Caffè Lungo – Le sanzioni economiche secondarie contro la Russia si stanno rivelando dannose per Mosca, che trova più difficile concludere le transazioni commerciali con i Paesi che nel conflitto russo-ucraino sono rimasti neutrali. Fino a quando il sistema finanziario russo riuscirà a reggere?
LE TRANSAZIONI BANCARIE TRA RUSSIA E PAESI NEUTRALI: LA PARTE PIĂ™ EFFICACE DELLE SANZIONI SECONDARIE
Tra i maggiori effetti delle sanzioni secondarie, che colpiscono le transazioni commerciali con Mosca e non direttamente il Cremlino, ci sono le operazioni bancarie degli istituti di credito dei Paesi neutrali, che possono portare problemi in caso di limiti alle transazioni con i soggetti occidentali e gli Stati Uniti, riferimento per la finanza internazionale con il dollaro valuta scelta per i prezzi di molte materie prime.
Putin, per contrastare la dollarizzazione dell’economia globale, è sostenitore di una moneta differente per gli scambi commerciali internazionali e ha promosso con la Cina lo yuan per le transazioni tra i due Paesi e anche verso realtà terze. Tuttavia tale intento trova forti resistenze anche all’interno dei BRICS, con Paesi come l’India che non intendono essere sottomessi monetariamente allo yuan cinese e hanno interesse a mantenere buone relazioni con Washington.
Le banche dei Paesi non allineati tramite le sanzioni secondarie sono diventate più restie a effettuare transazioni con quelle russe sotto sanzioni e, in risposta, Mosca sta aumentando nei pagamenti sia l’uso dei beni materiali come l’oro, sia l’uso delle criptovalute, incoraggiata anche dall’approvazione della legge che ne consente l’uso alle aziende russe sui mercati internazionali.
Il ritardo nei pagamenti delle transazioni con le banche russe, tuttavia, causa rallentamenti all’economia che mal si conciliano con l’enorme sforzo economico che comporta la guerra in Ucraina, pari a oltre il 30% della spesa pubblica, e potrebbe portare nel lungo termine a un serio deterioramento del sistema russo, del quale Paesi come la Cina potrebbero, in futuro, approfittare per acquisire a prezzi contenuti società russe in liquidazione.
Fig. 1 – Una stazione di servizio di Gazprom a Mosca. Il colosso energetico russo sta soffrendo molto per le sanzioni occidentali e le conseguenze economiche dell’invasione dell’Ucraina
IL CASO GAZPROM-NIS IN SERBIA: QUANDO LE SANZIONI SECONDARIE IMPONGONO UNA SCELTA DI CAMPO
Un caso esemplare delle sanzioni secondarie è rappresentato dalle misure americane verso la società petrolifera serba Nis, controllata dal 2008 dalla russa Gazprom per circa il 70% delle quote totali, che è fornitore principale di gas e idrocarburi a Belgrado.
L’ordine esecutivo 14024 di Washington impone, entro 45 giorni, la cessione di tutte le quote societarie detenute da Gazprom, un duro colpo per Mosca, perché colpisce un asset indiretto sul quale il Cremlino fa affidamento per aggirare le sanzioni, oltre a essere uno strumento di pressione geopolitica su Belgrado, interessata dal passaggio del gasdotto Turkish Stream che le porta il gas russo.
L’affaire Gazprom-Nis è uno dei principali problemi politici sul tavolo del Presidente serbo Vucic, che si trova a fare i conti con le necessità di evitare lo strappo con Mosca, storico alleato, e salvaguardare la compagnia di Stato che ha garantito costi contenuti dell’energia, elemento indispensabile per favorire la crescita economica del Paese, stimata in un 3,9% del PIL nel 2024.
Tuttavia l’interscambio commerciale con la UE, circa il 60% del totale, e l’oleodotto Jadranski Naftovod, in mano croata ed essenziale per il trasporto del greggio di Mosca alla Serbia, sono due aspetti per il quale Vucic difficilmente può opporsi alle sanzioni americane contro Gazprom, non essendo sufficiente per Belgrado compensare eventuali perdite del mercato con la UE con un incremento degli scambi con Mosca, che commercia con il Paese balcanico soprattutto idrocarburi, piuttosto che prodotti finiti come l’Europa.
Fig. 2 – La sede della società petrolifera serba Nis, colpita recentemente dalle sanzioni secondarie americane
LE SANZIONI SECONDARIE COME FONTE DI PROBLEMI A LUNGO TERMINE PER MOSCA
La abilità del Governo russo nel mantenere le relazioni con i Paesi asiatici e africani, nonché con attori come Turchia e Serbia che non hanno aderito alle sanzioni, ha permesso di aggirare le sanzioni dirette imposte dall’Occidente nel 2022 a seguito della invasione dell’Ucraina tramite triangolazioni di comodo con Paesi terzi che hanno visto un forte incremento dell’import di prodotti occidentali.
Casi come, ad esempio, quelli delle Repubbliche centroasiatiche o caucasiche, che hanno sperimentato una impennata di import di beni occidentali poi rivenduti ai russi, hanno consentito al Cremlino di continuare a importare tecnologie occidentali e persino componentistica per materiale bellico, aspetto denunciato piĂą volte dal Governo ucraino.
Tuttavia le sanzioni secondarie, dirette verso chi commercia con Mosca, sono più pericolose per chi è rimasto neutrale, poiché possono creare rischi alle relazioni commerciali con l’Occidente, ad oggi rappresentante oltre il 50% del PIL mondiale e primo mercato finanziario globale. Essere tagliati fuori da tale circuito economico può quindi essere un duro colpo per Paesi con vocazione all’export come Cina e India o i Paesi del Golfo.
Le sanzioni secondarie, oltre all’intento di ridurre le capacità commerciali di Mosca, pongono pertanto un dilemma politico per i Paesi in affari sia con l’Occidente che con la Russia, soprattutto nel settore energetico e delle materie prime (circa il 35% dei profitti russi), laddove molti Paesi, ad esempio l’India, hanno incrementato il commercio con Mosca, che consente loro di acquisire energia a costo ridotto.
Sia Putin che la Presidente della Banca Centrale Russa, Elvira Nabiullina, non intendono rinunciare al commercio mondiale, redditizio per Mosca per la sua disponibilità di materie prime, ma le sanzioni secondarie rendono più difficile l’import di beni in Russia, compresi quelli necessari allo sforzo bellico, con un aumento dell’inflazione, al 9,5% nel 2024, due leve finanziarie dell’Occidente per costringere Putin a sedersi al tavolo delle trattative.
Lorenzo Pallavicini
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