Dopo quattro anni di lotte, violenze, torture e durissimi scontri verbali, Hamas e Fatah hanno raggiunto un accordo di riconciliazione nazionale. Quattro anni durante i quali la politica palestinesesi non è stata che la cronaca di un ripetitivo scontro fra le due fazioni. Ma davvero oggi, dopo l'annuncio da parte del capo dell'intelligence egiziana Mourad Mouafi, i due maggiori partiti palestinesi hanno ritrovato l'unità? E perché proprio ora?
INTERIM AGREEMENT – Un accordo transitorio che permetta di indire nuove elezioni (sembra nel giro di meno di un anno). Questo si sa finora dell'accordo che Hamas e Fatah hanno siglato al Cairo grazie alla mediazione dell'intelligence egiziana. In queste ore Mahmoud al-Zahar e Moussa Abu Marzouk, alti rappresentanti di Hamas, stanno raggiungendo la capitale egiziana alla pari di alcuni importanti esponenti di Fatah. Secondo la Reuters, la quale ha raccolto le dichiarazioni di alcuni quadri dirigenziali di Hamas, tutte le distanze fra i due partiti sarebbero state colmati, tutti i dissidi appianati. Hamas e Fatah torneranno dunque a fare esclusivamente gli interessi della popolazione palestinese. Ma è davvero così?
Certo la notizia arriva un po’ a sorpresa. I colloqui sembravano ad un punto morto specialmente dopo la caduta di Mubarak e la rimozione di Omar Suleiman. Inoltre i durissimi scontri, verbali e non, fra i due movimenti facevano pensare ad una soluzione decisamente molto lontana dall'esser raggiunta. Poi però, andando a leggere ed interpretare l'attuale situazione palestinese si capisce, forse, qualcosa in più e l'iniziale sorpresa inizia col mitigarsi.
Lo scorso mese di marzo la popolazione palestinese era scesa in piazza, tanto a Ramallah quanto nella Striscia di Gaza, per chiedere la fine delle divisioni fra Hamas e Fatah e sollecitando la formazione di un governo di unità nazionale. Uno spirito propositivo, costruttivo che aveva persino deciso di soprassedere alle clamorose rivelazioni dei Palestine Papers. Uno spirito però quello della popolazione palestinese che manifestava un'insofferenza ed un'insoddisfazione tali da renderlo potenzialmente esplosivo. Hamas e Fatah sembrano aver risposto in brevissimo tempo a quelle istanze. I due partiti politici sembrano aver intuito il nemmeno troppo velato pericolo che quelle pacifiche manifestazioni di piazza si trasformassero in aggressive rivolte contro una classe dirigente logora e corrotta.
Non c'è dubbio inoltre che la posizione di estrema debolezza, tanto di Hamas a Gaza quanto di Abu Mazen in Cisgiordania, ha ulteriormente contribuito ad accelerare il processo di riconciliazione. Da tempo ormai la legittimazione politica di Abu Mazen deriva quasi esclusivamente dall'appoggio delle diplomazie straniere, Israele incluso, mentre la posizione di Hamas a Gaza è costantemente messa in discussione da una sempre più nutrita schiera di gruppuscoli estremisti quelli che, tanto per portare all'attenzione del lettore un esempio, hanno barbaramente ucciso l'attivista italiano Vittorio Arrigoni. Un matrimonio d'interesse, come spesso del resto avviene in politica, le cui basi appaiono decisamente fragili.
AMBIGUITÀ IRRISOLTE – Restano dunque ancora irrisolte diverse ambiguità riguardo i contenuti dell'accordo, soprattutto per quanto concerne l'attuale condizione degli attori coinvolti. Hamas fatica a superare le proprie ambiguità interne e mentre firma un accordo di riconciliazione nazionale con Fatah, aprendosi nei fatti ad un nuovo dialogo con Israele, condanna gli Stati Uniti per quello che viene definito l'assassinio di Osama Bin Laden. Nessun dubbio che critiche possano essere portate nei confronti dell'azione statunitense (per quanto forse utopico portare Bin Laden al giudizio di un tribunale sarebbe stato un enorme successo), Ismail Hania ha dimostrato, ancora una volta, una scarsa attitudine alle logiche della politica, esponendosi con le sue dichiarazioni a facili critiche. Dichiarazioni che sembrano ancora più difficili da comprendere se osserviamo quanto Hamas abbia combattuto, e stia a tutt'ora combattendo, contro le forze estremiste di matrice qaedista presenti nella Striscia di Gaza. Ancora una volta Hamas dimostra di non riuscire a superare quell'ambiguità ideologica di fondo che ancora lo costringe a mantenere il piede in due scarpe.
La posizione di Abu Mazen non è certamente migliore. Di sicuro l'accordo con Hamas potrebbe portare nuovo vigore anche alla sua immagine sul piano interno al partito. La riconciliazione con Hamas sancisce la sconfitta di Muhammad Dahlan e di quella frangia di Fatah decisamente troppo vicina agli interessi israeliani. Non è un caso che gli uomini vicini a Dahlan abbiano preferito in questi giorni la via dell'esilio sperando così di salvarsi da eventuali ripercussioni.
Questo senza voler considerare infine, l'atteggiamento che Israele manterrà nei confronti di un eventuale nuovo governo di unità nazionale. Il premier Netanyahu ha già affermato che Fatah deve scegliere fra Israele ed Hamas. Un atteggiamento prevedibile, quasi scontato. Il governo israeliano vuole evitare che le due fazioni politiche ritrovino quell'unità nazionale che potrebbe, almeno sul piano ideale, rilanciare il processo di pace. Con Hamas e Fatah nuovamente uniti, con un nuovo governo legittimato dal voto popolare e sull'onda delle recenti proteste nel mondo arabo, la politica palestinese potrebbe realmente mettere in difficoltà il governo israeliano.
PROSPETTIVE – Tuttavia le incognite restano ancora troppe per stilare anche solo un bilancio preventivo dell'accordo del Cairo. Ancora non si conoscono i reali contenuti del documento di riconciliazione e non sappiamo se alcune delle questioni più spinose, vedi la gestione delle forze di sicurezza, siano state risolte o meno. Anche in quel caso però, ossia nel caso che Hamas e Fatah abbiano realmente trovato un'intesa finanche sulle differenze più profonde che da quattro anni li dividono, le incertezze resterebbero ancora molte. Saranno indette elezioni? Ed in quanto tempo? Certo Abu Mazen, il quale ha già prorogato incostituzionalmente il suo mandato presidenziale, avrebbe avuto difficoltà a gestire un rinvio anche delle elezioni legislative considerando che proprio quest'anno scadeva il mandato elettorale conquistato da Hamas nel 2006. E le frange interne ostili al presidente palestinese si sono realmente dissolte? Di quanto potere politico dispone realmente Abu Mazen per dare realmente vita all'accordo e far sì che non rimanga solo su carta?
Ma nonostante i dubbi, le critiche, le incertezze, quello che ci troviamo a commentare oggi è comunque un primo passo in direzione di un cambiamento. Cambiamento che certo avviene più per paura, per timore che le proprie debolezze diventino tanto manifeste da non poter più essere nascoste, ma che ha comunque luogo. Così come le rivolte arabe non possono cambiare in pochi mesi strutture di potere in vigore da decenni, così la notizia di un giorno non può cancellare quattro anni di violenza e durissima lotta. Per ora, Hamas e Fatah resteranno ancora distanti su molti punti, ma lo nasconderanno all'opinione pubblica nel tentativo di impedire che quest'ultima si rivolti alla ricerca di un cambiamento reale, profondo e radicale che non si limiti a manovre di facciata.
Marco Di Donato