Caffè Lungo – Le elezioni presidenziali di gennaio 2025 hanno confermato Lukashenko alla guida del Paese. Una repressione con pochi precedenti ha permesso al leader bielorusso di riprendere il controllo del sistema politico del Paese, ma ciò non significa stabilità . Le sfide da affrontare nel suo settimo mandato sono di ampia portata, e scenari positivi per il futuro sono difficili da immaginare.
LUKASHENKO SALDAMENTE AL POTERE
Le elezioni presidenziali di gennaio 2025 hanno decretato nuovamente la conferma di Alexander Lukashenko alla guida del Paese, ruolo che ricopre ininterrottamente da circa trenta anni. Il leader bielorusso, che ha ottenuto il settimo mandato consecutivo, ha riportato una vittoria schiacciante con quasi l’87% dei voti conquistati, mentre gli altri candidati, tutti approvati preventivamente dal regime, si sono spartiti i voti rimanenti. Nonostante le ripercussioni della guerra in Ucraina, che hanno isolato il Paese dal resto del continente e forzato un avvicinamento alla Russia, e il lascito delle proteste di massa del 2020, quando il regime di Minsk si è trovato più vicino che mai al suo collasso se non fosse stato per il pronto intervento di Mosca, Lukashenko ha dimostrato di tenere il sistema politico del Paese saldamente nelle proprie mani. Le elezioni si sono svolte sotto il totale controllo delle Istituzioni del regime senza che ci fosse alcuna reale opposizione. Se poche speranze potevano esser riposte in Anna Kanopatskaya, la quale in precedenza aveva proposto di implementare caute riforme, come l’amnistia per i prigionieri politici e addirittura la transizione verso una repubblica parlamentare, le illusioni sono sfumate non appena la candidata ha reindirizzato le proprie critiche verso l’opposizione in esilio. Secondo la Commissione elettorale centrale del Paese, l’85,7% dei cittadini si è recato alle urne. La vittoria di Lukashenko è stata per l’appunto indiscutibile. Il secondo candidato ad aver ottenuto il maggior numero di voti è stato Siarhei Syrankou, con il 3,21%. A seguire, Oleg Gaidukevich, con il 2% delle preferenze, la stessa Anna Kanopatskaya, la quale ha raggiunto l’1,86%, e infine Alexander Khizhnyak, con l’1,74%. Il regime di Minsk ha fatto sembrare le grandi proteste del movimento democratico del 2020 come un lontano ricordo.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Lukashenko al voto, 26 gennaio 2025
ELEZIONI SĂŚ, MA SENZA RISCHI
Le elezioni di gennaio si sono svolte in un clima di repressione di vasta portata, con il fine di renderne l’esito il più prevedibile possibile. Nel corso della campagna presidenziale, la Commissione elettorale ha respinto le candidature di coloro che avrebbero potuto rappresentare una minaccia, dopo che la Corte Suprema bielorussa aveva ordinato la chiusura di partiti politici e bandito organizzazioni vicine all’opposizione. I media hanno lavorato attivamente per rappresentare in maniera positiva non solo Lukashenko, ma anche gli unici altri quattro candidati ai quali è stato permesso di partecipare. Il Governo bielorusso ha inoltre precluso a organismi indipendenti di monitorare le elezioni. Organizzazioni come l’OSCE hanno ricevuto l’invito solo pochi giorni prima, rendendo impossibile un effettivo monitoraggio indipendente. Oltre a questo, il Governo di Minsk ha impedito ai cittadini bielorussi residenti all’estero di prendere parte al voto, e nessun seggio è stato aperto al di fuori del Paese, nonostante la diaspora bielorussa stia diventando sempre più numerosa. A partire dal 2020, tra i 300mila e i 500mila cittadini hanno lasciato la Bielorussia. La diaspora conta attualmente 1,5 milioni di persone, in un Paese di poco più di 9 milioni di abitanti. All’inizio del settimo mandato di Lukashenko, sono oltre 1.200 i prigionieri politici, quattro i partiti politici rimasti, con la maggioranza dell’opposizione dietro le sbarre o in esilio.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – L’ex candidata presidenziale e leader dell’opposizione in esilio Sviatlana Tsikhanouskaya durante una manifestazione a Varsavia, 26 gennaio 2025. In mano ha una foto del marito Siarhei, imprigionato dal regime
IL FUTURO NERO DELLA BIELORUSSIA
Con la conferma alle elezioni presidenziali, Lukashenko ha dimostrato di essere ancora fermamente al comando del sistema politico bielorusso. Ciò, però, non significa che il Paese abbia trovato la sua stabilità . La Bielorussia che si appresta a vivere il settimo mandato consecutivo di Lukashenko si ritrova non solo nella morsa di un regime al potere da 30 anni, ma anche in quella del patrono che ha permesso la sua sopravvivenza. La crescente integrazione con la Russia, soprattutto economica, ne ha acuito la dipendenza, e il futuro del Paese ricade quasi interamente su fattori al di fuori del controllo del regime. Contrasti tra Minsk e Mosca ci sono sempre stati, ma oggi questi portano con sé rischi maggiori che in passato. Il tradizionale atteggiamento in politica estera di Lukashenko non è più un’opzione. La situazione dei diritti umani nel Paese e il ruolo svolto nell’invasione dell’Ucraina non permettono più di rivolgersi all’Occidente quando le cose con il Cremlino non vanno bene. Le capacità di negoziazione del Presidente saranno indispensabili, specialmente in uno scenario post-guerra, nel quale ottenere accordi vantaggiosi con Vladimir Putin potrebbe risultare più complicato. Soprattutto in caso di sconfitta russa, il leader bielorusso dovrà essere abile nel tenere a freno le ambizioni del Cremlino, che potrebbero rivolgersi proprio verso Minsk se l’Ucraina andasse persa. C’è un’altra sfida cruciale che Lukashenko dovrà affrontare: la transizione del potere. Il Presidente è ormai nell’ottava decade della propria vita, e non sembra un caso che di recente abbia menzionato più volte un cambio generazionale che dovrebbe avvenire nei prossimi anni. L’introduzione dell’immunità per coloro che hanno ricoperto la carica di Presidente e la riconfigurazione del sistema politico sembrano confermare le supposizioni. Il ruolo di Presidente presso l’Assemblea del popolo bielorusso, istituita nel precedente mandato, garantisce a Lukashenko un posto dove andare una volta ritiratosi dalla scena. Quando deciderà di passare il testimone è, però, difficile da dire. Quel che è certo, lo farà solo quando avrà la certezza di avere la situazione sotto controllo. Nella fase di transizione, un’opportunità si verrebbe a creare tanto per il Cremlino di influenzare la scelta del nuovo leader che per l’opposizione di rovesciarlo, ammesso che riesca a riorganizzarsi dopo anni di repressione. Potenziali candidati sono i figli del Presidente, tecnocrati e membri degli apparati di sicurezza, ma, al momento, nessuno di loro ha ricevuto l’autonomia politica che potrebbe far pensare che siano stati designati per prendere il ruolo di Lukashenko. Ad ogni modo, il suo successore dovrà essere altrettanto abile nel gestire i rapporti con la Russia. La sovranità del Paese si sta infatti lentamente sgretolando, ma il processo potrebbe accelerare con un cambio ai vertici del potere.
Lorenzo Asquini
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