La visita di Berlusconi a Tripoli rischia di diventare un vero caso internazionale, nella misura in cui potrebbe togliere credibilità al governo di Roma. Ma ne vale davvero la pena?
I TEMI IN GIOCO – Immigrazione (vale a dire popolarità interna e consenso dell’opinione pubblica, sempre più sensibile a questo tema); petrolio e gas (vale a dire sicurezza energetica in una congiuntura in cui tutta l’Europa si trova a dover dipendere sempre di più da fonti esterne per soddisfare il proprio fabbisogno e, inoltre, in un momento in cui gli stessi europei tentano di smarcarsi dalla dipendenza da Mosca); Unicredit ed Eni (vale a dire un mare di investimenti e interessi economici troppo forti per poter sottostare alle regole della politica e del buon senso che pure ogni tanto sarebbe opportuno da parte dei governi in politica estera); ambizioni che portano a far sì che l’interesse nazionale e la politica estera siano confusi, a volte, con questioni di natura strettamente personale e che portano a pensare che il prestigio internazionale sia in qualche modo direttamente proporzionale al numero di “amicizie personali” che si possono annoverare tra i Capi di Stato esteri (vale a dire il modo di condurre la politica estera da parte dell’attuale Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi).
SILVIO A TRIPOLI – Sono questi i temi che sembrano muovere l’Italia nei rapporti con l’istrionico vicino della sponda meridionale del Mediterraneo, ovvero la Libia del Colonnello Gheddafi. Il 30 agosto Silvio Berlusconi, unico tra tutti i leader occidentali (in questo caso nell’Occidente può essere inclusa anche la Federazione Russa, il cui Capo di Stato Medvedev ha annullato all’ultimo momento la visita pur prevista a Tripoli in occasione dei quarant’anni di vita del regime di Gheddafi), si è recato in visita ufficiale nella capitale libica. Al centro dell’incontro vi sono stati l’anniversario del Trattato di Amicizia e Cooperazione tra Libia e Italia, con il quale quest’ultima si impegnava, nell’agosto 2008, a versare alla Libia 5 miliardi di euro come compensazione delle politiche coloniali della prima metà del ‘900, in forma di investimenti e costruzione di grandi opere infrastrutturali nel Paese nord-africano e, collegata a questo evento, la posa della prima pietra dell’autostrada costiera che, appunto, simboleggia il rinnovato interesse di Roma a volersi scusare con Tripoli per gli anni del colonialismo.
FERMARE I CLANDESTINI – A ben guardare, come detto in apertura, gli interessi in gioco sembrano essere di tutt’altro tipo. L’Italia sembra essere quasi in balia del regime di Tripoli per quanto riguarda il continuo flusso di immigrati che, attraversato il deserto del Sahara, si imbarcano dai porti libici con destinazione Lampedusa: in questo caso Gheddafi sembra avere nelle proprie mani una vera e propria arma da rivolgere contro il vicino al di là del Mediterraneo, grazie alla propria capacità di bloccare (o meno) sul nascere, se ve ne fosse la volontà, questo fenomeno. Per Roma si tratta dunque di non inimicarsi troppo Tripoli e sperare che il Colonnello voglia contribuire a far sì che il flusso cessi. Ne va della popolarità del governo Berlusconi e dell’uso politico che ne può fare un partito di governo come la Lega Nord, che ha fatto della lotta all’immigrazione un bandiera. Ma cosa vuole Gheddafi in cambio? Proprio quello che sta cercando di costruirsi (anche) con l’aiuto dell’Italia: legittimazione internazionale. Con le sue politiche ambigue, il Capo di Stato libico è riuscito dapprima a rientrare nel novero delle nazioni “amiche” dell’Occidente dopo anni di esclusione, ma adesso nuovamente sta compiendo dei passi in direzione opposta. Gli ultimi due sono stati, in ordine cronologico, l’accusa agli Stati Uniti di Obama di essere “terroristi come al-Qaeda” e l’accoglienza da eroe riservata al terrorista che fu responsabile dell’attentato di Lockerbie (270 vittime nel 1988), al-Megrahi, dopo la sua scarcerazione e il rimpatrio. In entrambi i casi Roma ha dato una sorta di legittimità alle azioni di Gheddafi: il discorso contro gli USA si è tenuto all’univeristà romana della Sapienza nel corso della visita ufficiale del Colonnello in Italia nel giugno scorso e, adesso, mentre USA, Francia, Gran Bretagna e Russia si dissociano dalla retorica provocatrice di Gheddafi nel caso al-Megrahi, Berlusconi è andato a Tripoli per onorare Gheddafi.
GLI AFFARI ITALIANI DI GHEDDAFI – Come già detto, oltre ad avere l’arma degli immigrati, Gheddafi ha quella delle risorse petrolifere e di gas: l’Italia ha bisogno, soprattutto in prospettiva futura per il gas, dei rifornimenti di Tripoli che, a sua volta, ha assicurato all’Eni una sorta di partenariato speciale per i prossimi 30 anni. Inoltre la Libia è diventata la seconda azionista di Unicredit grazie ad un’operazione finanziaria portata a termine nell’ottobre del 2008, con la quale la Banca Centrale Libica, la Libyan Investment Authority e la Libyan Foreign Bank, hanno acquisito il 4,23% del gruppo bancario italiano, garantendo una notevole iniezione di liquidità nel nostro Paese. Infine, vi è da considerare il modo di condurre gli affari esteri da parte del Premier Berlusconi. Come nel caso dei rapporti con il Presidente russo Putin, il Presidente del Consiglio non sembra disdegnare l’ostentazione di rapporti amichevoli con i Capi di Stato esteri, anche nel caso di persone ambigue e controverse come il caso, appunto, di Gheddafi. Ciò rischia di mettere l’interesse nazionale italiano (sul quale sarebbero opportuni seri studi da parte degli esperti del settore, per arrivare ad una ridefinizione delle priorità di Roma in campo internazionale) in secondo piano, rispetto alla personalità forte e “acchiappa-tutto” di un Capo del Governo troppo preso dalle proprie ambizioni personali e, per di più, che ha creato un sistema in cui non vi possa essere una significativa opposizione interna alle proprie azioni. In questo modo, Berlusconi rischia di far diventare l’Italia un Paese troppo accomodante nei confronti di partner discutibili e, così facendo, di allontanare il Paese dai circoli sopranazionali che contano, in cui vi è bisogno di un’adeguata credibilità internazionalmente riconosciuta.
Stefano Torelli