Proprio mentre il Presidente Hariri è a Wahington (tutt'altro che un caso), cade il governo in Libano: il Paese dei cedri torna nel caos. Cosa c'è dietro? Cerchiamo di comprendere quali motivazioni stanno dietro alla scelta e quali prospettive potrebbero esserci, tra un livello di stabilità sempre minore e un rischio di nuove violenze tornato concreto
LE DIMISSIONI – La crisi governativa libanese, certamente attesa ma forse prematura, pone il Libano in una situazione di estrema difficoltà. Ieri 11 ministri del governo (10 vicini alla coalizione dell'8 marzo ed uno leale al Presidente della Repubblica Michel Suleiman) hanno rassegnato le proprie dimissioni aprendo una nuova e inquietante pagina nella storia politica libanese. La coalizione dell'8 marzo è composta da Hezbollah ed Amal (sciiti), Partito socialista progressita (Drusi fedeli a Walid Jumblatt), Movimento Patriottico (cristiani fedeli a Michel Aoun).
La prima domanda da porsi riguarda le motivazioni di quanto accaduto. Significativo il fatto che le dimissioni siano state rassegnate proprio mentre il premier Hariri era in visita a Washington. Significativo inoltre che siano giunte proprio immediatamente a ridosso della sentenza del Tribunale Speciale dell'ONU che indaga sulla morte del premier Rafiq Hariri. Una manovra di pressione sul premier e sui lavori del Tribunale per impedire di accusare uomini vicini ad Hezbollah o alla Siria.
Del resto gli stessi ministri dimissionari lo hanno affermato: la crisi è stata innescata a causa della debolezza governativa in merito alla risoluzione delle problematiche interne relative al Tribunale Speciale. Ignorando le richieste siriane e saudite, le quali proponevano una sorta di accordo interno alle forze politiche libanesi, il premier Hariri avrebbe inevitabilmente portato il paese sull'orlo del baratro. L'8 marzo presenta la sua azione dunque come una manovra di responsabilità nazionale, per far uscire il paese dallo stato comatoso di questi ultimi mesi. Hezbollah, Amal, i drusi di Jumblatt ed i cristiani fedeli a Michel Aoun chiedono la formazione di un governo di unità nazionale che, nelle parole del dimissionario Adnan Sayyed Hussein, salvaguardi l'unità nazionale e la stabilità del paese.
IN ATTESA DI NUOVI EQUILIBRI – Ma cosa accadrà mentre il paese è alla ricerca della sua stabilità interna? Sembra che già oggi lo stato maggiore israeliano abbia messo in allerta le proprie truppe di stanza al confine con il sud del paese. Le forze dell'8 marzo hanno annunciato che l'opposizione non ha affatto concluso le proprie manovre di pressione sull'esecutivo e che nei prossimi giorni si svolgeranno manifestazioni e dimostrazioni di piazza. L'unico dato certo finora è che gran parte della volontà di far cadere il governo Hariri sia ascrivibile ad Hezbollah ed al suo Segretario Hassan Nasrallah, il quale avrebbe personalmente chiesto al Ministro Adnan Sayyed Hussein (l'unico esterno alla coalizione dell'8 marzo) di rassegnare le proprie dimissioni. Una dimostrazione di forza, l'ennesima da parte del Partito di Dio, per dimostrare il reale peso della compagine sciita nel paese. Un segnale forte e durissimo anche per gli Stati Uniti, che tanto avevano sostenuto, insieme ad altre forze europee, il Tribunale Hariri.
NO EASY WAY OUT – Così molti quotidiani commentano la nuova crisi, l'ennesima, del governo libanese. Non sarà facile mantenere unito un paese che tende quasi quotidianamente a dividersi e sfilacciarsi seguendo le proprie specificità confessionali. Forse però la multi-confessionale formazione dell'8 marzo (drusi, sciiti e cristiani) potrebbe, almeno in queste prime fasi, porre un freno ad un escalation di violenza sul piano interno, pur ricordando quanto labile sia il concetto di alleanze nel paese. In ultimo bisognerà osservare quali le saranno manovre israeliane. Lo stato di allerta delle truppe di confine è un segnale che dimostra quanto da vicino Tel Aviv intenda seguire questa crisi. E' proprio vero: no easy way out.
Marco Di Donato [email protected]