Dopo i video che proverebbero l’uso di armi chimiche sulla popolazione in Siria da parte dell’esercito, l’ONU ha inviato un gruppo di osservatori. Nel frattempo, i piani militari contro Damasco cominciano a prendere forma: in 5 domande e 5 risposte, proviamo a fornire un breve quadro della situazione.
1) In Siria sono state davvero usate armi chimiche contro la popolazione? Che cosa comporterebbe la conferma dell’accaduto?
Alcuni giorni fa sono giunte dalla Siria immagini atroci che mostrerebbero le immediate conseguenze dell’uso di armi chimiche sulla popolazione civile da parte delle truppe governative nella regione di Damasco. Non è ancora chiaro, però, se l’esercito di Assad (o gli insorti) abbia impiegato sostanze letali, nĂ© se i video che testimonierebbero i fatti siano autentici e si riferiscano effettivamente al momento e ai luoghi indicati. Medici Senza Frontiere sostiene che l’utilizzo di armi chimiche sia da considerarsi certo, citando oltre 3.500 casi di ricoveri urgenti e almeno 350 persone morte con specifici sintomi: «Le caratteristiche epidemiologiche, – si legge in un comunicato dell’ONG –, l’elevato afflusso di pazienti in breve tempo e la sintomatologia rimandano fortemente all’esposizione massiccia a un agente tossico». Assad ha respinto con decisione le accuse, dichiarando che ritenere il Governo responsabile di tali atti sarebbe «un’offesa al buon senso». Il Presidente ha chiamato invece in causa i ribelli, affermando che l’esercito avrebbe ritrovato in un rifugio degli insorti alla periferia di Damasco materiale tossico proveniente dall’Arabia Saudita e da una societĂ tedesco-qatariota. In tutto il mondo le reazioni si sono susseguite rapide, ma contrastanti e dalle numerose sfumature: tra i Paesi occidentali, per esempio, da un lato la Francia ritiene necessario un «intervento forte», anche militare, dall’altro la Germania (sempre piĂą in accordo con Mosca) esclude qualsiasi soluzione che non sia puramente politica, mentre gli Stati Uniti stanno studiando varie soluzioni, ma propendono per un coinvolgimento dell’ONU. La Russia, da parte sua, dubita della veridicitĂ delle immagini, e ritiene improbabile che il Governo siriano abbia impiegato davvero armi chimiche. Da oggi, un gruppo di ispettori delle Nazioni Unite verificherĂ la reale situazione a Damasco.
2) Perché si parla sempre più frequentemente dell’eventualità di una “opzione Kosovo” per la Siria e in che cosa consisterebbe una tale soluzione?
Nel fine settimana è emersa la notizia che Obama avrebbe chiesto ai propri consiglieri di riflettere su un’azione militare sul modello di quanto intrapreso dalla NATO in Kosovo nel 1999. Ripercorriamo brevemente i fatti. Il Kosovo era una regione della Serbia a maggioranza albanese, ma fondamentale per il nazionalismo storico di Belgrado, nella quale, a partire dai primi anni Novanta, si scontrarono apertamente le Forze Armate governative e i miliziani dell’UCK (Esercito di liberazione del Kosovo). Dopo alcuni mesi di tregua nel 1998, la ripresa delle ostilità convinse la comunità internazionale ad avviare nuovi negoziati, giungendo al contestato Accordo di Rambouillet (1999), che, di fatto, rimandava di tre anni l’eventuale indipendenza del Kosovo e prevedeva il diritto di «libero e incondizionato transito attraverso l’intero territorio della Federazione delle Repubbliche jugoslave» delle truppe NATO. In breve, anche per l’intransigenza del segretario di Stato Madelaine Albright (favorevole ai combattenti dell’UCK), e di Cina e Russia (contrarie all’indipendenza della regione), l’Alleanza Atlantica lanciò una guerra aerea contro la Serbia (alla quale prese parte anche l’Italia), finché, dopo undici settimane di bombardamenti, l’esercito di Belgrado non si ritirò dal Kosovo. Il precedente è richiamato in relazione alla Siria per due motivi: innanzitutto si tratta di un’altra situazione nella quale la Russia è a sostegno delle forze governative, mentre gli USA supportano gli insorti; in secondo luogo, la guerra aerea del 1999 fu condotta dalla NATO senza alcun mandato dell’ONU, il cui Consiglio di Sicurezza era bloccato da Pechino e, come accadrebbe adesso in caso di un conflitto contro Assad, da Mosca.
3) Sarebbe possibile un’azione del genere da un punto di vista militare?
Sul piano militare, la vicenda kosovara e quella siriana non sono paragonabili: il Governo di Damasco dispone ancora di una forza bellica considerevole. Nel Paese sono installate numerose postazioni difensive e gli arsenali di Assad possono contare su armi recenti di fabbricazione russa e iraniana. Procedere a un’operazione aerea avrebbe serie controindicazioni da tenere in analisi. In primo luogo, dovremmo aspettarci l’accanita resistenza siriana, quindi perdite in termini uomini e mezzi sarebbero inevitabili. Inoltre, sostenere una campagna del genere avrebbe costi ingenti che pochi Paesi a oggi possono permettersi di affrontare: basti ricordare le polemiche sulle scorte di armamenti NATO durante la recente guerra in Libia. Infine, e ancora è da richiamarsi l’operazione “Odyssey Dawn”, è tristemente noto che, quando ci si confronta con realtà più simili al concetto di “Stato-tribù” che di “Stato-Nazione”, i conflitti possono essere vinti solo a terra e con un’oculata gestione della fase post-bellica (Iraq e Afghanistan sono esempi lampanti). Obama, che nel frattempo ha ordinato la mobilitazione della VI Flotta, avrebbe anche altri progetti allo studio, tra i quali un raid ampio, ma probabilmente dalla scarsa efficacia, condotto con missili lanciati da unità navali contro obiettivi sensibili del Governo siriano, oppure il sostegno logistico a un’operazione congiunta degli eserciti di Turchia e Paesi arabi del Golfo – dagli esiti potenzialmente devastanti per gli equilibri mondiali.
4) E da un punto di vista politico?
In questo caso, la partita è altrettanto complessa, tanto che dobbiamo aggiungere un’ulteriore domanda: sarebbe in grado la NATO di assumere le responsabilità di un’iniziativa in Siria? Probabilmente no, almeno per tre motivi. Dopo gli esiti della guerra in Libia, l’Alleanza ha indubbiamente perso parte del proprio prestigio e della legittimità di intervento percepita dall’opinione pubblica mondiale. Se la NATO agisse in Siria da sola, molte componenti della regione mediorientale potrebbero gridare all’ennesima manovra coloniale, polarizzando lo scontro ideologico anche in altri Paesi. Per di più, al proprio interno la NATO non potrebbe contare sulla concordia dei membri, laddove la posizione statunitense si trova paradossalmente tra l’intransigenza francese e la vicinanza tedesca alla linea russa. Infine – ed ecco ancora il problema già accennato – quale Stato europeo sarebbe in grado di aderire a un’operazione militare su ampia scala in un momento di acuta difficoltà economica e con opinioni pubbliche critiche? Il timore è che le elaborazioni di soluzioni politiche e militari da parte di tutti gli attori in causa stiano proseguendo su binari separati.
5) Il costante incremento della tensione in Libano, culminato negli attentati della scorsa settimana, è collegato alla crisi siriana? C’è il rischio di un effetto domino?
Cominciamo dai fatti: il 23 agosto, a Tripoli, in Libano, due attentati hanno causato almeno 50 morti e oltre 500 feriti, il bilancio più sanguinoso dal 1990. Gli ordigni sono esplosi di fronte a due moschee sunnite nelle quali operano personalità a sostegno degli insorti siriani, giungendo a una settimana di distanza da un altro attacco a Beirut (27 vittime). Oltretutto, negli stessi giorni, l’aviazione israeliana ha colpito una base libanese del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, accusato di aver lanciato oltre confine alcuni razzi, atto rivendicato però dalla Brigate Abdallah Azzam. Nel Paese la situazione sta degenerando giorno dopo giorno: Hezbollah è apertamente impegnato nel sostegno ad Assad; dalla Siria arrivano decine di migliaia di profughi che già nel medio periodo potrebbero modificare i rapporti demografici; per reazione alle campagne sciite, alcune comunità sunnite stanno subendo una drammatica radicalizzazione. Tuttavia, sarebbe un errore ritenere che la Siria possa essere la causa reale di un nuovo eventuale conflitto in Libano. Le radici delle ostilità , infatti, sono insite nella Terra dei Cedri e connesse al sistema regionale: la guerra tra Assad e gli insorti sarebbe pertanto solo l’innesco ottimale.
Beniamino Franceschini