Da Beirut – Il Presidente iraniano in Libano: non solo una visita di cortesia, e non solo una nuova occasione per lanciare strali contro Israele. Come spesso capita in Medio Oriente, l’intreccio è composto da molteplici fili. Divisioni tra sunniti e sciiti, accordi economici, la strategia di Teheran per controllare sempre piĂą la regione, il ruolo sullo sfondo (ma neanche troppo) di Siria e Arabia. E ancora: i tentativi di fare luce sull’omicidio dell’ex Primo ministro libanese Hariri, e le fragilitĂ interne del Paese dei Cedri. Ce n’è abbastanza per un intricato thriller geopolitico. Cerchiamo di capire insieme cosa succede
LE TENSIONI INTERNE TRA SUNNITI E SCIITI – La visita del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad nel paese dei Cedri si accomoda sull’onda delle forti tensioni che nell’ultima settimana hanno agitato l’opinione pubblica libanese. Nei quartieri sciiti della capitale le bandiere iraniane sventolano da settimane e nel sud del Libano, roccaforte di Hezbollah, il gruppo militante sciita e partito politico sostenuto e finanziato dal regime degli Ayatollah, è stato addirittura inaugurato un “giardino dell’Iran”. Ad essere preoccupati per la crescente ingerenza di Teheran e il legame sempre piĂą forte tra lo stato persiano le forze di Hassan Nahrallah, sono invece soprattutto i sunniti. La congiuntura politica risulta infatti particolarmente sfavorevole a questi ultimi: la loro rappresentanza parlamentare va progressivamente indebolendosi, a fronte della strategia esplicita del Partito di Dio che tenta di estendere il controllo dal sud verso il nord del Libano; per di piĂą i loro alleati regionali tradizionali, l’Egitto e l’Arabia Saudita, non sono in grado di controbilanciare il supporto dell’asse siro-iraniano nei confronti di Hezbollah (sebbene la Siria sembra essere piĂą defilata rispetto a qualche anno fa). Quest’ultimo, secondo un rapporto pubblicato il 6 ottobre dall’Hudson Institute di New York, avrebbe giĂ dispiegato le sue forze armate in punti strategici del paese in attesa di un crollo dell’attuale governo e starebbe cercando, sotto l’egida dell’Iran, di surriscaldare la tensione interna al fine di favorire “l’esportazione della rivoluzione islamica in Libano”. Sebbene si tratti di uno scenario attualmente difficile da verificarsi, occorre fare delle riflessioni sulla situazione interna libanese.
Se il paese dovesse ripiombare nel baratro di una nuova guerra civile, la declinazione del conflitto si plasmerebbe stavolta principalmente sulla storica frattura tra sunniti e sciiti, con il rischio che l’ancestrale tensione si espanda a macchia d’olio nella regione. A temere ciò sono principalmente i Paesi del Golfo, in cui gli sciiti, potenziale quinto piedistallo dell’Iran in caso di conflitto regionale, stanno surriscaldando in clima politico, inducendo, per esempio, i governi di Bahrein e Kuwait a emanare provvedimenti a raffica contro esponenti e partiti del gruppo confessionale sciita.
IL TSL E IL DOSSIER DEI FALSI TESTIMONI – La visita del presidente iraniano, d’altra parte, si staglia sullo sfondo dell’impasse del TSL, il Tribunale Speciale per il Libano, istituito nel 2005 dall’ONU – e all’epoca fortemente invocato dallo Stato libanese – per individuare e giudicare gli assassini dell’ex premier Rafiq Hariri. Tuttavia, proprio nel momento in cui la morsa della sentenza sembrava stringersi, secondo indiscrezioni, sul partito di Dio, le coalizioni parlamentari del 14 marzo e dell’8 marzo si sono incagliate su posizioni avverse circa il rimettere o meno alla Corte di giustizia il cosiddetto dossier dei (presunti) “falsi testimoni”. Si tratta di politici e figure istituzionali libanesi accusati di avere rilasciato false dichiarazioni a sostegno della tesi della responsabilitĂ siriana nell’attentato, fortemente rigettata dal partito di Hassan Nahrallah, che ha invece pubblicamente auspicato, “per il bene del paese”, una maggiore influenza della Siria negli affari interni del Libano e accusato Israele di essere il vero mandante dell’assassinio dell’ex premier. Le autoritĂ siriane, per di piĂą, hanno emesso un mandato di cattura nei confronti dei “falsi testimoni”, violando la sovranitĂ del Libano. Quale che sia l’esito dell’affaire – squisitamente politico – dei “falsi testimoni”, resta il fatto che, dopo ben 5 anni, il tribunale delle Nazioni Unite rischia di divenire ostaggio della sua stessa sentenza, e dunque del suo stesso fine, ritrovandosi nella condizione di non poter individuare nessun colpevole. Il premier Saad Hariri, alla vigilia dell’arrivo del presidente iraniano a Beirut, ha dichiarato ufficialmente che “non accuserĂ Hezbollah per l’assassinio di suo padre”.
IL RUOLO STRATEGICO DEL SUPPORTO IRANIANO NEL SETTORE ENERGETICO – La partita a scacchi del regime degli Ayatollah con il Libano, d’altro canto, si dispiega anche nella direzione della fornitura energetica, necessaria al piccolo paese dei Cedri che possiede soltanto l’acqua come risorsa interna. L’altro giorno Mahmoud Ahmadinejad e il suo omologo libanese, Michael Sleiman, hanno siglato 14 accordi economico-commerciali, tra i quali sono previsti anche il finanziamento da parte iraniana di una raffineria petrolifera e la fornitura di gas naturale.
Nonostante l’appesantirsi delle sanzioni a danno dei settori energetici iraniani, il regime di Teheran sembra aver addirittura aumentato il peso del suo ruolo di esportatore energetico nella regione, stringendo accordi per la fornitura di gas con il Bahrein, con il sultanato dell’Oman e, per l’appunto, con il Libano.
LA STABILITA’ (PRECARIA?) DEL PAESE DEI CEDRI – Beirut si ritrova dunque ancora una volta stretta nella morsa delle potenze regionali. Il fine dell’Iran, come paventato dalla lettera firmata da 250 intellettuali e giornalisti libanesi alla vigilia della visita di Ahmadinejad, sarebbe quello di rendere il paese dei Cedri il principale avamposto per imporre la sua egemonia regionale ed esercitare da vicino una politica aggressiva nei confronti dello Stato israeliano. D’altra parte, in nessun altro luogo del Medio Oriente come nel sud del Libano, proprio al confine con Israele, la cui distruzione è oggetto prediletto della retorica del presidente iraniano, il regime di Teheran gode di una maggiore esplosione di consensi. Difficile non comprendere come questo sia stato il risultato della guerra con Israele del 2006. Allora, infatti, fu anche l’Iran, tramite Hezbollah, a finanziare la ricostruzione dei villaggi distrutti dai bombardamenti israeliani. Ed è lì che infatti oggi il presidente iraniano è stato accolto con i favori della popolazione locale.
Anche la Siria, costretta a lasciare il paese dopo il 2005, vede dilatarsi una nuova breccia per ricominciare a esercitare la sovranitĂ perduta su Beirut. Sostenitrice storica di Hezbollah e soprattutto Amal (l’altro partito sciita libanese) e legata a doppio filo all’Iran, dopo lo scongelamento recente delle relazioni con l’Occidente, sembra aver inaugurato una politica estera multi-direzionale, volta a trarre da ogni contatto il massimo profitto. Dopo aver riaperto sottobanco i negoziati con lo Stato di Israele, grazie alla mediazione di Ankara, il governo di al Assad ha rafforzato e ribadito il legame con l’Iran e ha riallacciato i legami con i paesi del Golfo, soprattutto l’Arabia Saudita, nemico storico di Teheran.
Infine proprio l’Arabia Saudita, anch’essa coinvolta nella ricostruzione del paese, rappresenta il vero ago della bilancia nelle scelte del premier Hariri. La cautela che il governo libanese ha adottato nello schivare un’eccessiva politicizzazione del dossier dei falsi testimoni, derivano principalmente dalla volontà saudita di preservare lo status quo nel paese e nella regione. Riyadh fa i conti con la crescente influenza dell’Iran e non può dunque permettersi di rompere i legami recentemente riallacciati con la Siria; legami che si reggono anche sugli accordi per la stabilizzazione del Libano.
Marina Calculli (da Beirut)