Analisi – Gli aumenti dei prezzi degli ultimi mesi costringeranno le Banche centrali, tra cui la BCE, a rivedere le proprie politiche monetarie e dunque ad aggravare il peso del debito pubblico di Stati come l’Italia? Oppure il fenomeno inflazionistico è temporaneo e non preoccupante?
IL TIMORE DELL’IPERINFLAZIONE
Il tasso di inflazione registrato nell’Eurozona in agosto è stato del 3%, in aumento rispetto al 2,2 a luglio (in Italia in particolare l’aumento dei prezzi è stato del 2,1%). Si tratta di incrementi significativi, sospinti soprattutto dagli altissimi aumenti mondiali dei prezzi di materie prime che si susseguono dalla primavera scorsa (con percentuali di incremento a due cifre rispetto all’anno scorso per, ad esempio, petrolio e alluminio o grano e caffè).
Sulla base di questi dati ci si interroga se siano necessarie azioni correttive da parte della Banca centrale europea, ossia un aumento dei tassi di interesse e un alleggerimento della politica monetaria espansiva, al fine di rendere più oneroso l’accesso al credito e quindi di limitare la spinta inflazionistica derivante dalla “facile” disponibilità di denaro. Analoghe domande sorgono negli Stati Uniti, dove comunque la Federal Reserve sembra per il momento intenzionata a lasciare inalterati i tassi di interesse e a continuare la politica espansiva di acquisto titoli.
In Europa sono cominciati già da un po’ i tentativi di pressione da parte dei “falchi” del rigore, che non vedono di buon occhio gli aiuti della BCE agli Stati indebitati del continente. Nella Germania, storicamente ultrasensibile ai rischi di iperinflazione, da mesi politici tanto della destra democristiana quanto della sinistra socialdemocratica hanno iniziato a gridare “al lupo”.
La questione non è puramente economica, ma anche politica, in quanto un’eventuale stretta della politica monetaria avrebbe conseguenze importanti sul costo del debito pubblico in molti Paesi europei, Italia in primis, soprattutto ora che le politiche di sostegno all’economia colpita dal coronavirus (Next Generation EU in testa) stanno portando l’indebitamento di alcuni Stati a livelli storici.
Fig.1 – Christine Lagarde, capo della BCE: a lei spetta l’ultima parola sulla politica monetaria dell’eurozona
CONTESTO E DINAMICHE INFLAZIONISTICHE
Ricordiamo che il mandato della BCE consiste nel mantenere la stabilità dei prezzi (evitando sia inflazione elevata che deflazione, nell’ottica di livelli di inflazione tendenzialmente prossimi al 2%): se l’inflazione dovesse attestarsi stabilmente sopra il 2%, Francoforte sarebbe probabilmente costretta a intervenire alzando i tassi di interesse e dunque rendendo più oneroso il ripagamento del debito pubblico da parte dei Paesi del Sud Europa, maggiormente indebitati.
È necessario tuttavia inquadrare i dati nel giusto contesto temporale e comprendere quali siano le dinamiche alla base dell’aumento dei prezzi.
Innanzitutto la crescita dell’inflazione degli ultimi mesi è alta rispetto ai corrispondenti periodi 2020, quando l’economia era ferma, ma assolutamente non esagerata in comparazione ai tempi pre-Covid. Il confronto con il 2019 rimette tutto in prospettiva. Infatti gli aumenti dei prezzi al consumo attuali sono determinati in parte dall’aumento sia della domanda di beni (“sospesa” durante la pandemia), sia dei costi per le imprese, che dopo i lockdown hanno faticato a rimettersi in linea con approvvigionamenti e produzioni (logica del “just in time”, dipendenza dalle forniture asiatiche, interdipendenza logistica, sono solo alcuni dei punti critici dell’organizzazione economica globale evidenziati dalla pandemia). Con il passare del tempo questi fenomeni dovrebbero attenuarsi e si suppone un ritorno alla normalità.
L’aumento dell’inflazione, inoltre, non è causato unicamente dalla pressione dal lato dei costi di impresa, bensì anche dalle aspettative sul futuro. È una realtà economica che inflazione corrente e inflazione attesa siano correlate, nel senso che un’aspettativa di aumento futuro dei prezzi può determinare crescita anticipata degli stessi (l’esempio tipico è quello della contrattazione salariale, che prevede futuri aumenti a protezione del potere d’acquisto). In questo senso il comportamento atteso da parte delle Banche centrali può influenzare in modo considerevole l’andamento dell’inflazione, nella caratteristica spirale della profezia che si autoavvera.
Fig. 2 – La sede della BCE a Francoforte
UN’IMPENNATA PROBABILMENTE TEMPORANEA
Certo, l’economia non è una scienza “dura” (nonostante alcune scuole di pensiero affermino il contrario) e previsioni esatte sul futuro non sono possibili. Tuttavia al momento è ragionevole pensare che la spinta inflazionistica rallenterà nei prossimi mesi, per il motivo che essa è in qualche modo contingente, come spiegato sopra. Un’eventuale “stabilità” inflazionistica sarebbe accertabile soltanto nel medio-lungo termine, dunque non ora. Gran parte degli economisti ritiene che l’impennata dei prezzi sia solo temporanea e in ogni caso sia prematuro al momento ipotizzare rischi da inflazione eccessiva. Laddove al contrario la ripresa post-pandemica dell’intera economia europea potrebbe essere seriamente compromessa da strette monetarie avventate.
Anche la sensibilità politica nel suo complesso è decisamente mutata rispetto al periodo pre-Covid e in questo momento la Banca centrale europea (sulla stessa lunghezza d’onda di quella americana) è decisamente più preoccupata di stringere troppo prematuramente i cordoni della borsa, che non del contrario. Nessuno vuole ripetere gli errori fatti dopo la crisi del 2007-2008, quando la fine prematura delle operazioni di quantitative easing determinò una pesante e lunga recessione.
La decisione della BCE del 9 settembre di lasciare invariati i tassi di interesse e di continuare gli acquisti di titoli nell’ambito del programma PEPP va esattamente in questa direzione.
Paolo Pellegrini
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