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5 domande e 5 risposte sull’epidemia di ebola in Africa occidentale

L’Africa occidentale è traversata dalla più grave epidemia di ebola mai registrata. Come sta reagendo la comunità internazionale? 5 domande e 5 risposte per cercare di capire che cosa sta accadendo in una delle regioni più complesse e dinamiche del mondo.

Avvertenza: nelle intenzioni dell’articolo c’è il tentativo di fornire un quadro dell’emergenza, con attenzione alle ripercussioni socio-politiche ed economiche, nonché alle reazioni della comunità internazionale. I dati medici e scientifici sul virus derivano dai siti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del Ministero della Salute italiano. Non sono riportate pertanto né posizioni personali circa gli aspetti medico-biologici – per i quali l’Autore non ha le competenze necessarie, – né raccomandazioni medico-sanitarie.

1)      Che cos’è l’ebola?

L’ebola è un virus appartenente alla famiglia dei Filoviridae con un’alta aggressività. Si manifesta con rapidità, provocando febbri emorragiche e complicazioni al sistema nervoso centrale, dopo un periodo di incubazione tra i 2 e 21 giorni, lo stesso tempo nel quale può sopraggiungere il decesso – con un tasso di mortalità che oscilla tra il 50% e il 90% a seconda del ceppo. La trasmissione del virus avviene attraverso i fluidi corporei, con un notevole livello di infettività. L’origine del virus è probabilmente da collegarsi ai pipistrelli della frutta, dai quali il contagio si espande ad alcune forme di fauna selvatica (per esempio scimpanzé, gorilla e antilopi), per arrivare infine agli uomini, anche tramite il consumo alimentare delle carni di animali infetti. La scoperta dell’ebola è avvenuta piuttosto recentemente, nel 1976, nella Valle del fiume Ebola (ecco il nome) nella Repubblica democratica del Congo, sebbene la sua comparsa sia molto anteriore. È possibile, infatti, che in passato il virus abbia colpito altre zone dell’Africa centrale senza che l’opinione internazionale se ne accorgesse per la carenza di mezzi di comunicazione e di infrastrutture che collegassero la foresta tropicale agli insediamenti più modernizzati. Quanto alla cura, al momento non esistono né medicinali capaci di arrestare l’avanzata del virus, né vaccini, nonostante siano in corso studi che impiegano trasfusioni da pazienti sopravvissuti e altri ritrovati sperimentali – come quello somministrato di recente ai cittadini statunitensi infettati.

Mappa dei casi di ebola confermati, sospetti o sotto investigazione nell'epidemia in corso | Fonte: OMS
Mappa dei casi di ebola confermati, sospetti o sotto investigazione nell’epidemia in corso | Fonte: OMS

2)      Che cosa sta succedendo in Africa? C’è il rischio di una diffusione dell’epidemia fuori dal Continente?

Non è la prima volta che si manifesta un’epidemia accertata di ebola, basti pensare al già citato 1976 (oltre 300 morti tra l’allora Zaire e il Sudan), al 1995 (315 decessi nella RDC) o al 2000 (425 vittime in Uganda). Tuttavia, quella in corso ha qualcosa di diverso, soprattutto perché è strettamente connessa ad alcuni dei più importanti fenomeni che stanno attraversando la società dell’Africa occidentale (vd. oltre). Cerchiamo di definire le tappe dei fatti. La prima notizia di un’ampia diffusione del virus nella regione è in Guinea, nel marzo 2014. Dalle aree periferiche, l’ebola ha rapidamente raggiunto la capitale del Paese, Conakry, una città di quasi due milioni di residenti e con una densità di 6mila abitanti per chilometro quadrato. Nell’arco di poche settimane, il virus è stato individuato anche in Liberia, Nigeria e Sierra Leone, con un notevole incremento di contagi e decessi tra giugno e luglio. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il bilancio al 4 agosto era di 932 morti e 1.711 casi.
Al momento non si riscontrano episodi al di fuori dell’Africa e ogni situazione sospetta è risultata negativa alle analisi. Alcuni stranieri sono stati colpiti dal virus in seguito all’esposizione nei luoghi dell’epidemia: si tratta di due cittadini statunitensi (un medico e un’infermiera sottoposti a terapie sperimentali), un missionario spagnolo e un cittadino saudita, l’unica vittima accertata in un altro continente. Le Istituzioni nazionali e internazionali dichiarano che non sia da escludere qualche caso futuro anche in Europa e USA (dove l’allerta è ai massimi livelli su richiesta dell’OMS), ma allo stesso tempo marcano con vigore la linea che separa la precauzione scientifica dal panico della disinformazione. Il Ministero della Salute italiano comunica che «pur in presenza di un rischio remoto di importazione dell’infezione, [l’Italia] non ha collegamenti aerei diretti con i Paesi affetti» e che, riguardo ai flussi dei migranti provenienti via mare, «la durata dei viaggi fa sì che persone che si fossero eventualmente imbarcate mentre la malattia era in incubazione manifesterebbero i sintomi durante la navigazione e sarebbero, a prescindere dalla provenienza, valutati per lo stato sanitario prima dello sbarco». Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha confermato che le Autorità stiano svolgendo controlli sui migranti direttamente in mare: «Non c’è alcun pericolo in relazione al virus ebola e non ci devono essere forme di psicosi, bensì forme di allerta che tutti i Paesi, e l’Italia per prima, hanno attivato, a partire da porti, aeroporti e luoghi turistici». Il tempo di incubazione dell’ebola, infatti, è piuttosto breve, e al momento della manifestazione dei sintomi l’individuo non è in grado di spostarsi. Per di più, il contagio non avviene per via aerea, ma tramite contatto diretto.

3)      Quali sono le caratteristiche dell’epidemia in Africa occidentale?

L’Africa occidentale è una delle regioni più vivaci del mondo, con un tasso di crescita medio prossimo al 3%. La corrente epidemia di ebola, in questo senso, pone in risalto diverse tendenze, strettamente connesse alla peculiare sovrapposizione di modernità e tradizione del Continente. Innanzitutto è importante ricordare come il virus non fosse mai stato individuato in modo diffuso nell’Africa occidentale: le precedenti epidemie hanno quasi sempre interessato la RDC, l’Uganda, l’attuale Sudan del Sud e il Gabon. Ciò concorre a spiegare come mai i Paesi e le popolazioni oggi coinvolti abbiano reagito in modo lento e disorganizzato. Altra premessa fondamentale è che gli esperti hanno confermato l’assenza di mutazioni nel virus. A differenza del passato, però, gli africani si muovono molto di più e possono contare su nuove vie di comunicazione anche internazionali, in particolare nelle regioni occidentali del Continente, con un considerevole incremento dell’urbanizzazione. In sostanza: maggior numero e maggiore rapidità degli spostamenti e densità abitativa più elevata, fattori meno presenti nell’Africa centrale. Riprendendo quanto prima affermato circa l’assenza di episodi precedenti di ebola nelle zone attanagliate dall’epidemia del 2014, è probabile che molti contagi siano avvenuti tramite le visite a conoscenti infettati e attraverso usanze – in particolare funebri – contrastate dalle Autorità per motivi di pubblica sicurezza, ma mai abbandonate. A riguardo, molti operatori locali e stranieri del settore sanitario hanno segnalato che parte della popolazione sia restìa a collaborare con dottori e volontari, talvolta per la preferenza verso metodi di cura tradizionale, altre volte per voci circa la responsabilità del personale medico nella diffusione del virus. Tale riluttanza, già riscontrata in casi di contagi da HIV/AIDS e tubercolosi, si manifesta evitando i controlli e nascondendo in casa parenti e amici ammalati per il timore che essi siano condotti via, uccisi o abbandonati.

4)      Qual è stata la reazione in Africa e nella comunità internazionale?

Andamento dell'epidemia 2014 | Fonte: "Diseased Ebola 2014" by Leopoldo Martin R - Wikimedia Commons
Andamento dell’epidemia 2014 | Fonte: “Diseased Ebola 2014” by Leopoldo Martin R – Wikimedia Commons

La reazione all’epidemia da parte dei Paesi colpiti è stata disorganizzata e confusa, senza alcun coordinamento tra i vari Governi. La Liberia, la cui presidente Ellen Johnson Sirleaf ha affermato che «sono in pericolo l’esistenza, la sicurezza e il benessere della Repubblica», ha per esempio chiuso quasi tutte le frontiere, isolando le aree colpite dal virus. La Sierra Leone ha applicato lo stato d’emergenza e ha impiegato l’esercito a guardia dei centri di cura, mentre la Nigeria ha interrotto i voli dalle aree a rischio, controllando i passeggeri agli aeroporti, sebbene con test che gli esperti ritengono insufficienti a individuare con certezza un contagio da ebola alle prime fasi. L’OMS ha dichiarato l’epidemia una «emergenza di salute pubblica di livello internazionale», definizione che permette misure di sicurezza nei confronti degli Stati minacciati e dei viaggiatori in pericolo. Ancora oggetto di discussione è invece l’impiego su vasta scala di farmaci sperimentali sui pazienti. La Banca mondiale ha stanziato 200 milioni di dollari per le aree colpite dall’epidemia, destinandoli in primo luogo alla copertura economica per gli operatori sanitari, quindi per misure di prevenzione future. Poco invece è emerso dal summit tra Africa e USA appena concluso: «Dobbiamo lasciare che la scienza ci guidi», ha affermato Obama, il quale comunque si è detto scettico sulla possibilità di distribuire cure sperimentali. Pertanto, dal vertice di Washington niente di più che propositi – al momento piuttosto disattesi – di cooperazione tra gli attori africani.
Senza un’operazione corale internazionale, però, si va poco lontano. Gli esperti affermano che l’epidemia potrebbe procedere per alcuni mesi: come già anticipato poco sopra, la diffusione del virus nell’Africa occidentale è stata rapida perché ha interessato zone densamente abitate, quindi l’individuazione dei malati richiederà un’opera di costante coordinamento tra le Autorità e la popolazione, con dispendio di energie e risorse. Da parte sua, l’Unione Europea ha inviato una squadra di specialisti impegnati sul campo, così come gli Stati Uniti. Il tutto alla vigilia della stagione delle piogge, che potrebbe favorire la diffusione di altre emergenze mediche, tra le quali il colera e la malaria. La sola presenza di ONG e volontari non basta, nemmeno con l’aggiunta di contributi economici esterni: occorre un coinvolgimento attivo della comunità internazionale in senso politico, prima ancora che finanziario.

5)      Ci saranno ripercussioni politiche ed economiche sull’Africa occidentale?

Partiamo dalla situazione sul campo: i Paesi colpiti dall’epidemia sono totalmente bloccati. Intere zone sono sotto il controllo delle Forze Armate, che presidiano – in entrata e in uscita – ospedali, centri di cura, villaggi, quartieri urbani e frontiere. Le scuole e i maggiori centri di aggregazione sono chiusi. Molte persone non si stanno recando a lavoro o per timore, o per la quarantena imposta, o, comunque, perché le vie di comunicazione sono interrotte. In altre zone c’è il rischio che all’ebola possano aggiungersi altre malattie. Secondo le prime stime l’epidemia potrebbe incidere profondamente nel prossimo futuro sulla dinamica Africa occidentale, non soltanto in termini di crescita economica (con la perdita dell’1% del PIL e il calo di attrattività per gli investitori), quanto piuttosto sulle interconnessioni sempre più strette, sui viaggi, sulla rapida circolazione di persone e merci, causando un grave vulnus in una delle aree più importanti e più calde del mondo contemporaneo.

Beniamino Franceschini

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Beniamino Franceschini
Beniamino Franceschini

Classe 1986, vivo sulla Costa degli Etruschi, in Toscana. Laureato in Studi Internazionali all’Università di Pisa, sono docente di Geopolitica presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Pisa. Mi occupo come libero professionista di analisi politica (con focus sull’Africa subsahariana), formazione e consulenza aziendale. Sono vicepresidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del desk Africa.

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