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Tratta di esseri umani: un problema globale

Mentre l’Europa è alle prese con l’emergenza causata dai migranti in fuga dal Medio Oriente e dall’Africa, il traffico di esseri umani rimane un problema all’ordine del giorno. Qualche settimana fa le autorità malesi hanno trovato l’ennesima fossa comune al confine con la Thailandia. Ancora in troppi Paesi il problema dei migranti s’intreccia con quello della prevaricazione e dello sfruttamento a danno dei più deboli. È una caratteristica intrinseca dell’odierno sistema globale o semplicemente la storia continua a ripetersi?

PREMESSE: TRAFFICO DI ESSERI UMANI E SCHIAVITÙ – Il traffico di esseri umani è vecchio come il mondo, così come la schiavitù. Senza scomodare gli antichi greci e romani, ricordiamo che la tratta degli schiavi africani verso le Americhe fu una colonna portante dell’espansione del capitalismo globale. Lo stesso fenomeno era largamente diffuso da secoli in tutte le parti del mondo. Dalle fonti risulta chiaro che fino all’inizio del ventesimo secolo una larga parte della popolazione mondiale viveva in condizioni di schiavitù o simili. In Asia mercanti arabi, europei e cinesi disseminarono migliaia di migranti provenienti dalle sovrappopolate campagne cinesi e indiane, prima in Sud-est asiatico (a partire dal Cinquecento) per lavorare in piantagioni e miniere e poi in America (nell’Ottocento), come manodopera per la costruzione di grandi infrastrutture.
Tradizionalmente, dunque, il commercio di umani è stato legato allo sfruttamento della forza lavoro. Questo “sodalizio” venne interrotto nei Paesi occidentali con l’abolizione della schiavitù da parte della Francia nel 1794, del Regno Unito nel 1833 (in India nel 1843) e successivamente degli Stati Uniti nel 1863 (anche se l’importazione, ma non lo sfruttamento, di schiavi fu dichiarata illegale già nel 1808).
Il traffico di esseri umani verso le nazioni europee continua al giorno d’oggi nella forma che vediamo ogni mattina sui giornali: i migranti africani pagano a caro prezzo un viaggio della speranza per entrare illegalmente in Europa, o via mare o via terra, con l’auspicio di ottenere asilo politico e costruirsi una nuova vita.

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Fig. 1 – Migranti in arrivo a Lampedusa: il problema, però, non è solo italiano

COSA SUCCEDE IN ASIA? –  In Asia la situazione è in un certo senso più complessa perché:

  1. la schiavitù è un fenomeno molto più recente (in Corea fu di fatto abolita solo nel 1930);
  2. molti Paesi sono ex-colonie diventate indipendenti da poco più di mezzo secolo, in cui la maggioranza della popolazione vive (o viveva fino a pochi anni fa) in condizioni di povertà. Ciò implica che la linea di demarcazione tra sfruttamento del lavoro e condizioni di schiavitù sia poco definita;
  3. il traffico di esseri umani collegato alla prostituzione e ai lavori forzati nelle piantagioni rimane una costante in tutto il continente.

Oggi il fenomeno ha come principali vittime bengalesi e birmani Rogya (etnia di religione musulmana perseguitata dal Governo). Alla fine di agosto le autorità malesi hanno rinvenuto più di venti corpi ammucchiati in una fossa comune in mezzo alla foresta nella provincia di Perlis, nella parte settentrionale del paese al confine con la Thailandia.
La fossa si trovava nelle vicinanze di un vero e proprio campo di prigionia, dove si crede vengano tenuti i migranti nel corso del viaggio verso le piantagioni malesi e indonesiane o verso Singapore, dove vengono impiegati nel settore edilizio.
Nella stessa zona, a maggio, erano state identificate 139 fosse comuni collegate a circa 28 campi di prigionia, molto probabilmente gestiti da trafficanti di migranti. Altri campi sono stati trovati dall’altra parte del confine, in Thailandia. Il fenomeno è talmente vasto che si fatica a pensare che possa accadere senza il coinvolgimento delle autorità governative di questi Paesi, specialmente in Thailandia, che è una zona di passaggio obbligato per il trasferimento dei migranti verso Malesia e Indonesia.

UN FENOMENO GLOBALE – Secondo il rapporto sul traffico di esseri umani 2014 redatto dall’UNODC (United Nation Office for Drugs and Crime), solo nel biennio 2010-2012 circa quarantamila persone sono state vittime registrate del traffico umano. Tuttavia i report delle istituzioni internazionali non nascondono che i dati raccolti rappresentano probabilmente solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più vasto. Ciò risulta ancora più credibile se si considera che solo nel 2015 più di centomila migranti sono sbarcati sulle coste italiane, mentre  secondo la International Organization for Migration sono venticinquemila i naufraghi in Sud-est asiatico. Un altro elemento di disturbo è costituito dalla difficoltà di distinguere nelle statistiche tra migranti in generale e vittime di traffico di esseri umani, un confine piuttosto labile specialmente quando si tratta di flussi provenienti da Paesi in via di sviluppo e/o da zone di guerra. Secondo le stime più recenti, il 53% dei flussi illegali riguarda lo sfruttamento della prostituzione e il 40% quella del lavoro forzato, cresciuto più di dieci punti percentuali negli ultimi cinque anni – in maggioranza si tratta di donne e bambini. Il traffico coinvolge 124 Paesi con vittime di 155 differenti nazionalità, e i flussi si suddividono in più di 500 tratte regionali. L’Asia (India, Bangladesh e Asia dell’est) conta più del 50% delle vittime globali: circa due terzi di queste sono adulti che per l’80% vengono sfruttati come lavoratori.

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Fig. 2 – La Malesia è una delle principali destinazioni del traffico di esseri umani in Asia

CHI CI GUADAGNA? – Come mostra l’esempio della Libia, chi trae un guadagno da questo tipo di business sono organizzazioni criminali che hanno la base in Paesi in cui possono godere della protezione delle autorità locali. Il Governo thailandese ha dato il nulla osta all’arresto di 72 persone accusate di essere coinvolte nella tratta di migranti, e un generale dell’esercito è stato condannato. Tuttavia molti osservatori hanno interpretato questo gesto come una reazione al fatto che Bangkok è rimasta anche quest’anno nella lista nera dei Paesi coinvolti nel traffico di esseri umani pubblicata dal Governo statunitense. Nonostante gli sforzi internazionali per monitorare e supportare gli Stati coinvolti, rimane molto difficile capire dove stiano le responsabilità. Anche nei Paesi che vengono promossi, infatti, il numero di arresti rimane piuttosto limitato. Per esempio, nonostante sia una delle destinazioni in cui molti di questi migranti trovano lavoro a condizioni di semi-schiavitù, la Malesia è stata eliminata dalla lista dei Paesi a rischio, a seguito dell’introduzione di sanzioni più severe verso i trafficanti. Una decisione forse azzardata, visto che, secondo il gruppo Alliance to End Slavery & Trafficking, la Malesia sembra non aver dato concreta applicazione ad alcuna di queste leggi.

Valeria Giacomin

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Un chicco in più

Nel suo libro Capitalismo e Schiavitù (1944), Eric Williamson studia la storia della schiavitù dall’Africa e avanza un’idea piuttosto interessante. Inizialmente la schiavitù permise di finanziare la prima rivoluzione industriale in Inghilterra, e dunque l’espansione del capitalismo a livello globale. In seguito, però, lo sviluppo di sistemi industriali maturi avrebbe contribuito ad abolire la schiavitù attraverso l’assunzione degli ex-schiavi nelle fabbriche del Nord e il loro contestuale utilizzo come consumatori per la produzione di massa.

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Foto: UNHCR

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Valeria Giacomin
Valeria Giacomin

Laurea Triennale in Finanza presso l’università Bocconi nel 2009, Double Degree in International Management con la Fudan University di Shanghai tra il 2009 e 2011 e master di secondo livello in Economia del Sud Est Asiatico presso la SOAS di Londra nel 2012. Più di due anni in giro per l’Asia e gran voglia di avventura. Tra il 2010 e il 2012 ho lavorato in Vietnam come analista, a Milano come giornalista e a Città del Capo presso una compagnia e-commerce.
Le mie aree d’interesse sono il commercio internazionale, business development e dinamiche di globalizzazione nei paesi emergenti, in particolare nel settore delle commodities agricole.
Dal 2013 sono PhD Fellow in Danimarca presso la Copenhagen Business School. Sto scrivendo la mia tesi di dottorato sull’evoluzione del mercato dell’olio di palma in Malesia e Indonesia e più in generale seguo progetti di ricerca sul settore agribusiness in Sudest Asiatico.

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