Tutto sembra essere cominciato lo scorso 17 dicembre, quando un ambulante tunisino si è dato alle fiamme dopo aver subito l’ennesimo sopruso da parte delle forze dell’ordine. Da allora egli è diventato il simbolo delle masse di giovani oppressi in cerca del riscatto e il mondo arabo è in subbuglio. Ma è davvero possibile pensare che tutti questi Paesi soffrano dello stesso male? No di certo. Non è solo un tam-tam tra giovani, come da semplificazioni eccessive di troppi media: ogni Stato ha sue specifiche particolarità interne. Un esempio su tutti è quello della Siria. Con questa analisi in due diversi “espressi”, cerchiamo dunque di capire cosa caratterizza i tumulti e le rivolte contro Assad
UN CASO A PARTE – A quanto pare, l’onda d’urto generata dall’esplosione di tumulti nel Maghreb prosegue la sua avanzata. La minaccia, che man mano si propaga verso il Golfo Persico, continua a tenere sulle spine i governi del mondo arabo-mediterraneo. Le evidenti cause della mobilitazione generale (malessere diffuso tra popolazioni giovanissime e senza futuro, ingiustizie sociali, corruzione negli ambienti economici e militari, dissapori tra comunità tribali, ma soprattutto forte voglia di cambiamento, largamente condivisa attraverso l’uso di tecnologie di comunicazione di massa) sono un cocktail che può essere rintracciato in ciascuno degli scenari che sono attualmente scossi dal possente “sisma”. Ma l’enorme carico di notizie che, giorno per giorno, affolla le prime pagine dei quotidiani può creare confusione, raggruppando ogni tipo di manifestazione rivoluzionaria sotto l’ombrello di questa “rivoluzione araba”, e quindi celando involontariamente aspetti particolari di determinati scenari. Il caso siriano è senz’altro peculiare e vale la pena quindi analizzarlo sotto due profili: quello interno per scoprire quali sono i sentimenti che muovono le folle che ultimamente si sono riversate nelle piazze di Dar’a,Banyas, Latakia e altre città siriane, per contestare, ma anche sostenere, il governo di Bashar Al-Assad; e quello legato al sistema regionale del quale fa parte per capire quanto la sopravvivenza di un governo può (forse) garantire la stabilità di una regione.
MINORANZA MAGGIORITARIA – La questione siriana trova le sue radici nei rapporti conflittuali, presenti già da tempo, tra gruppi etnici e religiosi presenti all’interno del paese. La Siria, come peraltro altri paesi della regione, ha una società multietnica e multi-confessionale. Sotto il profilo etnico, gli arabi in Siria sono il quasi l’85%, seguiti da ebrei, ameni e curdi (questi ultimi quasi il 9% del totale). La maggioranza dei cittadini è musulmana sunnita (70%), accanto alla quale esistono minoranze cristiane (10%) e sciite (circa 11-12%). Quest’ultima è formata propriamente da fedeli alawiti (minoranza sciita), ed è proprio a tale credo che appartiene il regime di Assad. Nonostante in Siria la libertà di professare il proprio credo sia formalmente garantita, la convivenza ha generato in moltissime occasioni atti di violenza sfociati nello spargimento di sangue. Nel periodo tra il 1976 e il 1982, il governo del Presidente Hafez Al-Assad, padre dell’attuale leader siriano, si trovò a dover fronteggiare la rivolta armata dei Fratelli Musulmani contro il regime laico del partito Ba’th (il partito al governo), che sfociò nel massacro della città di Hama, mietendo più di ventimila vittime. Da quel momento, non solo la minoranza alawita si è garantita la non interferenza dei Fratelli Musulmani (rendendo di fatto illegale la loro presenza nelle istituzioni) ma ha anche continuato a reprimere ogni tentativo di contestazione, da qualsiasi parte esso provenisse. I mezzi di repressione del malcontento usati durante queste settimane non sono quindi una novità per il regime di casa Assad.
LE FAZIONI E L’ESERCITO – Verrebbe a questo punto da pensare che la situazione siriana non differisca molto da quella di altri Paesi che hanno assistito al repentino ribaltamento dei propri regimi, nei quali una minoranza agiata “affamava” una maggioranza di giovani senza speranza. La realtà è questa, ma non solo. Infatti qui, la differenza è rappresentata dalla presenza consistente delle altre minoranze (oltre a quella alawita al potere) che non hanno nessuna voglia di vedere un governo sunnita salire al potere. Le manifestazioni a favore del governo che si sono susseguite nei giorni scorsi ne sono la testimonianza diretta. Il propagarsi della rivoluzione araba ha gettato nel panico le élite siriane che, preoccupate al pensiero di perdere certi privilegi, agitano lo spettro del collasso iracheno dopo il rovesciamento del regime (i rifugiati in Siria sono quasi un milione) e inneggiano al predecessore dell’attuale leader, il presidente Hafez Al-Assad.
Quindi, come spiegato in maniera piuttosto chiara sul blog Syria Comment: «la Siria si divide dunque in fazioni – chi si schiera contro lo Stato e chi parteggia per il Presidente, oppure teme la rivoluzione. La maggioranza silenziosa si tiene ancora ai margini […]. L’esercito resta al fianco del Presidente, il che contrasta con i casi di Egitto e Tunisia. Fintanto che l’esercito resterà unito e fedele al Presidente, l’opposizione avrà problemi a prendere il sopravvento anche parziale del Paese o a far crollare il regime».
(1. continua)
Paolo Iancale