Odyssey dawn, Ellamy, Harmattan, Mobile: tanti nomi per la stessa operazione. Dopo settimane di tentennamenti e delicati negoziati dietro le quinte, è stato necessario che le forze di Gheddafi arrivassero alla periferia di Bengasi e il Colonnello minacciasse una sanguinosa rappresaglia perché il Consiglio di Sicurezza ONU autorizzasse l’uso della forza contro il regime libico per proteggere i civili. Guidate da Francia e Gran Bretagna, le operazioni militari sono ora partite: cerchiamo di capire cosa significa
DIETRO LE QUINTE – Quello che più ha stupito l’opinione pubblica è stata la lentezza nel reagire a una situazione che già da settimane appariva disperata per i ribelli, soprattutto se si considera la richiesta diretta di intervento da parte della Lega Araba e dei rivoltosi stessi, oltre alla disponibilità fornita da Parigi e Londra per un intervento immediato. Ma dietro le quinte le manovre diplomatiche sono state più complesse, con Russia e Cina riluttanti ad autorizzare l’appoggio di una rivolta interna a un paese che potrebbe sempre essere utilizzato come precedente nel caso simili situazioni si verifichino anche in casa propria. Da parte USA invece è emerso il desiderio di non voler aprire un nuovo fronte militare che potesse apparire una riedizione dell’intervento in Iraq del 2003 senza un chiaro mandato ONU.
COSA E’ CAMBIATO? – E’ cambiata la situazione sul campo. Proprio i successi del Colonnello e le minacce di repressione hanno posto soprattutto la Cina di fronte all’impossibilità di rifiutare ancora l’appoggio. L’astensione (in opposizione al VETO che avrebbero potuto opporre se fossero stati davvero contrari) permette loro di mantenere una posizione defilata per non apparire troppo allineati all’Occidente, dando comunque il via libera alla risoluzione ONU e seguenti azioni militari.
Dunque la NATO è il braccio armato dell’operazione, ma il mandato è ONU e, cosa più importante e più volte rimarcata dal Presidente Obama, agisce su richiesta esplicita e diretta della Lega Araba. Una situazione molto più simile alla Guerra del Golfo del 1991 che a quella del 2003.
OPERAZIONI MILITARI – Differenti sono anche le modalità operative, più simili al Kossovo-Serbia del 1999. L’opzione di terra non è infatti un’opzione, esplicitamente esclusa dal mandato ONU e dalle richieste arabe, e che comunque comporterebbe rischi eccessivi per le necessità attuali. Ma come scrivevamo pochi giorni fa, una semplice no-fly zone non è stata giudicata sufficiente allo scopo. Già, ma qual’è lo scopo?
Se l’obiettivo strategico sul lungo termine rimane quello di abbattere il regime di Gheddafi, quello operativo al momento è molto più ridotto e coinvolge lo smantellamento della capacità militare del regime, principale rischio per i rivoltosi e i civili, fino a giungere a un cessate il fuoco. Ecco quindi che assieme al controllo dello spazio aereo e alla soppressione delle difese antiaeree locali i cacciabombardieri alleati e i missili Tomahawk lanciati dalle navi bersagliano attivamente concentrazioni di truppe a terra (in particolare carri armati ed artiglieria), basi aeree, depositi di munizioni e carburante per mezzi militari, centri comando e di comunicazione. Lo scopo è eliminare gran parte della potenza di fuoco e capacità operativa delle truppe di Gheddafi, fino ad ora decisivi nello svolgimento della guerra civile in atto sul terreno. I nuclei di truppe lealiste che sono già penetrati nelle zone urbane contese, come le forze speciali della brigata Khamis alla periferia di Bengasi, sono sicuramente meno vulnerabili proprio per la difficoltà di colpirli senza rischiare vittime civili. Tuttavia la speranza è che il crollo della struttura militare che li supporta possa di fatto bloccarne l’avanzata e costringerli a ripiegare.
Contemporaneamente team di truppe speciali e osservatori sono molto probabilmente stati inviati sul posto per segnalare i bersagli e prendere maggiore contatto con i rivoltosi, organizzarli e coordinare meglio la loro azione.
BREVE E LUNGO PERIODO – Le modalità dell’operazione potranno ovviamente variare col tempo, adeguandosi alla situazione sul campo, ma l’intera questione andrà valutata su due aspetti. Sul breve periodo è prevedibile un enorme successo della campagna di bombardamento. Le difese libiche – in particolare quelle antiaeree – sono obsolete e si dimostrarono del tutto inadeguate già negli anni ‘80. Ogni bersaglio in campo aperto è del tutto vulnerabile e destinato a essere colpito e distrutto in rapida successione, mentre quelli meno scoperti saranno di fatto immobilizzati e, pur continuando a combattere, perderanno parte della loro efficacia.
Sul lungo periodo invece la questione è differente: Gheddafi non è Milosevic e difficilmente si dimetterà o verrà estromesso da una campagna di bombardamenti. Inoltre non è detto che le truppe lealiste crollino velocemente e il conflitto potrebbe richiedere molto tempo per risolversi, soprattutto perché sono i rivoltosi a terra a dover riconquistare il terreno fino ad abbattere il regime, almeno nell’intenzione della comunità internazionale. La speranza è che tante unità dell’esercito regolare libico decidano di appoggiare la rivolta piuttosto che rischiare la distruzione per mano alleata; eppure anche in questo caso non si prevede una soluzione rapida.
Il regime di Gheddafi può essere disarmato abbastanza rapidamente. Ma rovesciarlo è tutta un’altra questione, e non è un caso che gli alleati si siano riservati un cavillo: l’obiettivo dichiarato è il cessate il fuoco, non l’estromissione del Colonnello. Un modo per mantenere aperta la possibilità di passare a una strategia diplomatica quando l’opzione militare avrà esaurito la propria utilità.
Lorenzo Nannetti