Riprende la nostra rubrica dedicata a ripercorrere le tappe principali della politica estera italiana. In questo articolo tracciamo gli orientamenti che il nostro Paese assunse negli anni’80 sotto il Governo socialista di Bettino Craxi. Il leader del PSI fu fautore di una politica originale, autonoma dagli Stati Uniti e votata a conferire all’Italia una posizione di leadership nel Mediterraneo, attraverso il dialogo con tutti gli attori e una buona dose di pragmatismo e real-politik
Prima parte
ARAFAT COME MAZZINI – “[…] Io contesto l’uso della lotta armata all’OLP, non perchĂ© ritenga che non ne abbia diritto, ma perchĂ© ritengo che la lotta armata non porterĂ a nessuna soluzione. […]Ma non ne contesto la legittimitĂ , che è cosa diversa. […] Quando Giuseppe Mazzini nella solitudine, nel suo esilio, si macerava nell’ideale dell’Italia unita, nella disperazione di come affrontare il potere, lui, un uomo così nobile, così religioso, così idealista, concepiva e disegnava e progettava gli assassinii politici. Questa è la veritĂ della storia. E contestare a un movimento che voglia liberare il proprio Paese da un’occupazione straniera la legittimitĂ del ricorso alle armi, significa andare contro le leggi della storia. […] Si contesta quello che non è contestato dalla carta dei diritti dell’ONU: che un movimento nazionale che punti e che difenda una causa nazionale possa ricorrere alla lotta armata. […]”
Con queste parole l’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi arringava il Parlamento in occasione del voto di fiducia al suo stesso governo, il 6 novembre 1985, a seguito della cosiddetta crisi di Sigonella (foto sotto). Il voto di fiducia venne incassato e il governo restò in carica, legittimato dal Parlamento a perseguire la politica mediorientale che aveva intrapreso da qualche anno a quella parte. Ma qual era questa politica e cosa comportava per l’Italia? Cercando di andare per ordine, negli anni Ottanta si sono verificati vari episodi che hanno potuto testimoniare l’attitudine italiana nei confronti del Medio Oriente e dei diversi schieramenti che si erano venuti a creare intorno ad alcune delle piĂą scottanti questioni dell’area – che, per inciso, sono per la maggior parte le questioni che ancora attanagliano quella zona dopo trent’anni – : soprattutto, il riconoscimento della Palestina e la questione arabo-israeliana, la posizione regionale ed internazionale della Libia di Gheddafi, la crisi in Libano.
LA POLITICA ESTERA DEL PENTAPARTITO – Circa la situazione politica interna, gli anni Ottanta furono quelli caratterizzati dal succedersi di governi del cosiddetto “Pentapartito”, una coalizione formata dalla Democrazia Cristiana (DC), Partito Socialista Italiano (PSI), Partito Repubblicano Italiano (PRI), Partito Liberale Italiano (PLI) e Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI). Tale formazione, che ha dato vita a ben dieci governi nel decennio, era stata formata per tenere il Partito Comunista Italiano (PCI) fuori dall’esecutivo, ponendo dunque fine al cosiddetto “compromesso storico”, caratterizzato da una convergenza di interessi e dall’intento di governi di unitĂ nazionale, sotto la guida del democristiano Aldo Moro e dello storico leader dei comunisti italiani, Enrico Berlinguer. In tale cornice, l’Italia ebbe dei governi guidati da personaggi di spicco del panorama politico interno: soprattutto Giovanni Spadolini (tra il 1981 e il 1982) e Bettino Craxi (tra il 1983 e il 1987), con un intermezzo di Amintore Fanfani tra il 1982 e il 1983. Quella tra Spadolini e Craxi era una vera e propria competizione interna, che proprio in politica estera, e nella fattispecie in quella diretta verso il Medio Oriente, avrebbe fatto emergere le divergenze di vedute tra le due anime piĂą “estreme” del Pentapartito: appunto quella socialista e quella repubblicana.
Se la seconda si può sostanzialmente ricondurre ad un filo-atlantismo e filo-americanismo (da non dimenticare che, a livello internazionale, siamo ancora in anni della Guerra Fredda), che nel panorama mediorientale si sarebbe tinto di posizioni filo-israeliane, la posizione del PSI, cui la direzione di Craxi contribuì in maniera decisiva a dar vita, si dimostrò ben più complessa e, allo stesso tempo, proattiva e connotata da una forte volontà di autonomia. Nonostante Craxi, primo Presidente del Consiglio socialista della storia della Repubblica italiana, avesse mantenuto ferma e stabile la posizione italiana nei confronti degli Stati Uniti, consentendo l’installazione dei cosiddetti “euromissili” in funzione anti-sovietica in territorio italiano (a Comiso, in Sicilia), la politica estera sotto la sua guida fu molto più estesa e non si limitò al semplice posizionamento nel blocco occidentale. Erano ben altre le ambizioni di Craxi che, come è stato fatto notare da molti analisti e storici, sembra aver condotto la politica estera italiana alla stregua di un capo di governo presidenziale, piuttosto che parlamentare. Il leader del PSI aveva in mente un ruolo da protagonista per l’Italia all’interno del panorama regionale mediterraneo e, in quest’ottica, fu fautore del cosiddetto “eurosocialismo mediterraneo”, in sintonia con altri leader nazionali, primo tra tutti il francese Mitterrand. La posizione assunta sugli euromissili garantì dunque a Craxi di incassare la fiducia di Washington (dal momento che per la prima volta il governo non era guidato dalla DC e gli Stati Uniti avrebbero potuto nutrire delle riserve su un capo di governo proveniente da una tradizione politica socialista), ma al contempo il nuovo Primo Ministro italiano aveva in mente una politica più dinamica e svincolata rispetto alle rigide regole bipolari. Per far ciò, il Medio Oriente rappresentava uno dei terreni da battere con più forza, con lo scopo di portare l’Italia a giocare un ruolo di primo piano nella politica mediterranea.
LA CAUSA PALESTINESE – Nel perseguire questa nuova direttrice di politica estera, molto sbilanciata in favore della causa palestinese, rispetto allo Stato di Israele, Craxi ebbe una spalla in quello che sarebbe stato per un periodo il suo Ministro degli Esteri: Giulio Andreotti. Prima di tutti, per ordine di importanza simbolica e politica, vi è da menzionare la questione palestinese. Craxi arrivò a legittimare l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina, lo storico movimento guidato da Yasser Arafat), chiamando in causa un mix di ideali nazionalisti e di diritto internazionale. Quanto si spinse il governo italiano nella sua politica pro-palestinese e pro-araba? Abbastanza, se è vero che in piĂą di un’occasione esponenti di quell’esecutivo – Craxi e Andreotti in testa – incontrarono Arafat come se fosse un qualsiasi altro capo di Stato e ingaggiarono duri confronti verbali e politici con Israele. Le reazioni piĂą critiche a queste iniziative, da parte interna, vennero proprio da un alleato di governo quale Spadolini, che allora era Ministro della Difesa (peraltro lo stesso Spadolini, quando nel 1982 Arafat fu ospite in Italia e fu ricevuto dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini, aveva categoricamente rifiutato di vedere il leader palestinese, a testimonianza della spaccatura che esisteva nel fronte interno italiano), mentre sul fronte internazionale la posizione di Craxi e Andreotti lasciava gli Stati Uniti quanto meno scettici, ma attiravano le ire di Tel Aviv, che accusava Roma addirittura di filo-terrorismo.
Craxi si assunse una responsabilità abbastanza onerosa, con l’obiettivo di ridare vigore e prestigio alla diplomazia italiana. L’evento culminante di tale politica si verificò con la crisi di Sigonella, seguita alla faccenda del sequestro della nave italiana Achille Lauro. Questa, in crociera sulle coste del Mediterraneo, fu sequestrata da un commando di guerriglieri palestinesi facenti capo al Fronte per la Liberazione della Palestina (FLP), il 7 ottobre del 1985. Nell’occasione, il governo italiano riuscì a trattare con il commando e a far sì che rilasciassero gli ostaggi in cambio del loro trasferimento prima in Egitto e, dopo, in Tunisia, allora sede dell’OLP. Fu in questo frangente, durante il volo di trasferimento, che gli Stati Uniti inviarono degli aerei a intercettare il volo in cui vi erano i guerriglieri, oltre ad Abu Abbas, la mente del dirottamento, costringendolo ad atterrare nella base aerea di Sigonella e circondando il velivolo. Craxi ordinò ai militari italiani di circondare a loro volta gli statunitensi e negò al Presidente statunitense Reagan, che glielo chiese in prima persona, l’autorizzazione a prelevare gli uomini del commando, che sulla nave avevano ucciso un cittadino statunitense. Ciò avrebbe provocato una crisi diplomatica tra Washington e Roma, ma sta a testimonianza di quanto Craxi si ponesse come un difensore del diritto internazionale anche in questioni delicate e di sicurezza, adducendo come motivazione del rifiuto il fatto che il reato era stato commesso in territorio italiano e, pertanto, sarebbe stata la giustizia italiana ad occuparsene. E sarebbe stato proprio questo episodio a creare una rottura interna al fronte italiano e a portare al voto di fiducia del novembre del 1985, nella cui discussione parlamentare Craxi si pronunciò con le parole ricordate all’inizio di questo articolo, equiparando la guerriglia dell’OLP agli ideali mazziniani (nel 150° anno dell’unità d’Italia, l’argomento è quanto mai attuale).
Stefano Torelli