Analisi – In un panorama geopolitico caratterizzato da una preoccupante e dilagante instabilità, in un mondo multipolare in cui le diversità sono fonte di frizioni infinite e in cui il rispetto reciproco ed il dialogo vengono sostituiti dalla forza delle armi, che straccia i diritti umani, bypassando le istituzioni internazionali, che scricchiolano, la Repubblica Popolare Cinese cerca di forgiare una nuova architettura internazionale, legata alla rivoluzione tecnologica
ARMONIA SENZA UNIFORMITÀ
In occasione del 70º anniversario della Conferenza di Bandung, evento che segnò l’esordio sulla scena mondiale dei Paesi emergenti, allora chiamati non allineati, Xi Jinping ne ha evocato lo spirito, in un discorso che ha avuto una vasta eco, soprattutto nel Global South. In tempi oltremodo turbolenti, questi Paesi chiedono la costruzione di un mondo saldamente ancorato ad un ordine ragionevole e giusto e, soprattutto, non egemonico. Il principio guida di questa architettura non è l’uniformità ai valori occidentali, ma la coesistenza armonica tra civiltà, preservando e rispettando le differenze, che Confucio chiamava 和而不同(hé’érbùtóng) armonia senza uniformità. È interessante sottolineare come il Partito Comunista cinese riprenda i valori confuciani che sono in linea con la sua agenda politica, come la pietà filiale e l’armonia sociale, utilizzando il passato in funzione del presente, e fondendo la propria cultura millenaria con l’attuale dottrina strategica, che sta dando forma alla diplomazia cinese del 2025. La politica estera viene così orientata a frenare l’instabilità, ad ostacolare le derive unipolari e sostenere il principio di non ingerenza, ritagliandosi un ruolo sempre più incisivo nello scacchiere globale. Gli scenari bellici e le crescenti tensioni nel panorama geopolitico rappresentano un banco di prova per la percorribilità delle strategie del Governo di Pechino.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Un turista prende appunti al Museo della Conferenza Asiatico-Africana che si tenne nell’aprile 1955 a Bandung, Giava Occidentale, durante le commemorazioni per il 70esimo anniversario dell’evento, aprile 2025
IL MEDIO ORIENTE E L’ARDUA SICUREZZA REGIONALE
Dopo “Midnight Hammer”, il raid chirurgico pensato dall’amministrazione Trump contro i siti nucleari iraniani, la cui efficacia è ancora in discussione e che ha prodotto ulteriori voragini di instabilità, l’era multipolare è sempre più in crisi. La Repubblica Islamica, già ferita da Rising Lion, non è però stata colpita a morte e in seguito alla guerra dei 12 giorni, di fronte ad un ventilato “regime change”, ha stretto la morsa sugli oppositori, veri e presunti, resistendo. Nel frattempo la Cina ha intensificato la propria attività diplomatica. Nei recenti incontri in Arabia Saudita, in Qatar e in Oman, il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha ribadito la necessità di un nuovo sistema di cooperazione regionale (e mondiale) ed ha confermato la propria contrarietà all’uso unilaterale della forza, e la necessità di un ritorno al tavolo negoziale sul nucleare. La RPC, in linea con il Piano d’Azione Globale Congiunto, ritiene un diritto l’utilizzo pacifico dell’energia nucleare, ma è contraria allo sviluppo di armi atomiche. L’Iran è, tra l’altro, un suo partner strategico, indispensabile per il successo della Belt and Road Initiative, in quanto ponte di accesso verso l’Asia centrale e il Golfo Persico, per il quale Xi Jinping, come proclamato nel Vertice Cina-Stati Arabi nel 2024, che terrà la seconda sessione nel 2026, si propone come mediatore, intento a costruire un Medio Oriente di pace, sviluppo e sicurezza collettiva.
Embed from Getty ImagesFig.2 – Edificio residenziale a Teheran distrutto durante la guerra dei 12 giorni tra Iran e Israele, 21 luglio 2025
EURASIA: UN DIFFICILE EQUILIBRIO
A fronte della drammatica crisi di Gaza e del deteriorarsi della situazione in Siria e Libano, il Governo cinese continua a condannare le violazioni della sovranità nazionale, proclamando la necessità di trovare una soluzione politica alla crisi, ma la guerra in Ucraina rivela la complessità della posizione cinese. Pechino, pur dichiarando la propria neutralità, ha sempre in pratica sostenuto le posizioni di Putin, pur ribadendo che la guerra non ha vincitori e che la sicurezza non può essere costruita contro un altro Paese. La cooperazione sino-russa non ha in effetti subito ripercussioni sul piano economico e strategico, ma anzi ha permesso a Pechino di ottenere considerevoli vantaggi, soprattutto in campo energetico, con l’accesso alle riserve russe non più acquisite dall’Occidente. A ciò si aggiungono le trattative per configurare un corridoio energetico con l’Iraq, per eludere lo Stretto di Hormuz, e quelle con il Venezuela, ultimo tassello della Via della Seta, approdata nel continente americano. Le connessioni energetiche si coniugano con la logistica: nonostante le criticità più volte segnalate, il Governo di Pechino ha firmato con Islamabad il potenziamento del China-Pakistan Economic Corridor, che consente di aprire un collegamento via terra tra il Golfo Persico e lo Xinjiang. I vertici di Samarcanda e Astana hanno confermato l’interesse del Dragone in Asia centrale, dove Pechino continua ad investire massicciamente in infrastrutture e tecnologia, con l’obiettivo di garantire la stabilità regionale ed espandere la propria influenza, soprattutto dopo l’inclusione della regione nel piano Global Gateway dell’Unione Europea. Le Organizzazioni che stanno forgiando il nuovo regionalismo asiatico come la Shanghai Cooperation Organization (SCO) e il gruppo BRICS+, allargato nel 2024 e in fase di ulteriore espansione, costituiscono le colonne portanti di questa nuova architettura in cui la Cina si pone non come dominatore ma come coordinatore. In quest’ottica Pechino stigmatizza il ruolo di donor della UE che, a sua volta, sta attenzionando lo spazio post-sovietico dominato da Mosca, anche attraverso l’Unione economica euroasiatica e l’Organizzazione per il Trattato della Sicurezza Collettiva.
Embed from Getty ImagesFig. 3 – Palestinesi ricevono una quantità limitata di farina e latte in polvere per neonati presso un punto di distribuzione degli aiuti umanitari al valico di frontiera di Zikim a Gaza, 1° agosto 2025
TAIWAN E LA TECNOLOGIA COME CAMPO DI BATTAGLIA GLOBALE
Il Governo di Pechino sta spingendo sull’innovazione vista come arma fondamentale della grande rinascita della nazione cinese, come enunciato nel piano Made in China 2025. Gli investimenti record su chip, cloud sovrano e cybersicurezza rappresentano una declinazione del conflitto ibrido a cui stiamo assistendo e un altro tassello del nuovo ordine parallelo. “Il socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era” è, anche per questo, radicato su un imperativo: la riunificazione completa della Cina. Taiwan infatti non solo rappresenta l’ultimo retaggio dell’umiliazione coloniale, ma è anche il fulcro della competizione strategica con Washington per la quota significativa della produzione globale di semiconduttori che faciliterebbe il raggiungimento dell’autosufficienza tecnologica (zìzhǔ kējì 自主科技)
Embed from Getty ImagesFig. 4 – Computer esposti durante una fiera dell’informatica al Taipei World Trade Center di Taipei, 4 luglio 2025
L’ORDINE SOTTO IL CIELO: TRA STABILITÀ, RINASCITA E VISIONE MILLENARIA
Quanto finora accennato rientra nell’antico concetto del tianxia con cui i cinesi definiscono l’orizzonte della governance, ieri come oggi, in alternativa all’attuale disordine globale, per vagheggiare il ritorno alla millenaria armonia, che prende forma nella «comunità dal futuro condiviso per l’umanità», concetto chiave nella nuova Dottrina sulla Sicurezza Globale (GSI).
Con questa prospettiva di sviluppo, vista non come privilegio di pochi eletti, ma diritto di tutti, la Cina veicola un sistema in grado di premiare la crescita inclusiva e di sostenere la dignità e la prosperità di ogni popolo, cui assicurare la sicurezza alimentare ed energetica. È indispensabile in questa ottica una riforma delle strutture di governance globale ed una revisione delle istituzioni finanziarie. Progettare infrastrutture, rafforzare la loro interconnettività, promuovere la trasformazione digitale in tutte le regioni, consentirà di legare i continenti in un sogno molto diverso da quello americano, che si sta scolorendo, alla luce della narrazione cinese che sta veicolando un’America “interventista”, a fronte di una Cina “inclusiva”, sottolineando che non si esporta la democrazia con le bombe, né si difende la sovranità distruggendo quella degli altri.
In conclusione la Cina sta approfittando del caos globale che, come sosteneva Sunzi, è “un’opportunità per chi sa leggere il terreno”, per proporre un “mondo ordinato”, che non è dominato, ma armonizzato e controllato e che fa presa in Africa, in America Latina e nel Sud-est asiatico. Riuscirà il Nord del mondo, di cui molti cinesi sono parte, a contribuire a questo progetto senza derubricare i diritti umani e le libertà, affinchè non si dissolvano all’orizzonte? Questa è in fin dei conti la vera sfida.
Elisabetta Esposito Martino
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