Miscela Strategica – La necessità di rivedere le politiche di partenariato NATO verso i Paesi del fronte meridionale è una questione ormai largamente condivisa in seno agli organi che orbitano intorno all’Alleanza Atlantica
LA POLITICA DI PARTENARIATO NATO AD OGGI – Se la proiezione della NATO oltre i confini dei 28 Stati membri rappresenta un asset per il mantenimento del controllo di aree critiche, è altresì vero che deve essere rilevata la difficoltà di gestione di partenariati sempre più estesi geograficamente ed eterogenei nella composizione. L’ultimo documento di policy ufficiale in materia elaborato dalla NATO risale alla primavera 2011, e si tratta dei cosiddetti ‘accordi di Berlino’, città che ospitò all’epoca la discussione fra i Ministri degli Esteri dei Paesi membri. L’obiettivo era quello di semplificare l’intero processo rendendolo più agile e adattabile alle future necessità strategiche. L’esacerbarsi della crisi in Ucraina ha spinto l’Alleanza a rivolgere un’attenzione più intensa verso l’area dell’est Europa e del Caucaso. Lo storico programma di partenariato con la Russia è stato sospeso – o, come sarebbe più appropriato dire, congelato – mentre si sono intensificate le relazioni con Kiev. L’Ucraina è entrata a far parte di un’ampia gamma di attività finanziate dalla NATO, che vanno dalla ricerca scientifica, alla cooperazione sul piano politico, fino all’attenzione sul piano sociale e della società civile. La percezione di una crescente ingerenza di Mosca nei Paesi dell’area ha fatto sì che la NATO ri-orientasse il suo baricentro verso la sua naturale propensione ad est. Ciò non toglie che l’Alleanza rimanga ufficialmente legata ai suoi quattro partenariati, i primi due verso est e gli altri con direttrice meridionale. Il Partnership for Peace Programme (PfP) e l’Euro-Atlantic Partnership Council (EACP) rafforzano la presenza dell’Alleanza principalmente nei Paesi a est dei suoi confini. Il Mediterranean Dialogue (MD) e la Instanbul Cooperation Initiative (ICI), invece, coprono l’area geografica a sud dei confini della NATO e, al momento, sono un formato nebuloso e poco sfruttato.
Fig.1 – Unità NATO in visita al porto tunisino di La Goulette
IL SUMMIT 2014 – L’ultimo Summit NATO, svoltosi in Galles lo scorso autunno, è stato quasi interamente focalizzato sulla gestione della questione ucraina. Nonostante molti addetti ai lavori sperassero che durante il Summit si sarebbe finalmente dato un adeguato spazio alla rivalutazione della policy sui partenariati, i lavori hanno dimostrato come anche questo tema sia stato affrontato soltanto come reazione ai fatti di Kiev. Il risultato è stata una dichiarazione finale che, dal punto di vista sostanziale, non rimescola le carte sul tavolo. Fermo restando che la sicurezza cooperativa è uno dei pilastri attorno ai quali continua a reggersi la politica strategica della NATO, l’intero sistema di partenariato dovrebbe essere rivisto alla luce dei prossimi obiettivi strategici. Il documento di Berlino riaffermava il principio di ‘cooperative security’, secondo il quale la promozione della sicurezza euro-atlantica deve essere avallata da un network il più ambio possibile fra la NATO, Paesi partner, relazioni bilaterali e relazioni con organizzazioni internazionali o locali di rilevanza strategica. Il Summit del Galles ha formalmente rilanciato due iniziative volte a intensificare la cooperazione in materia di sicurezza fra la NATO e i partners. Da un lato, si è ancora una volta ripreso il concetto di interoperabilità applicato alle iniziative di partenariato (Partnership Interoperability Initiative), dall’altro si è enfatizzata l’attività di supporto, mentoring e advisoring ai Paesi partner anche in un’ottica di allineamento delle capacità e degli assetti militari (Defence and related Security Capacity Building Initiative). Una marginale revisione nella forma, dunque, che non ha portato alcuna sostanziale innovazione.
Fig.2 – Esercitazione NATO in Repubblica Ceca
CRITICITÀ DEL PARTENARIATO VERSO SUD – Quella che rimane la priorità numero uno è lo sfruttamento delle piene potenzialità dei partenariati da parte della NATO, anche attraverso un chiarimento degli obiettivi strategici degli attori che ne fanno parte. Molti osservatori denotano una tendenza dell’Alleanza Atlantica ad oscillare alternativamente verso l’area strategica ad est o verso l’area strategica mediorientale. Gli anni successivi al 2001 sono stati caratterizzati da un forte orientamento verso l’Asia Centrale, con l’operazione in Afghanistan e l’intervento in Iraq. In virtù di queste direttrici operative, il sistema di partenariato si è sbilanciato fino a coinvolgere i Paesi della sponda sud Mediterraneo o del Golfo nelle missioni in corso, stabilendo dei precedenti rilevanti sia sul piano politico che del coordinamento della capacità militare. Oggi i Paesi che hanno preso parte in varie forme a queste attività continuano a mantenere i rapporti di partenariato stabiliti, ma non esiste una interazione efficace fra la NATO e gli stessi. Ulteriore elemento critico è la difficoltà nello stabilire un qualche ordine di priorità nei rapporti con questi Paesi. L’influenza reciproca non va oltre le attività congiunte di training e di standardizzazione delle loro capacità militari a quelle NATO. Da ciò derivano carenti intese politiche in un panorama che vede l’area mediorientale sempre più frammentata e soggetta alle ingerenze di attori regionali. La NATO, fatta eccezione per la lotta al terrorismo, non ha un programma strategico per quell’area. In tal senso, il partenariato verso sud dovrebbe rappresentare un elemento di punta nella strategia meridionale dell’Alleanza.
Emma Ferrero
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un Chicco in più
Per approfondire nel dettaglio funzione e composizione del Mediterranean Dialogue e della Instabul Cooperation Initiative si rimanda al sito ufficiale della NATO
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Foto: Jerry Gunner