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Il Mar Cinese Meridionale tra speronamenti, virus e corsari

Analisi – Il Mar Cinese Meridionale sta divenendo teatro di azioni sempre più assertive da parte della Cina, che lo vede come territorio nazionale. A causa dell’alto coinvolgimento degli USA c’è il serio rischio di un dilemma di sicurezza, esacerbato dall’ala più estrema delle Forze Armate americane.

LE ULTIME NOTIZIE: PREOCCUPANTI SVILUPPI

A causa della lontananza geografica e di interessi, la conoscenza della disputa sul Mar Cinese Meridionale è in Italia piuttosto limitata. Le ultime menzioni sui principali quotidiani nostrani risalgono a qualche mese fa, quando a seguito di ripetute accuse di violazione della sovranità una petroliera cinese aveva abbandonato le acque territoriali del Vietnam dove era stazionata per indagini su rischi sismici per l’eventuale installazione di impianti petroliferi. La regione è ricca di petrolio e gas naturale oltre a essere particolarmente fruttuosa per l’industria ittica, ma la dimensione più rilevante è il controllo delle zone strategiche per il commercio marittimo, che è ora cruciale per la Cina al fine di uno sviluppo ottimale della Maritime Silk Road.
Gli ultimi sviluppi stanno preoccupando gli osservatori internazionali: a inizio aprile le Isole Paracelso (o Isole Xisha, secondo la denominazione cinese) hanno visto l’affondamento di un peschereccio vietnamita. Nella versione cinese una nave della propria Guardia Costiera cinese è stata speronata dal suddetto peschereccio nelle proprie acque territoriali, mentre il Vietnam sostiene che l’equipaggio della nave affondata operava in piena legalità. Entrambi gli Stati hanno dunque puntato il dito l’uno contro l’altro, citando la sovranità come elemento dirimente. Esacerbando le già elevate tensioni, alcune fonti hanno dichiarato in data 17 aprile come una nave della Petronas (la compagnia petrolifera malese) stia venendo tallonata da un altro vascello cinese, la Haiyang Dizhi 8.
Gli Stati Uniti, che fin dall’Amministrazione Obama hanno adottato una strategia di aperto contenimento della Cina tramite il rafforzamento dei legami con Corea del Sud e Giappone e il miglioramento delle relazioni con India e Vietnam, hanno denunciato l’accaduto tramite un comunicato del Dipartimento di Stato. La portavoce Morgan Ortagus ha rinnovato il sostegno statunitense alla decisione della Corte Permanente di Arbitrato del 2016, che dichiarò illegale la Nine-Dash Line con cui la Cina ha delimitato la propria area marittima. È tuttavia particolarmente interessante l’enfasi della Ortagus nel denunciare l’ulteriore espansione dell’influenza cinese nella regione, traslatasi nella costruzione di basi di ricerca sulle isole militarizzate di Subi Reef e Fiery Cross Reef. Secondo la portavoce, l’azione di allargamento cinese ha utilizzato la pandemia attualmente in corso come pretesto, sfruttando il momento favorevole al fine di rafforzare ancor più la propria presenza.
D’altra parte tale attività si sta già realizzando tramite la costruzione di amministrazioni dedicate per le isole Paracelso e Spratly, con il riconoscimento dei nuovi distretti di Xisha e Nansha sotto la provincia di Hainan. A ciò si associa la denominazione delle entità geografiche nella regione rilasciata in data 20 aprile, una mossa solo apparentemente marginale, ma che rafforza la narrativa e l’azione cinese.

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Fig. 1 – La portaerei USS Ronald Reagan in navigazione nel Mar Cinese Meridionale lo scorso ottobre

IL RUOLO DELLA PANDEMIA PER LA STRATEGIA DI PECHINO

L’emergenza derivante dalla Covid-19 ha causato problemi rilevati per entrambe le portaerei americane nel Pacifico, la USS Ronald Reagan e la USS Theodore Roosevelt, i cui equipaggi hanno mostrato un aumento di casi positivi. Il capitano della seconda nave è inoltre stato rimosso dal comando, a seguito della diffusione a mezzo giornalistico di una sua lettera indirizzata ai superiori in cui richiedeva maggiori aiuti per affrontare il contagio sul vascello. Ciò porta la Cina in una posizione di vantaggio, della quale è ampiamente consapevole: un articolo pubblicato sul sito ufficiale del People’s Liberation Army (PLA, l’esercito cinese) ha sottolineato come la pandemia abbia significativamente ridotto le capacità di dispiegamento della Marina statunitense nella regione dell’Asia-Pacifico.
Relativamente alla crisi attuale, la posizione della Cina è quella di un deciso rifiuto delle accuse dell’utilizzo della Covid-19 come arma geopolitica. Nel corso della conferenza stampa quotidiana tenutasi il 3 aprile, la portavoce del 外交部 (waijiaobu, il Ministero degli Affari Esteri) Hua Chunying ha paragonato la pandemia a una guerra, sostenendo che come in ogni conflitto l’obiettivo sia quello di ottenere la vittoria finale. Ha inoltre aggiunto che la Cina condividerà la propria esperienza nell’affrontare il virus in termini di best practices, senza però che ciò venga usato per fini geopolitici. Pechino si sta dimostrando volenterosa nell’aiutare i Paesi in maggiore difficoltà, con ingenti donazioni di materiale sanitario e missioni di équipes mediche dall’elevata preparazione – la stessa Italia ne ha giovato, anche se bisogna ricordare come la collaborazione in ambito sanitario fosse un elemento già enfatizzato nel Memorandum d’Intesa sulla Via della Seta siglato lo scorso anno.
Non bisogna però scordare come la riunificazione nazionale resti l’obiettivo ultimo della Cina: se ciò è immediatamente visibile riguardo alle controversie sulla partecipazione di Taiwan all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il Mar Cinese Meridionale fa anch’esso parte di questa visione unificatrice. Sebbene si possa pensare che stia utilizzando l’attuale contesto a suo vantaggio e accelerando gli sforzi per il controllo totale della regione, Pechino sta in realtà proseguendo imperterrita lungo una linea tracciata da tempo. La versione ufficiale è monolitica: come testimoniato dal portavoce del 外交部 Zhao Lijian, le isole Xisha e Nansha sono parte del territorio cinese, e qualsiasi reclamo di altri Stati su di esse costituisce una violazione del diritto internazionale.

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Fig. 2 – Cadetti della Marina del PLA in marcia per la celebrazione del Martyrs’ Day, la festa nazionale che commemora i caduti per l’integrità nazionale e territoriale della Cina, 30 settembre 2019

UN FUTURO DI “CORSARI”: L’AZIONE STATUNITENSE

Gli Stati Uniti, tradizionalmente coinvolti per via di alleanze strategiche, continuano a svolgere operazioni di pattugliamento navale nella regione. La posizione americana potrebbe però diventare più aggressiva rispetto al passato: l’ultimo numero della rivista Proceedings, pubblicata dall’US Naval Institute, contiene un provocatorio articolo a firma di Mark Cancian e Brandon Schwartz, intitolato “Unleash the privateers!” (Sguinzagliate i corsari!). Il tema è come neutralizzare la Marina cinese senza aumentare ulteriormente il budget destinato alla Difesa: notando come l’avanzato sistema di A2/AD (Anti-Access/Area Denial) cinese sarebbe affrontabile solo con un imponente dispiegamento di forze, i due autori individuano la dimensione della marina mercantile cinese come una vulnerabilità asimmetrica, su cui agire tramite l’impiego di corsari. L’obiettivo non sarebbe quello di causare un conflitto, quanto piuttosto di creare un meccanismo di deterrenza in modo tale da prevenire una guerra che la Cina non vorrebbe affrontare, dal momento che la sua stabilità economica (ergo, quella politica) poggia sul commercio internazionale.
La posizione ufficiale degli Stati Uniti non è in alcun modo quella espressa nell’articolo, ma data l’origine autoritativa della fonte non è possibile escludere oltre ogni ragionevole dubbio che i vertici della Marina non abbiano esposto questa possibilità all’Amministrazione Trump. Lo stesso Presidente ha enfatizzato più volte l’importanza delle operazioni sulla libertà di navigazione (Freedom of Navigation Operations, o FONOPs), manovre effettuate dalla propria flotta per creare sfide operative in caso di reclami marittimi considerati eccessivi.
L’Amministrazione Trump si è dimostrata persino più attenta agli sviluppi della disputa rispetto alla Presidenza precedente, sebbene le azioni condotte siano sembrate ad alcuni osservatori fin troppo lasse. La regione rimane quindi tra le più pericolose per un conflitto a dimensione regionale e potenzialmente mondiale. A causa dell’alto coinvolgimento degli USA ci sono tutte le condizioni per un dilemma di sicurezza le cui dimensioni non sarebbero paragonabili a nulla di affrontato dai tempi della Guerra Fredda.

Andrea Angelo Coldani

Multiple aircraft from Carrier Air Wing 5 fly in over USS Ronald Reagan (CVN 76).” by Official U.S. Navy Imagery is licensed under CC BY

Dove si trova

Perchè è importante

  • La regione del Mar Cinese Meridionale, teatro di una disputa territoriale, ha visto nelle ultime settimane una Cina ancora assertiva, tra lo speronamento di un vascello vietnamita e il tallonamento di una nave della Petronas.
  • La crisi creatasi con l’epidemia di Covid-19 ha dato più spazio di manovra a Pechino, che prosegue tuttavia su una linea ben chiara da anni alla ricerca dell’unificazione nazionale.
  • Gli Stati Uniti hanno rafforzato le esercitazioni militari nella regione per tutelare la libertà di navigazione: alcuni falchi della Marina caldeggiano il ritorno delle lettere di corsa come deterrente.

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