Si è parlato molto in questo periodo, caratterizzato da molteplici disordini interni nei Paesi arabi, di un possibile modello turco come futura base per una rinascita democratica, supportata dall’Occidente. La Turchia rappresenta un modello molto vicino agli standard occidentali ed ha sviluppato negli ultimi anni, guidati dal Partito Giustizia e Sviluppo (AKP), una forte crescita economica soprattutto con gli attori regionali. Il 12 giugno, la Turchia torna alle urne: facciamo insieme il punto della situazione
UN RUOLO SEMPRE PIU' RILEVANTE – La Turchia dal 2002 ha avuto una crescita impressionante in molti settori dell’economia. I fattori che ne hanno determinato questo sviluppo sono principalmente due: la rinnovata politica di liberalizzazioni che ha permesso a molte compagnie private di entrare in alcuni rilevanti segmenti del mercato turco, come il settore energetico e delle infrastrutture; una nuova strategia volta al coinvolgimento di tutti i Paesi direttamente coinvolti con la politica turca (Siria, Iraq, Giordania, Iran, Armenia) con il fine di realizzare una macro-area di libero scambio, coadiuvata da una politica di abolizione dei visti. Proprio quest’ultimo fattore ha determinato nel corso degli ultimi anni una crescita del ruolo regionale della Turchia, generalmente considerata in passato come succube della politica europea e americana.
MEDIATORI – Con l’avvento dell’AKP, il Paese ha cambiato progressivamente i propri orizzonti strategici, puntando maggiormente a una collaborazione multilaterale, svincolandosi da quella politica “calata dall’alto” e dettata principalmente dagli storici alleati. La politica dell’AKP perciò ha dato nuovo vigore al ruolo della Turchia, considerando come interpreti al meglio quel ruolo d’interlocutore privilegiato tra Occidente e gli attori del mondo arabo. Le recenti crisi in Libia e Siria hanno fornito un’ulteriore prova di questo nuovo ruolo di mediatore; nel caso siriano l’influenza turca è determinata dallo stretto rapporto che lega i due governi, sia sul piano politico sia su quello economico ma anche per quanto riguarda il contrasto al movimento curdo del PKK.
L'OPPOSIZIONE CRESCE – Le previsioni elettorali che si susseguono ormai da circa due mesi in Turchia confermano la vittoria del partito dell’AKP, attualmente al governo (nella foto sotto il premier Erdogan), con una percentuale che varia dal 45 al 50 per cento, mentre il diretto avversario, rappresentato dal CHP, dovrebbe attestarsi intorno al 28-30 per cento. Questi dati evidenziano una forte crescita in termini di voti per il CHP, che nelle elezioni del 2007 conquistò appena il 20 per cento degli elettori turchi: questo successo, seppur limitato, indica come si stia creando un fronte nazionale di opposizione al governo dell’AKP, appunto rappresentato dal CHP guidato da Kemal Kılıçdaroğlu. Inoltre, le ultime previsioni elettorali mostrano una caduta, in termini di consensi, del partito nazionalista MHP: dopo il recente scandalo a luci rosse che ha coinvolto alcuni alti dirigenti del partito, le previsioni indicano un calo netto delle preferenze, il che potrebbe impedire il superamento della soglia del 10 per cento, necessaria per l’accesso in Parlamento.
LE PROBLEMATICHE DA AFFRONTARE – La questione più rilevante, anche in campagna elettorale, riguarda gli sviluppi verso una piena democrazia nel Paese: dopo il recente comunicato con cui l’UE si mostra preoccupata per la libertà di stampa e per la censura arbitraria di Internet, il premier Erdogan ha lanciato un ennesimo attacco contro i social network, accusandoli di fomentare una campagna contro il suo partito durante la campagna elettorale. Questo però non rappresenta l’unico pericolo per la democrazia. Come noto, la Turchia vive da anni una guerra silenziosa combattuta contro il PKK, gruppo armato curdo di stanza sul confine turco-iracheno. Secondo l’ultimo rapporto del Consiglio di sicurezza turco (MGK), il rischio di un’escalation delle violenze durante la tornata elettorale è molto alto, a causa della rinnovata attività terroristica del gruppo curdo, che nei giorni scorsi ha lanciato diversi attacchi contro la polizia, soprattutto nelle provincie di Bingol, Sirnak e Hakkari.
MODELLO? CALMA… – La strada della Turchia verso un pieno riconoscimento internazionale perciò è condizionata da vari fattori interni ed è impreciso identificarla come modello di democrazia per i Paesi arabi, appunto per le sue croniche carenze in termini di democrazia e diritti civili. Huge Pope, in un recente report per l’organizzazione “Crisis Group”, sostiene come la Turchia non possa essere un modello per gli altri Paesi della regione, poiché ha avuto un percorso piuttosto moderato, non è stata coinvolta in guerre regionali, ed ha sviluppato un’economia diversificata, rispetto a rentier states quali Iraq o Iran. Inoltre, il ruolo dell’UE è stato di fondamentale importanza per incentivare alcune riforme sostanziali nell’ordinamento turco, culminate con l’ultimo referendum costituzionale nel settembre scorso. Di certo, se la Turchia vorrà accrescere il proprio ruolo, dovrà necessariamente far fronte alle diverse realtà che compongono il Paese: nazionalisti, minoranze etniche e religiose, integralismo islamico sono solo alcuni degli aspetti che ancora rendono il Paese un gigante dai piedi di argilla.
Luca Bellusci [email protected]