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L’invincibile Hugo (I)

La nuova rielezione di Chávez apre la prospettiva che resti vent’anni alla presidenza del Venezuela, dal 1998 al 2019. Un periodo che avrà marcato profondamente la storia del paese andino e avuto anche importanti influenze sugli equilibri latinoamericani, nei quali il Venezuela bolivariano di Chávez ha influito moltissimo in questi anni, portando vere novità

 

UNA VITTORIA PIÙ CHIARA DEL PREVISTO – Le attese elezioni presidenziali venezuelane si sono concluse con una vittoria del presidente uscente Hugo Chávez più netta del previsto, anche se storicamente si tratta di un’affermazione meno ampia delle precedenti (1998, 2000 e 2006, cui va aggiunta la vittoria nel referendum derogatorio del 2004, che può essere assimilato a un’elezione presidenziale).Con questa vittoria, Chávez si assicura vent’anni di presidenza, dalla prima elezione nel 1998 al 2019, quando scadrà questo suo quarto mandato. Anche se il mistero rimane sul suo stato di salute: il cancro che l’ha colpito nel 2010, curato a Cuba, sembrerebbe essere sotto controllo, ma è impossibile essere sicuri che Chávez sopravviva per tutta la durata di questo nuovo mandato. Non è impossibile che muoia presidente, confermando ciò che molti esponenti dell’opposizione hanno sempre asserito: che Chávez non avrebbe mai lasciato il potere. La vittoria di Chávez è stata, come detto, più ampia di quanto si prevedesse: l’opposizione, unita nella Mesa de Unidad  Democrática (MUD)  attorno al giovane candidato Henrique Capriles (39 anni) ha ottenuto un risultato molto migliore rispetto al 2006, quando il candidato unico dell’opposizione fu l’allora governatore di Zulia Manuel Rosales (32% dei voti in quell’elezione). Capriles, emerso come candidato da un processo di primarie molto opportuno (una divisione delle opposizioni avrebbe consegnato una facile vittoria a Chávez), ha ottenuto il 44.25%, circa sei milioni e mezzo di voti, mentre Chávez il 55.13%, poco più di otto milioni di voti. L’unità dell’opposizione non è però stata sufficiente a sconfiggere la potente macchina del chavismo, che tra l’altra si è imposta in ben 22 dei 24 stati che compongono il paese, compreso lo stato di Miranda, governato fino a pochi mesi fa da Capriles. L’opposizione pensava d’essere vicina alla vittoria, ma Chávez si è dimostrato ancora una volta imbattibile, nonostante la malattia e la difficile situazione economica del paese che, nonostante il peso del petrolio (95% delle esportazioni) paga una gestione erratica, statalista e inefficiente da parte del governo di Chávez, che tra l’altro fa di tutto per scoraggiare gli investimenti esteri.

 

UN PAESE CHE RIMANE PROFONDAMENTE DIVISO – I dati dimostrano però che gli elettori appartenenti alle classi sociali più umili, circa l’80% della popolazione in un paese con grandissime diseguaglianze sociali, rimangono in buona parte attratti dalle politiche di Chávez, imperniate sulle Misiones, programmi di politica sociale redistributiva che, finanziate dai proventi petroliferi, hanno avuto reali effetti, contribuendo a migliorare gli indicatori sociali e a ridurre in certa misura le disuguaglianze. Le classi sociali meno abbienti rimangono quindi molto legate a Chávez, mentre le classi a reddito più elevato confermano il loro schieramento con l’opposizione. Ma il sistema politico venezuelano, radicalmente polarizzato sin dai tempi dell’entrata in politica dell’ex-militare (1998) e del crollo del sistema di partiti tradizionali (AD e COPEI) che aveva governato il paese prima d’allora, sembra comunque incapace di superare la profonda bipolarità, con chiarissima caratterizzazione socio –economica, che lo contraddistingue.

 

UNA PARTECIPAZIONE ELETTORALE IN CRESCITA – Da segnalare l’importante aumento della partecipazione elettorale, che all’80.56% colloca il paesi su livelli di partecipazione inauditi tra i paesi a simile livello di sviluppo e rari in America Latina: nel 2012 hanno votato 15 milioni di persone, contro 11.8 milioni del 2006 (74.7%). Ebbene, sembra che proprio Chávez riesca a captare il voto della maggioranza dei nuovi elettori, che sono anche il frutto delle imponenti campagne di censimento e identificazione portate avanti negli anni dall’amministrazione governativa chavista, che anziché aspettare che i cittadini non censiti (circa un 20% della popolazione dei quartieri più miseri) prendessero l’iniziativa di richiedere documenti, ha organizzato sistematiche campagne mobili in tali quartieri. Il progressivo aumento nel numero dei votanti è anche il risultato, legittimo, di quelle campagne: assieme ai funzionari dello stato civile, si muovono anche medici, infermieri e maestri, contribuendo a allargare lo spazio sociale venezuelano, una dimensione che era stata totalmente trascurata dai partiti tradizionali dell’epoca pre – Chávez e che rimane in buona parte inaccessibile ai movimenti politici d’opposizione, di connotazione tipicamente “borghese”. Il voto maggioritario dei meno abbienti, che sono di per sé maggioranza, compensa l’insoddisfazione di quelle forze ed elettori che si sono progressivamente allontanati da Chávez, il quale comunque sente da parte sua l’usura di quattordici anni al potere, esercitato perdi più in modo molto autoritario. Ma il sistema politico venezuelano rimane profondamente diviso e classista, su questo non c’è dubbio: se il Chávez attuale è il più debole di sempre, rimane comunque comodo vincitore in elezioni sufficientemente trasparenti.

 

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ELEZIONI CORRETTE, UN SISTEMA SBILANCIATO – Su questo punto bisogna fare chiarezza, a causa di tante accuse proferite in passato: il sistema elettorale venezuelano è valido, in linea con gli standards internazionali e per certi versi molto avanzato: le urne elettroniche usate nel paese ne fanno uno dei sistemi più avanzati tecnologicamente e pur non risultando del tutto impeccabile, le frodi e manipolazioni che l’opposizione ha denunciato per anni non sono di per sé possibili. Non esistono dubbi sul fatto che la giornata elettorale si svolga regolarmente, né che Chávez disponga d’una maggioranza fisiologica nel paese. Il sistema rimane però profondamente squilibrato in materia d’equità nell’accesso ai mezzi d’informazione (l’opposizione non ha accesso alla televisione pubblica, i media privati sono appannaggio dell’opposizione) e di uso a fini politici delle strutture amministrative. L’amministrazione venezuelana è completamente asservita al chavismo, e non esiste nel paese il concetto di “neutralità”: tutti i funzionari pubblici devono vestirsi di rosso nei mesi di campagna, e devono votare e far votare le loro famiglie per il partito al potere. Tali forme d’intimidazione non sono certo segni d’una democrazia matura, ma anche tenendo conto di queste gravi anomalie, Chávez è oggettivamente maggioritario nel paese, piaccia o no all’opposizione.

 

L’OPPOSIZIONE AVANZA, MA NON SFONDA – Sono dati preoccupanti per l’opposizione l’affermazione di Chávez su tutto il territorio nazionale o quasi, e il limitato aumento di consensi rispetto alle elezioni parlamentari del 2010, nella quali i partiti di Chávez e quelli dell’opposizione avevano in pratica “pareggiato” attorno ai cinque milioni e mezzo di voti (vedi http://stefanogatto.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=118%3Ala-elezioni-politiche-venezuelane&catid=37&lang=it), anche se uno sbilanciatissimo sistema elettorale aveva “regalato” al blocco governativo una maggioranza di seggi del tutto inadeguata alla ripartizione dei voti (98 a 65). E comunque poco importa, perché l’Asamblea Nacional governa per decreto, avendo concesso al presidente una delega permanente per poter farlo. Nell’espletamento del proprio potere, il chavismo risulta quindi una forzatura dei normali modi democratici, anche se non nel consenso, che è reale. Per tornare al raffronto tra i dati elettorali del 2010 e del 2012, si noterà come la candidatura unica di Capriles non abbia attirato che 1.3 milioni di voti in più rispetto alle elezioni parlamentari del 2010, mentre quella di Chávez quasi tre milioni in più: dei quattro milioni di elettori in più tra il 2012 e il 2010, tre quarti li ha presi Chávez, solo un quarto Capriles. Questo significa che la presenza di Chávez come candidato ha un’enorme valenza elettorale, che non necessariamente si manifesta in sua assenza, e che rimane quindi parecchio da fare all’opposizione per scalfire questa forte base elettorale.

 

UN CHÁVEZ DALLA SALUTE INCERTA – Il discorso cambierebbe sicuramente in caso di sparizione del presidente dalla vita politica per l’aggravarsi della sua malattia: in tutti questi anni, Chávez non ha mai indicato chiaramente un delfino. Il suo regime è troppo personalista per farlo. Tra l’altro, la costituzione venezuelana prevede che in caso si morte o impedimento del presidente nel corso dei primi quattro anni del suo mandato, sono necessarie nuove elezioni: il vice presidente completerebbe il mandato solo nel caso che l’impedimento avvenisse negli ultimi due anni. Nel corso delle frequenti assenze di Chávez dal paese durante la sua malattia, egli si è premunito di suddividere il potere, senza trasmetterlo al vice presidente nella sua integralità. E usando in abbondanza procedimenti di firma elettronica per evitare di delegare. Adesso, il vice presidente Elías Jaua sfiderà Henrique Capriles nelle elezioni per il posto di governatore di Miranda, in quello che sarà un test politico di prima grandezza per il leader dell’opposizione che, uscito rafforzato dalla tornata elettorale, anche grazie alla sua pronta accettazione dei risultati, sarebbe molto indebolito in caso di sconfitta nel proprio stato, riaprendo la contesa interna all’opposizione temporaneamente chiusa dalle primarie. Nel frattempo, Chávez ha nominato vice presidente e possibile successore il ministro degli esteri Nicholas Maduro, uno dei politici più strettamente legati alla sua linea ideologica. Maduro succederà a Chávez? È presto per dirlo. Anche se il chavismo senza Chávez rimane un’incognita.

 

(I. continua)

 

 

Stefano Gatto

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