saremo meno di 450 milioni, con un’età media elevata e senza materie prime.
Abbiamo poco più di un mese per capire quali forze politiche propongano un progetto di integrazione tra Europa e Africa e quali credano che rifuggire la complessità e chiuderci al di qua del bagnasciuga sia non solo possibile, ma addirittura giusto.

Beniamino Franceschini

Photo by Sponchia is licensed under CC BY-NC-SA

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  • Perché il nostro Paese non può sottrarsi a un confronto serio sull’Africa e sulle sue sfide. Un editoriale verso le elezioni politiche.

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Beniamino Franceschini
Beniamino Franceschini

Classe 1986, vivo sulla Costa degli Etruschi, in Toscana. Laureato in Studi Internazionali all’Università di Pisa, sono docente di Geopolitica presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Pisa. Mi occupo come libero professionista di analisi politica (con focus sull’Africa subsahariana), formazione e consulenza aziendale. Sono vicepresidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del desk Africa.

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