Miscela Strategica – L’Italia è sempre stata all’avanguardia nello studio della propulsione a razzo. Dopo anni di vicissitudini ed errori di valutazione, finalmente si è dotata di un proprio lanciatore, utilizzato in ambito europeo insieme ad Ariane-5 e Soyuz. Vediamo la storia di questo progetto, le sue caratteristiche attuali e gli sviluppi futuri.
LE ORIGINI – L’Italia ha una tradizione nella costruzione di razzi risalente alla Repubblica di Venezia. Nel XIV secolo, i veneziani svilupparono dei rudimentali razzi per l’impiego durante gli assedi. Il nome di questi strumenti bellici era “rocchette“. Da questo termine derivarono in seguito l’inglese rocket e il tedesco rakete. Nei secoli seguenti, fino ad arrivare alla Seconda Guerra Mondiale, ci si limitò ad effettuare studi teorici sulla fattibilitĂ dei razzi come armi belliche e alcuni pionieri si spinsero addirittura a teorizzare un volo spaziale. Al di lĂ di qualche sporadico test, non si approdò mai a nulla di concreto.
Nel dopoguerra un ingegnere e ufficiale dell’Aeronautica Militare, Luigi Broglio, intuì la novitĂ e il potenziale insiti nella nascente corsa allo spazio tra Stati Uniti e Unione Sovietica e pensò che l’Italia doveva agganciarsi a quel treno. Nel 1952 divenne Preside della FacoltĂ d’Ingegneria dell’UniversitĂ “La Sapienza” di Roma, succedendo a un altro pioniere dello studio dei razzi: Gaetano Arturo Crocco. In quegli anni fondò il Centro Ricerche Aerospaziali, costruendo la prima galleria del vento supersonica d’Europa e il primo sito per i test su satelliti. Iniziò le sue sperimentazioni sui razzi utilizzando gli americani Nike-Kajun
dal poligono di Salto di Quirra in Sardegna. Successivamente al lancio del satellite sovietico Sputnik-1 il fisico Edoardo Amaldi convinse Broglio ad avviare un programma spaziale nazionale. Con l’appoggio della Commissione per le Ricerche Spaziali (facente parte del Consiglio Nazionale per le Ricerche-CNR) e, successivamente, del Governo, vide la luce il programma San Marco. Il progetto prevedeva la costruzione di una base equatoriale per i lanci e l’addestramento del personale e la fornitura di vettori da parte degli statunitensi. La base sarebbe poi stata costituita da due ex piattaforme petrolifere rimorchiate ed ancorate a largo delle coste del Kenya di fronte alla cittĂ di Malindi. Il programma San Marco si basava sull’omonimo satellite e sul vettore leggero americano Scout. Il primo lancio avvenne nel 1964 dalla base statunitense di Wallops Island in Virginia. I successivi quattro, nel 1967, 1971, 1974 e 1988 furono effettuati dalla piattaforma a largo del Kenya.
PROBLEMI – Forte del successo del programma, Broglio e il suo team iniziarono a pensare allo sviluppo di una versione italianizzata dello Scout (il San Marco-Scout) per lanciare in orbita carichi piĂą pesanti. Nel frattempo però, l’Italia aderiva all’Organizzazione Europea per la Ricerca Spaziale (European Space Research Organization-ESRO) e all’Organizzazione Europea per lo Sviluppo dei Lanciatori (European Launcher Development Organization-ELDO) dalle quali sarebbe nata l’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Il CNR e il Governo italiano puntarono molto sulla via europea iniziando a diminuire i fondi destinati al team di Broglio e, di conseguenza, al progetto San Marco e al San Marco-Scout.  Nell’ambito dell’ELDO, l’Italia fu esclusa dallo sviluppo dai vettori della serie Europa. L’expertise italiana accumulata nello studio e nella sperimentazione di motori a propellente solido si rivelò poi fondamentale per la costruzione dei boosters per la famiglia di vettori europei Ariane.
UN VETTORE ITALIANO – Nell’ambiente industriale e scientifico italiano il sogno di Broglio di un lanciatore italiano non si era sopito. Dopo vari studi di fattibilitĂ concernenti lo sviluppo di piccoli lanciatori con motori a propellente solido giĂ disponibili, si optò per la progettazione di un vettore totalmente innovativo, con una configurazione che prevedesse un numero minimo di motori per il suo funzionamento. La soluzione era basata su motori Zefiro (ZEro and First ROcket) per un primo e un secondo
stadio. Il razzo avrebbe avuto un diametro di 2 metri per un carico utile massimo di 500 chili. Una seconda configurazione prevedeva un motore CASTOR-120 (di costruzione russa) che aumentava la capacitĂ di carico a 800 chili. In seguito, ai due stadi a propellente solido fu aggiunto uno a propellente liquido chiamato AVUM.
La configurazione finale del progetto prevedeva quattro stadi: tre a propellente solido e l’ultimo a propellente liquido per il collocamento del payload nell’orbita prevista. La versione a quattro stadi si rese necessaria per applicare il thrust vector control (controllo vettoriale della spinta) per la stabilizzazione del razzo durante il volo al posto delle alette di tipo aerodinamico.
VEGA – Il nuovo razzo venne chiamato Vega (Vettore Europeo di Generazione Avanzata). Con il passare del tempo si scelse la strada dell’europeizzazione del vettore al posto della collaborazione con i russi. Il Consiglio dell’ESA svoltosi a Bruxelles nel 1998 approvò l’avvio degli studi per il progetto. La configurazione presa in considerazione doveva avere un carico utile maggiore rispetto al progetto originario e il primo stadio avrebbe dovuto essere sviluppato in Europa ed essere basato sui boosters dell’Ariane-5. Venne mantenuta la composizione a quattro stadi costruiti totalmente in fibra di carbonio, una novitĂ a livello mondiale che facilita notevolmente la costruzione e l’integrazione.
Per dissensi riguardo al consorzio industriale che si sarebbe occupato del progetto, la compagnia francese Aerospatiale ne uscì, lasciando sola Avio Spa. Dopo estenuanti trattative il progetto Vega  fu definitivamente approvato dall’ESA a fine Novembre del 2000.
COMPOSIZIONE E CAPACITA’ – Vega è un vettore a quattro stadi, tre a propellente solido e uno a propellente liquido, totalmente costruito in fibra di carbonio. I componenti degli stadi sono tutti assemblati agli stabilimenti Avio Spa a Colleferro (RM). L’integrazione del vettore nel suo insieme avviene pochi giorni prima del lancio al Centro Spaziale della Guyana (CSG).  Il primo stadio è chiamato P-80, pesa circa 96 tonnellate e funziona per i primi 106 secondi del volo. Il secondo è lo Zefiro-23, che pesa 24 tonnellate e funziona per 72 secondi. Il terzo è lo Zefiro-9, pesante 11 tonnellate e funzionante per 110 secondi. L’ultimo è lo stadio AVUM, l’unico a propellente liquido e accendibile piĂą volte per posizionare il carico utile nell’orbita prevista. Il carico massimo che il Vega riesce a lanciare in orbita bassa è di 1,5 tonnellate. Il carico utile può essere sia un unico satellite sia piĂą piattaforme spaziali.
I Paesi ESA partecipanti al programma sono Belgio, Francia, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Svizzera. L’Italia detiene il 65% del progetto, la Francia il 25%. Il capocommessa è l’azienda ELV, joint-venture tra Avio Spa e l’Agenzia Spaziale Italiana.
I LANCI – Fino ad oggi, il Vega è stato lanciato due volte, entrambe con successo. Il primo è avvenuto il 13 Febbraio 2012 dal CSG. Il carico utile era composto da ben 9 micro-satelliti tra cui due di costruzione italiana il LARES (LAser Relativity Satellite-satellite per la misurazione laser della relativitĂ generale) e il ALMASat-1. Il secondo lancio è stato effettuato il 7 Maggio 2013 con un carico utile costituito da tre satelliti: l’europeo Proba-V, l’estone ESTCube-1 e il vietnamita VNREDSAT.
SVILUPPI FUTURI – Una volta terminati i lanci che vanno sotto il nome di VERTA (Vega Research and Technology Accompaniment-Accompagnamento Tecnologico e di Ricerca per Vega), il vettore verrĂ aggiornato e potenziato. Il P-80 sarĂ sostituito dal piĂą potente P-120 e il Zefiro-23 sarĂ sostituito dal Zefiro-40. L’AVUM, che ha i maggiori componenti costruiti in Ucraina, dovrebbe essere sostituito dal VENUS (VEga New Upper Stage-Nuovo Stadio Superiore per Vega) di concezione tedesca. La capacitĂ di carico sarĂ di 2 tonnellate in orbita bassa con possibilitĂ di carichi minori in orbita media.
Emiliano Battisti