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L’utilità delle armi chimiche

Miscela Strategica – Le armi chimiche sembrano essere un’arma ormai inadatta ai conflitti attuali, ma il conflitto siriano mostra un’immagine diversa. Andando oltre al contesto dettato dalla storia di questa categoria d’armamenti e dal regime di non-proliferazione e disarmo, gli agenti chimici dimostrano di avere ancora un’utilità militare

IL PASSATO DELLA GUERRA CHIMICA – La creazione del regime di proibizione delle armi chimiche cominciò già nel 1899 con la Dichiarazione dell’Aia. Limiti e lacune di questo primo passo furono mostrati durante la Prima Guerra Mondiale, quando la diffusione dell’industria chimica e i progressi nel settore permisero la produzione di larghe quantità di agenti chimici di utilità bellica. L’orrore e la revulsione causati da queste nuove armi portarono al passo successivo nella storia delle armi chimiche, ovverosia il Protocollo di Ginevra del 1925. L’interpretazione data dalla maggioranza degli Stati fu espressa dalle riserve che questi ultimi apposero al protocollo: si impegnarono a non essere i primi a ricorrere all’arma chimica, pur riservandosi il diritto di ricorrervi quale rappresaglia o in seguito ad un precedente impiego altrui. Nonostante gli enormi arsenali accumulati e il vantaggio che le parti avverse godevano sull’altra in diversi settori (la Germania possedeva ad esempio il monopolio sui gas nervini), durante la Seconda Guerra Mondiale non si registrò l’uso di armi chimiche a scopi bellici. L’investimento negli agenti chimici continuò per tutta la Guerra Fredda, spesso giustificato dalla volontà delle principali potenze di tutelarsi rispetto ad un possibile impiego della fazione opposta. Tuttavia, con il raggiungimento dell’indipendenza delle colonie e l’ulteriore diffusione dell’industria chimica, le armi chimiche cominciarono a diffondersi presso le nazioni del Terzo mondo, che trovarono in esse moltiplicatori di forza o anche, più semplicemente, la cosiddetta “bomba nucleare dell’uomo povero”. Emersero così nuovi proliferatori, come Egitto, Siria, le due Coree, la Libia e svariati altri. Quando il confronto bipolare si avviò al termine, le superpotenze e i loro partners tra i Paesi sviluppati riuscirono ad intraprendere seri negoziati per la conclusione di quella che sarebbe divenuta la Convenzione per la Proibizione delle Armi Chimiche del 1993. Vi fu una crescente pressione per la definitiva messa al bando di queste armi, derivante soprattutto dalle notizie del loro impiego nel conflitto tra Iraq ed Iran. Considerata la crescente polarizzazione dei rapporti fra Paesi sviluppati e non (si pensi al significato in tal senso della Guerra del Golfo), la percezione che gli agenti chimici possedessero un margine d’utilità maggiore per i Paesi in via di sviluppo che non per gli altri fu un’ulteriore ragione per raggiungere la definitiva proibizione di questi arsenali.

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TUTTO DISARMO E NON-PROLIFERAZIONE? – Il successo del regime di disarmo e non-proliferazione delle armi chimiche non è stato però assoluto. Se da un lato la stragrande maggioranza della comunità internazionale è entrata a far parte del regime (compresi i principali possessori di tali armi, vale a dire Stati Uniti e Russia), larga parte degli arsenali coperti dal trattato sono stati eliminati e i Paesi con le industrie chimiche più avanzate sono soggetti a regolari ispezioni, dall’altro un’area fondamentale come il Medio Oriente vede possessori di importanti arsenali (Egitto e Israele, ed in precedenza anche la Siria) tenersi al di fuori del regime sino a che altre questioni non sono risolte. A ciò si aggiunga che gli attentati della metropolitana di Tokyo del 1995 dimostrarono che un attore non-statale può fabbricare agenti chimici anche avanzati, come il sarin o il VX, e che Al Qaeda e Daesh hanno già condotto attacchi chimici, mentre il Governo siriano ha ripetutamente impiegato le stesse armi prima e dopo la distruzione del proprio arsenale a seguito dell’accordo del 2013 e all’ingresso della Siria nell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche. La ragione di tali avvenimenti è in parte dovuta all’accresciuta disponibilità di materiali, equipaggiamenti e competenze necessari per la fabbricazione di armi chimiche, che erode gli ostacoli alla proliferazione prima esistenti. Tuttavia l’interesse verso queste armi non esisterebbe se gli attori coinvolti non percepissero una qualche utilità nel loro possesso e uso.

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””] I NUMERI

  • 192 gli Stati parte della Convenzione per la Proibizione delle Armi Chimiche
  • 4 i Paesi non inclusi nel regime di non-proliferazione: Corea del Nord, Egitto, Israele e Sud Sudan; i primi 3 sono molto probabilmente possessori di arsenali chimici
  • 8 gli Stati membri che hanno dichiarato armi chimiche: Albania, Corea del Sud, India, Iraq, Libia, Russia, Siria e Stati Uniti; di questi Iraq, Libia, Russia e Stati Uniti devono ancora completare la distruzione dei propri arsenali [/box]

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QUALE UTILITÀ? – L’utilità delle armi chimiche può riscontrarsi a più livelli. Sul piano strategico, gli attori statali possono dotarsi di un arsenale chimico al fine di creare un deterrente nei confronti di altri Paesi. La deterrenza può poi essere esercitata in diversi modi: in primo luogo gli arsenali chimici hanno svolto e svolgono un deterrente asimmetrico nei confronti delle armi nucleari. È il caso, ad esempio, degli arsenali egiziano e siriano (prima dello smantellamento di quest’ultimo), la cui esistenza è legata al possesso di armi nucleari da parte di Israele; nell’improbabile caso in cui Tel Aviv impiegasse le proprie testate nucleari contro l’Egitto, quest’ultimo potrebbe rispondere con una rappresaglia asimmetrica attraverso il proprio arsenale chimico. Un altro uso strategico è quello di deterrente intra-bellico: lo scopo in tal caso è scoraggiare l’impiego di agenti chimici da parte altrui rendendo concreta la possibilità di una rappresaglia simmetrica. Ma le armi chimiche possono trovare altre applicazioni, che dipenderanno dagli agenti a disposizione e relative caratteristiche, dall’avversario, così come da chi ne fa uso. Attori statali avranno maggiori possibilità di integrare efficacemente nelle proprie dottrine l’impiego della guerra chimica, ottenendo un grado di sofisticazione nell’uso e nello sfruttarne i vantaggi che aumenterà progressivamente con l’esperienza. È stato questo il caso dell’Iraq nel conflitto con l’Iran. L’impiego limitato e difensivo del 1982 non assomigliava minimamente alla combinazione di diversi agenti utilizzati nell’offensiva della primavera del 1988, sottolineando pur sempre le qualità di moltiplicatore di forza. Di fronte ad assalti di fanteria, uno dei più immediati impieghi è per l’area-denial, cioè negare l’accesso ad una data area; si possono perciò incanalare i movimenti nemici o rallentarli obbligando ad indossare ingombranti protezioni che diminuiscono l’efficienza. Gli iracheni, in inferiorità numerica rispetto agli iraniani, riuscirono a difendere certe posizioni (ad esempio presso Bassora) proprio grazie a questo impiego. Ma l’area-denial può risultare utile anche in altre circostanze. Possono essere colpite le retrovie nemiche per impedire o rallentare l’afflusso di rinforzi o bersagliare centri di comando e altre strutture chiave così che siano evacuate ed integre per il successivo uso da parte delle forze in avanzata. Come accennato, gli iracheni dimostrarono perizia nell’uso degli agenti chimici. Furono utilizzati diversi agenti nelle medesime operazioni, mirando a bersagli differenti: mentre la linea del fronte era colpita con gas nervini volatili, che si dissipavano più velocemente facilitando l’avanzata, le retrovie erano colpite con gas mostarda, più persistente e che impediva contrattacchi. In un altro caso, un settore largo 30 km e profondo 20 fu bombardato con il medesimo mix di agenti. Utilizzando gas nervini solo al centro del settore, dopo diverse ore i gas si dissiparono, creando un corridoio percorso da corazzati iracheni, mentre ai lati agenti più persistenti continuavano a contaminare l’area.

L’UTILITÀ OLTRE LA COMPLESSITÀ – Come detto, non tutti gli attori saranno preparati allo stesso modo per l’uso di armi chimiche, né saranno in grado di procurare agenti della qualità tipica di un programma statale consolidato. Ma operazioni complesse come quelle descritte possono andare oltre le reali necessità. L’uso che ne è stato fatto contro i Curdi in Iraq o, più recentemente, in Siria sia dai lealisti che dagli insorti, mostra che piani d’impiego elaborati non sono particolarmente necessari contro avversari impreparati. In assenza di adeguate protezioni, cosa estremamente comune fra gruppi di insorti, agenti più facilmente ottenibili quali i vescicanti (che generalmente causano un numero relativamente limitato di morti) sono in grado di conseguire gli effetti voluti, e rimangono perciò desiderabili nonostante siano meno efficaci dei nervini (contraddistinti da una letalità maggiore, ma più difficili da produrre). Dopo i fatti di Ghouta dell’agosto 2013 e la mobilitazione della comunità internazionale, il regime siriano fu costretto a rinunciare al proprio arsenale chimico. In seguito sono tuttavia stati registrati nuovi casi d’uso di armi chimiche da parte lealista, con l’impiego del cloro, un agente facile da reperire in quanto ampiamente usato in attività industriali legittime, ma che non garantisce buone prestazioni secondo gli standard moderni. Più recentemente gli Stati Uniti hanno catturato Sleiman Daoud al-Afari, l’uomo ritenuto a capo del programma di ricerca e sviluppo delle armi chimiche dello Stato Islamico. Gli sforzi di quest’ultimo sono scaturiti in scarsi progressi, essendo riuscito a produrre cloro e gas mostarda in piccole quantità. L’uso che ne è stato fatto, per quanto non sia scaturito in perdite ingenti, ha dimostrato come l’utilizzo rudimentale di tali armi possa comunque risultare utile per far leva sui fattori psicologici, seminare il caos e colpire il morale di un nemico impreparato a rispondere efficacemente.

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LE RIPERCUSSIONI – L’utilizzo di armi chimiche nel conflitto siriano rischia di danneggiare seriamente il regime di disarmo e non-proliferazione. La lezione che può essere tratta è che una varietà di attori possono beneficiare anche da agenti che non sono sofisticati quanto quelli di un programma di vasta scala. In aggiunta, il fatto che il regime abbia potuto utilizzare le proprie armi e restare impunito può suggerire ad altri attori statali che sia ancora possibile trarre un vantaggio dall’impiego di tali armi e non patire le conseguenze paventate dal diritto internazionale e dalla comunità internazionale. Perciò attori interessati a quello che gli agenti chimici possono offrire possono ora trovare un incentivo alla proliferazione, eliminando i progressi di disarmo raggiunti sinora. Ciò non significa che la proliferazione sarà inevitabile, specie in alcune regioni: è inverosimile che a fronte di potenziali nemici armati di tali armi i Paesi occidentali riconsiderino le proprie scelte passate. Come dimostrò la Guerra del Golfo del 1991, uno Stato armato di agenti chimici può essere indotto a non usare il proprio arsenale più dalla credibilità delle possibili ripercussioni delle sue azioni, qualunque sia il mezzo usato per realizzarle, che non dalla minaccia di una rappresaglia del medesimo genere.

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LE VARIABILI – Il fatto che le armi chimiche continuino ad avere un’utilità non significa che tutti gli attori cercheranno di possederle. Esistono delle variabili che influiscono sulla dinamica di proliferazione.

[toggle title=”Quale la minaccia attesa?” state=”close”]Il tipo di avversario contro il quale le armi chimiche sono pensate inciderà sulla decisione di procurarsele o meno. Avversari preparati, come possono essere gli Stati Uniti, devono essere fronteggiati con agenti complessi se il risultato desiderato va oltre la riduzione dell’efficienza delle manovre e perdite ridotte. L’uso dimostrato dall’Iraq richiede anni di preparazione e test sul campo, e di fronte a un tale sforzo un Paese potrebbe decidere di non intraprendere il processo di proliferazione. Se al contrario ci si aspettasse di impiegare agenti chimici contro nemici impreparati, gli agenti da procurare porrebbero meno difficoltà e i vantaggi derivanti dall’impiego sarebbero più immediati. [/toggle]

[toggle title=”La sorte del regime siriano” state=”close”]Il destino del regime siriano potrà influenzare i calcoli effettuati da altre leadership circa l’opportunità di ricorrere alle armi chimiche. Se in futuro alti dirigenti del regime, e potenzialmente lo stesso Assad, venissero incriminati per crimini di guerra legati all’impiego di armi chimiche e condannati per questo, allora l’attratività di queste armi si ridurrebbe. Ma al momento attuale si osservano incongruenze nella risposta all’uso di tali armi. Se da un lato attori non-statali come l’ISIS hanno subito pronte ripercussioni in seguito all’impiego di agenti chimici, il regime non ha sinora patito reali conseguenze, persino per gli usi susseguenti l’accesso della Siria all’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche. [/toggle]

[toggle title=”Accesso a tecnologia e precursori” state=”close”]La fabbricazione dei più semplici agenti chimici utilizzabili come armi è già stata dimostrata facilmente accessibili, sia da attori statali che non-statali. Cloro, gas mostarda o acido cianidrico sono tutti di facile ottenimento. Qualora il progresso tecnologico permettesse di sfruttare nuovi processi di produzione più semplici anche per altri agenti, particolarmente i nervini, allora gli agenti più letali diverrebbero ottenibili da molti più attori.[/toggle]

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[one_half][box type=”warning” align=”” class=”” width=””]RISCHI

  • Ritorno a un maggior uso della guerra chimica
  • Sviluppo di nuovi agenti o uso di agenti già conosciuti, ma scartati dalle autorità militari e che tuttavia potrebbero essere di utilità per attori non-statali
  • Fallimento dell’attuale regime di disarmo e non-proliferazione

[/box][/one_half]

[one_half_last][box type=”note” align=”” class=”” width=””]VARIABILI

  • Accessibilità tecnologica e dei precursori
  • Tipologia di minacce percepite dagli attori
  • Risposta della comunità internazionale all’uso in Siria
  • Tenuta del regime di non-proliferazione e disarmo

[/box] [/one_half_last]

Matteo Zerini

Foto: Defence Images

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Matteo Zerini
Matteo Zerini

Laureato magistrale in Relazioni Internazionali presso la Statale di Milano, frequento ora il master Science & Security presso il King’s College di Londra. Mi interesso soprattutto di quanto avviene in Europa orientale, Russia in particolare, e di disarmo e proliferazione, specie delle armi di distruzione di massa.

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