Numerosi studi hanno ampiamente dimostrato che una maggiore partecipazione femminile migliori le condizioni economiche, sociali e culturali delle donne e dell’intera società africana. Porre fine alle discriminazioni di genere non è solo un’esigenza legata al rispetto dei diritti umani ma anche una necessità per il benessere delle generazioni future
DONNE PER UNA PACE SOSTENIBILE — Lo scorso 25 ottobre, il Consiglio di Sicurezza (CdS) dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha tenuto il suo annuale incontro sul tema “Donne, pace e sicurezza” con un focus sulle politiche da implementare a favore delle donne. Il CdS ha ribadito che questo obiettivo era stato già previsto dalla risoluzione del CdS n.1325 del 2000, dalla Campagna ONU del Millennio “NO EXCUSE 2015” e dai “17 obiettivi del Millennio” del settembre 2015 e ha nuovamente invitato i Governi dei Paesi membri a incrementare misure concrete per l’eliminazione di disparità e violenze di genere.
Fig. 1 – I vertici della FAO hanno riscontrato uno stretto legame tra donne e sicurezza alimentare: negli ultimi decenni, soprattutto nelle aree rurali, si è verificata una “femminilizzazione dell’agricoltura”. Le donne che si occupano della produzione e trasformazione degli alimenti sono la maggioranza, sono loro a garantire il fabbisogno alimentare familiare
Nonostante alcuni passi siano stati fatti, il cammino per eliminare il gender gap è ancora lungo e tortuoso. Studi sul tema dimostrano che incrementando la partecipazione femminile nelle principali attività istituzionali, politiche, sociali, culturali ed economiche nazionali e internazionali si ottengano numerosi vantaggi a livello globale ma alcuni Paesi sono ancora reticenti. Quando le donne sono incluse nei processi di pace c’è una maggiore possibilità, che oscilla dal 20% al 35%, che gli accordi durino dai 2 ai 15 anni in più; motivo per cui il rispetto della parità di genere e una maggiore inclusione delle donne garantiscono la pace, la democrazia e lo sviluppo. Includere le donne nelle azioni umanitarie porta, inoltre, a delle risposte più efficienti, poiché, soprattutto nelle aree afflitte da crisi o catastrofi naturali, esse assumono spesso dei ruoli di leadership all’interno delle loro comunità, diventando un motore trainante che infonde speranza e fiducia. È il caso del conflitto in atto in Darfur, dove la partecipazione delle donne è risultata fondamentale per il contenimento della crisi nella regione Jebel Marra, nel campo profughi di Tawilla una piccola città al nord della capitale (dati OCHA in Sudan).
LE MISURE AFRICANE PER COMBATTERE LA VIOLENZA — Le donne costituiscono solo il 3% delle forze di peacekeeping ONU e, nelle aree maggiormente coinvolte dai conflitti, in Parlamento sono rappresentate in percentuale minore rispetto alla media internazionale (4% su 22.7%). La Convenzione sull’Eliminazione di Ogni Forma di Discriminazione contro le Donne, adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU del 1979, conosciuta come la “Carta dei diritti” delle donne, descrive in cosa consistono le discriminazioni e invita i Paesi membri a prevenire quanto a ridurre il fenomeno al fine di integrare la popolazione femminile, generalmente esclusa dalla scarsità di norme in materia. In particolar modo, la violenza resta il maggiore ostacolo per l’emancipazione femminile, oltre che una barriera allo sviluppo del welfare dell’intera comunità. È stato, inoltre, ampiamente riconosciuto dalla comunità internazionale che l’eliminazione di ogni forma di violenza e discriminazione contro le donne — sia nella sfera pubblica sia privata, ivi compresi l’educazione primaria e secondaria, gli sfruttamenti sessuali, il traffico di donne, i matrimoni forzati e le mutilazioni genitali — sia urgente e necessaria (obiettivo numero 5 dei 17 obiettivi del Millennio “Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”).
Fig. 2 – Naomi Campbell si commuove durante il suo discorso al MARCH IN MARCH per porre fine alla violenza contro le donne
In Gambia, il progetto UN Trust Fund to End Violence against Women, supportato dal Governo, ha organizzato una serie di incontri rivolti alle donne capo di 58 comunità locali per creare una coscienza sociale sul tema delle mutilazioni genitali femminili. Il 64% di esse, oggi, si dichiara contraria a questa pratica. In Namibia un programma governativo rivolto soprattutto alle donne prevede l’uso della tecnologia per denunciare gli abusi e le discriminazione: la compagnia telefonica Orange IT Solutions ha creato una app gratuita per le utenti.
PIÙ DONNE IN ECONOMIA — E se la teoria economica del “trickle down” valesse anche per la parità di genere? Il “trickle down” è una teoria economica nata negli Stati Uniti nel 1980, secondo cui l’economia sarà più forte grazie al miglioramento delle condizioni dei membri più ricchi all’interno di un Paese. Le classi più benestanti riuscirebbero a stimolare la produttività degli individui meno abbienti. Nel caso delle donne, si tratterebbe di una diffusione di empowerment che dalle maggiori personalità politiche ed economiche di un Paese giungerebbe alle appartenenti ai ceti più umili della società, aumentando la loro partecipazione alla democrazia e allo sviluppo dell’intera società. Le donne rappresentano la metà dell’intera popolazione mondiale ed è evidente che meritino uguale accesso alla salute, all’educazione, all’economia, una parità salariale e che spetti loro maggiore potere decisionale in ambito politico. Una varietà di modelli economici e di studi empirici suggeriscono che la discriminazione di genere abbia esiti negativi nelle economie nazionali. Dati del World Economic Forum attestano che limitare l’accesso alle donne al mercato del lavoro prevede, infatti, dei costi: aree regionali come l’Est Asiatico e il Pacifico riportano perdite annali che oscillano tra i 42 e i 47 miliardi di dollari. Le ricerche fatte finora dimostrano ricadute negative anche nelle aree del Nord Africa e in Medio Oriente, dove le donne che lavorano guadagnano meno degli uomini: il gap stimato è pari a circa 10 mila dollari.
LE DONNE AFRICANE E IL “VETRO DI CRISTALLO” — In Africa il numero delle donne al vertice delle istituzioni politiche sfida prepotentemente quello delle colleghe nei paesi occidentali. Ellen Johnson Sirleaf incarna al momento il cambiamento in atto nell’intero continente africano. Primo Presidente donna della Liberia e dell’Africa subsahariana dal 2005, vincitrice del Premio Nobel per la Pace nel 2011 — insieme alla giornalista yemenita Tawakkol Karman e l’attivista liberiana Leymah Gbowee per la loro partecipazione attiva e non violenta nei processi di pace — Sirleaf è stata anche nominata a capo della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS).
Fig. 3 – Durante il discorso di accettazione del Nobel Sirleaf dichiarò «Non abbiate paura di denunciare l’ingiustizia, per quanto possiate essere in minoranza. Non abbiate paura di cercare la pace, anche se la vostra voce è in minoranza. Non abbiate paura di pretendere la pace »
Ameenah Gurib-Fakim, biologa progressista ambientalista, è la prima donna Presidente della Repubblica delle Mauritius. La sua politica a favore dell’ambiente, delle energie rinnovabili e sicurezza alimentare è nota in tutto il mondo. Grazie alla sua intraprendenza, il Paese ha anche ospitato il Women’s Forum 2016 sul tema del cambiamento climatico in Africa e nei piccoli Stati insulari, Mauritius comprese. Esempi simili non mancano: Joyce Banda – ex Presidente del Malawi – , Catherine Samba-Panza – ex Presidente della Repubblica Centrafricana e già sindaco di Bangui e Fadumo Dayib, la prima e unica donna a essersi proposta come Presidente in Somalia per le prossime elezioni.
Fig. 4 – Sempre più donne africane lavorano nell’ambito della scienza, della tecnologia e delle comunicazioni
Il Ruanda è il Paese con il numero più alto di donne Parlamentari al mondo (addirittura il 63,8% alla Camera bassa); la Namibia ha attuato radicali politiche per l’eguaglianza; il Kenya ha registrato negli ultimi anni una più alta partecipazione femminile alla vita politica; lo Zimbabwe ha approvato leggi costituzionali più incisive per la tutela delle spose bambine, oltre che inserire l’obbligo di una rappresentanza delle donne in Parlamento pari al 35%, proprio come Burkina Faso e Uganda. In Africa subsahariana, i fattori culturali, secondo cui le donne dovrebbero astenersi da qualsiasi posizione lavorativa di prestigio, è uno stereotipo che i Governi stanno cercando progressivamente di superare, come ha espresso il Commissario ECOWAS per le politiche sociali e di genere, Fatimata Dia Sow.
Ornella Ordituro
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Per approfondire il tema delle discriminazioni di genere è possibile consultare la pagina delle Nazioni Unite dedicata, la pagina del World Economic Forum dedicata al Gender Gap, e questo paper. [/box]
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