Analisi – La proposta della Commissione europea di revisione del Patto di stabilitĂ e crescita dovrĂ essere modificata e approfondita, secondo le indicazioni del Consiglio europeo. Alcuni princìpi sembrano certi, ma i dettagli saranno fondamentali per capire la profonditĂ e l’impatto dei cambiamenti.
UN PERCORSO DI REVISIONE DA TERMINARE ENTRO L’ANNO
Il vertice europeo del 24 marzo, svoltosi a ridosso del Consiglio europeo del 23 marzo e allargato a tutti i 27 leader UE, oltre a sollecitare il completamento del Mercato unico dei capitali e dell’Unione bancaria ha confermato l’importanza della definizione di un rinnovato quadro di governance economica della zona euro “quale pilastro fondamentale dell’architettura dell’UEM, in quanto sostiene la stabilitĂ dell’euro e la resilienza dell’economia della zona euro”. Parole sante, verrebbe da dire, in un contesto di così difficile interpretazione, tra guerra, inflazione, ennesima crisi inaspettata del sistema bancario e comportamenti apparentemente irrazionali dei mercati finanziari.
Quello cui fa riferimento lo statement finale dell’Euro Summit è il nuovo Patto di stabilità e crescita che dovrebbe essere approvato entro la fine dell’anno. Come sappiamo la sospensione del Patto, decisa due anni fa per contrastare la crisi economica causata dalla pandemia e prorogata poi a causa delle incertezze economiche dovute a guerra in Ucraina e inflazione, ha costituito anche l’inizio di un percorso di revisione delle regole di governance economica della zona euro.
A che punto siamo in questo percorso? La strada è ancora lunga, nel senso che la Commissione dovrà lavorare sui dettagli della proposta elaborata nel mese di novembre 2022 per cercare di raggiungere un consenso finale con il Consiglio, che rappresenterà la proposta legislativa vera e propria da sottoporre al Consiglio stesso e al Parlamento europeo.
Fig. 1 – La Presidente della Commissione Ursula von der Leyen
PRINCIPI GENERALI E DETTAGLI
Sebbene i princìpi generali della proposta di riforma siano ormai acquisiti, la discussione si concentrerà nelle prossime settimane sulle concrete modalità della loro applicazione. Il che non è poco.
In sostanza tutti sembrano essere d’accordo nel mantenere invariati i famosi valori di riferimento del Trattato di Maastricht, ossia rapporto deficit/PIL al 3% e rapporto debito pubblico/PIL al 60%, passando però a un orizzonte pluriennale e specifico per ciascun Paese per quanto riguarda il raggiungimento o il mantenimento dei parametri. Questi i concetti generali proposti dalla Commissione, tesi a evitare automatismi eccessivi (che peraltro non hanno mai portato in precedenza all’applicazione delle sanzioni previste) e rigidità che si sono mostrate nel passato difficili se non impossibili da gestire, incardinando i controlli futuri su due princìpi: un orizzonte appunto pluriennale e non più annuale nella valutazione della sostenibilità di bilancio degli Stati e la riduzione del debito secondo ritmi adeguati alle diverse condizioni economiche di ciascun Paese. Inoltre ogni nazione avrebbe margini di programmazione autonoma degli eventuali piani di rientro, nei limiti delle linee guida date dall’Europa, sulla falsariga del metodo applicato con i Piani nazionali di ripresa e resilienza di Next Generation EU.
Il Governo italiano sembra per ora soddisfatto dell’impostazione generale della riforma (peraltro elaborata dalla Direzione Generale della Commissione di cui è responsabile Paolo Gentiloni), perché lascia intravedere margini di manovra più ampi che nel passato. Ma sarà forse il caso di non dimenticare il detto per cui “il diavolo si nasconde nei dettagli”. Siamo infatti ancora a uno stadio preliminare e la riforma vera e propria andrà esaminata in profondità , appunto, perché è là che i vari Governi cercheranno di inserire le clausole che ciascuno vorrebbe imporre in base al proprio interesse nazionale o alla propria posizione ideologica.
Fig. 2 – Il Commissario all’Economia Paolo Gentiloni
PRO E CONTRO
Il dibattito sull’argomento è rintracciabile nei mezzi di informazione generalisti, anche se probabilmente non quanto meriterebbe, e spesso in maniera molto semplificata. Tenendo conto di analisi e ipotesi avanzate anche sulla stampa più specializzata, è possibile individuare alcuni elementi sicuramente positivi, ma anche criticità potenziali.
In generale è sicuramente positivo l’abbandono della prospettiva di breve periodo (spesso incoerente con la realtà dei cicli economici). Ugualmente è logico abbandonare la pretesa che una stessa ricetta economica possa essere ugualmente valida per tutti (laddove le economie dei vari Paesi sono strutturalmente diverse). Queste erano in effetti due tra le principali inconsistenze del Patto di stabilità originale e anche delle sue successive modificazioni.
D’altro canto, proprio nella flessibilità potrebbe celarsi un rischio, ossia quello di una discrezionalità troppo ampia o generica che potrebbe mutarsi in arbitrio. Criteri vaghi o indefiniti, ad esempio sulla sostenibilità del debito, rischiano di lasciare spazio tanto alla rilassatezza di bilancio quanto all’austerità immotivata.
In discussione è anche l’appropriatezza dell’orizzonte temporale: i quattro anni ipotizzati sono pochi o tanti perché i Paesi possano programmare politiche economiche efficaci? Difficile dirlo, ma se pensiamo ad esempio alle politiche in materia di transizione ecologica e digitale, l’orizzonte di lungo periodo va sicuramente oltre quattro anni.
Inoltre, come definire il quadro delle sanzioni? Nella proposta della Commissione dovrebbero essere inasprite, ma a che vale averle sulla carta se poi si rivelano inapplicabili, come oggi?
Infine, e non per ultimo, va attentamente calibrato il potere che sarà attribuito alla Commissione di definire il percorso di rientro dal debito pubblico (nell’arco temporale che sarà deciso, quattro, cinque, sette anni, ecc.) con il mantenimento dell’autonomia della politica economica in capo agli Stati membri. Un potere di co-decisione rischierebbe di essere illegittimo, stante la ripartizione delle competenze prevista nei Trattati in vigore, e accentuare pertanto il deficit democratico dell’UE, alimentando ulteriormente sfiducia e populismo. Anche e soprattutto se la riforma mantenesse, come previsto, regole differenti per i vari Paesi, a seconda dei loro livelli di debito.
Insomma, di carne al fuoco ce n’è parecchia e dovrà essere cucinata in tempi relativamente brevi. Il rischio è tanto quello di stravolgere le regole esistenti senza valutarne approfonditamente le conseguenze, quanto quello opposto di partorire un cambiamento incompiuto o inutile. Obbligatorio dunque monitorare attentamente le proposte che verranno elaborate dalla Commissione progressivamente e le decisioni che saranno prese nei prossimi Consigli.
Paolo Pellegrini
“Hearing with Paolo Gentiloni 🇮🇹 , candidate commissioner for economy 🇪🇺” by European Parliament is licensed under CC BY