E' rimasto qualcosa delle promettenti rivoluzioni nei Paesi arabi che lasciavano presagire una svolta in senso democratico dopo decenni di regimi autoritari? In Marocco l'onda della protesta si sta alzando nuovamente per le riforme considerate troppo “tiepide”; in Siria Assad sta reprimendo il dissenso nel sangue. E in Libia la situazione è in un punto di stallo da ormai troppo tempo. Quali sono gli scenari possibili?
QUALE RIVOLUZIONE? – L'esito di una rivoluzione non è mai piacevole né ben definito. Tuttavia, alcuni dei paesi interessati dalla Primavera Araba stanno gestendo meglio di altri le imprevedibili conseguenze di questo fermento politico di dimensione regionale. In uno spettro di possibili risultati, ad una delle estremità troveremmo il Marocco: dopo un aspro dibattito e una serie di dimostrazioni pacifiche da parte del “movimento del 20 febbraio”, le modeste riforme costituzionali proposte dal re Mohammad hanno conquistato il favore del popolo in un referendum tenutosi proprio la scorsa settimana.
Tuttavia, la questione non si è chiusa così. Migliaia di persone si sono riversate nelle strade di Rabat, Casablanca e Tangeri, protestando contro delle riforme ritenute eccessivamente caute. “Il Marocco è stato spinto fino al punto di rottura. Ora bisogna chiedersi se queste modeste riforme continueranno o se serve ben altro”, afferma Susi Dennison, coautore di una ricerca su ciò che l'Unione Europea può fare per sostenere l'evoluzione democratica del Marocco, pubblicata dallo European Council on Foreign Relations (ECFR). Le stesse considerazioni valgono anche per la Tunisia e per l'Algeria.
TRIPOLI E DAMASCO – All'altra estremità dello spettro di possibili risultati troveremmo, invece, la Siria e la Libia: qui il processo politico ha fallito ed è ormai altamente probabile che la violenza degli ultimi mesi degeneri in una situazione post-rivoluzionaria simile al caos in cui è sprofondato l'Iraq del post-Saddam. A differenza di quanto avvenuto in Libia, in Siria i paesi occidentali e i loro alleati del Golfo non sono (ancora) intervenuti direttamente. Fattore che potrebbe rivelarsi positivo o negativo a seconda di come si evolverà la situazione a Tripoli e a Bengazi.
Mostrando una crescente frustrazione circa i continui attacchi contro i dimostranti in Siria, William Hague, Ministro degli Esteri inglese, ha (quasi) suggerito che la Gran Bretagna e gli Stati Uniti adottino un approccio più diretto ed ostile nei confronti del regime di Bashar al-Assad. “Il Regno Unito ha espresso chiaramente la propria opinione circa la necessità che il Presidente Assad attui una serie di riforme o si faccia da parte. Se il regime continuerà a seguire la strada della repressione, la pressione della comunità internazionale non potrà che aumentare”, ha avvertito Hague.
La Libia, invece, è attualmente bloccata in una impasse politica e militare, mentre la resistenza al potere di Gheddafi continua a stupire gli avversari occidentali. Un simile stallo non può durare all'infinito: alcuni esperti regionali cominciano a temere che l'intervento occidentale possa rivelarsi eccessivamente efficace, divenendo quello che è stato definito “un successo catastrofico”.
Questa eventualità si verificherebbe qualora risultasse impossibile raggiungere lo scopo dichiarato dell'ONU e della NATO, vale a dire quello di giungere ad un accordo negoziato tra il regime e i ribelli e assistere alla spontanea rinuncia al potere da parte di Gheddafi. Il raìs verrebbe ucciso o fuggirebbe, il governo imploderebbe, il consiglio provvisorio dei ribelli si frammenterebbe in varie correnti rivali e l'esercito e la polizia (non retribuiti da tempo), i mercenari rinnegati e le milizie tribali (in qualche caso armate dalla Francia) darebbero il via ad una guerra sulle risorse petrolifere del paese. “Non è certo uno scenario promettente”, sottolinea un osservatore. “Appena Gheddafi se ne andrà, dovremo ristabilire velocemente la legge e l'ordine, così come i servizi pubblici essenziali”. In altre parole, si dovrebbe evitare di commettere gli errori delle forze statunitensi in Iraq, che hanno invece tentato di governare il paese. Nella Libia del dopoguerra, sarebbe essenziale inviare una forza ONU per il mantenimento della pace, composta da truppe di paesi arabi e musulmani (non occidentali). Ad oggi, non è chiaro se questa eventualità sia stata studiata attentamente. “Non riteniamo che in Libia ci sia una grave emergenza umanitaria, ma prevediamo problemi per il post-Gheddafi”, ha affermato l'osservatore.
L'ENIGMA DELLA SFINGE – Per quanto riguarda l'Egitto, cuore pulsante di questa Primavera Araba, gli sviluppi post-rivoluzionari (o, piuttosto, la mancanza di tali sviluppi) destano preoccupazione. Nel corso di una conferenza tenutasi presso l'ECFR a Londra, Ahmed Naguib, attivista di piazza Tahrir, ha sottolineato che le forze che hanno spodestato Hosni Mubarak sono ormai sempre più frammentate, l'incompetente Consiglio delle Forze Armate sta cooptando lo slancio e gli ideali della gioventù egiziana e il paese rischia di perdere di vista l'obiettivo democratico per cui ha tanto lottato.
“Per ora, Il Cairo non dà un bello spettacolo”, ha detto Naguib. “La società civile è disfunzionale. Abbiamo seri problemi relativamente al processo decisionale e agli abusi dei diritti umani… L'economia dipende dai prestiti mentre noi avremmo bisogno di investimenti, non di prestiti, soprattutto per le piccole e medie imprese. Dovremmo migliorare le opportunità nel campo dell'istruzione e acquisire il know-how necessario per sviluppare dei media indipendenti. Abbiamo bisogno di consulenza nell'attività legislativa e giudiziaria, così come di meccanismi costituzionali più flessibili, come i referendum”.
Nick Witney, ex capo dell'Agenzia Europea per la Difesa, ha sottolineato l'inadeguatezza della risposta dell'Unione Europea ai bisogni dei paesi coinvolti dalla Primavera Araba. Invece di cogliere l'occasione per sostenere un momento storico per la democrazia, l'UE si è distinta per la sua “ignoranza e perché si è posta sulla difensiva”. Secondo Witney, l'Unione Europea ha anche sopravvalutato la minaccia posta da organizzazioni islamiche come i Fratelli Musulmani, i cui leader si sono invece rivelati molto pragmatici.
Parag Khanna dello ECFR e della New America Foundation ha invece sottolineato che gli Stati Uniti sono altrettanto colpevoli di aver sottovalutato un momento estremamente promettente. “La Primavera Araba ha portato alla luce i peggiori istinti dell'amministrazione Obama: molta retorica e discorsi illuminati ma totale inazione”, ha detto.
Simon Tisdall