Analisi – I primi anni di indipendenza per Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan sono stati segnati dalla presenza di molte minacce interne ed esterne, sia per la loro integritĂ sia per i loro regimi. Nonostante abbiano cercato di appoggiarsi alle strutture create da altri Paesi (Russia e Cina) le sfide non sono ancora finite e nel presente alla questione afghana è stata data la prioritĂ .
DAI CONFINI AL NUCLEARE, UN INIZIO NON FACILE
In tre decenni la sicurezza dei Paesi dell’Asia Centrale si è declinata in molti modi: terrorismo, energia nucleare, confini di Stato e conflitti etnici sono state le questioni piĂą importanti. Sin dall’inizio la questione etnica è stata percepita come la piĂą tangibile e pericolosa dalle nuove Ă©lites perchĂ© si mischiava alla demarcazione dei confini territoriali, considerata fondamentale per la sopravvivenza dei nuovi Stati e per il loro rafforzamento interno. Sparse per la regione infatti vivevano ancora nutrite minoranze russe. Fin dalla fine degli anni Ottanta molti membri di tali minoranze avevano giĂ iniziato a tornare in Russia, ma c’era sempre il timore che Mosca potesse intervenire con il pretesto di proteggere coloro che ancora risiedevano nei nuovi Stati per riguadagnare territori e posizioni strategiche perse con la caduta del regime sovietico. Chi era particolarmente preoccupato era il Kazakistan, vista la presenza di sacche di popolazione russa nelle cittĂ del nord. Nonostante la diminuzione della popolazione di origine russa e un accordo sui confini tra Nur-Sultan e Mosca nel 2005 il tema continua ancora oggi a creare tensioni tra i due Paesi, date le continue rivendicazioni dei nazionalisti russi come Vyacheslav Nikonov e il precedente della Crimea nel 2014. Â
Anche la Cina ha dovuto rivolvere le sue questioni con alcuni “Stans”. Kazakistan e Kirghizistan hanno firmato accordi bilaterali con Pechino per risolvere le dispute territoriali tra il 1996 e il 1999. Tali accordi servivano per stabilizzare le relazioni tra i firmatari e in generale in tutta la regione. Ma anche nel caso dell’accordo tra Cina e Kirghizistan ci sono stati degli strascichi: le proteste per la concessione di porzioni di territorio sono andate avanti per anni in Kirghizistan. Pur essendo stati nella maggior parte dei casi approvati circa vent’anni fa, in alcuni casi il processo di ratifica degli accordi ha impiegato lungo tempo e le revisioni sono continue. Lì dove la situazione appariva estremamente complicata, come nel caso dei confini tra Kirghizistan e Uzbekistan e Kirghizistan e Tagikistan, la soluzione è stata quella di formare delle exclavi. Ma neanche ciò è bastato ad accontentare i Governi, visto che la situazione continua a essere a dir poco esplosiva, soprattutto tra Dushanbe e Bishkek.
L’energia nucleare e le armi atomiche sono state l’altro grande tema per la sicurezza regionale. Alla caduta dell’URSS alcune testate nucleari si trovavano fuori dai confini russi. Ucraina e Kazakistan erano i principali Paesi nei quali erano collocate. Le politiche di denuclearizzazione divennero quasi da subito uno dei pilastri della politica estera del Governo kazako, tanto che tra il 1992 e il 2005 esso aderì ai trattati internazionali di non proliferazione e consegnò agli Stati Uniti e alla Russia l’uranio arricchito e i missili atomici. Anche l’Uzbekistan si fece campione della denuclearizzazione nella regione, al punto da firmare, come il Kazakistan, i trattati internazionali e diventare nel 1994 membro della IAEA. La soluzione che fu trovata fu la creazione di una nuclear free zone a livello regionale, la Central Asia Nuclear Weapon Free Zone (CANWFZ), il cui trattato è in vigore solo dal 2009. Il primo promotore di questa iniziativa fu la Mongolia, ma l’idea fu ripresa subito dall’Uzbekistan e poi dal Kazakistan. Entrambi volevano la stabilizzazione della sicurezza regionale, soprattutto dopo l’acquisizione da parte del Pakistan della bomba atomica a fine anni Novanta, ed entrambi volevano apparire agli occhi delle potenze vicine (Russia e Cina) e internazionali (Stati Uniti) come partner affidabili in questo settore per poter sviluppare relazioni economiche e politiche favorevoli.
Fig. 1 – Vladimir Putin insieme al Presidente kazako Tokayev nel novembre 2019
CSTO E SCO, RUSSIA E CINA MEGLIO DEGLI USA
Le strutture di sicurezza invece sono state segnate dalla membership degli Stati regionali a due Organizzazioni: la Shanghai Cooperation Organization (SCO) e l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), la prima promossa dalla Cina e la seconda dalla Russia. La CSTO fu fondata nel 2003 e secondo i piani russi doveva restituire peso politico a Mosca nella regione. La mossa russa fu quella di presentarsi come il provider della sicurezza regionale, tanto che, come notato  da Alexander Cooley, l’autore del libro Great Games and Local Rules, i firmatari del trattato avevano la possibilità di acquistare armi dalla Russia, ma alla lunga tale clausola non è stata rispettata a causa della debolezza del settore militare industriale. La SCO invece nacque nel 2001 dai negoziati sui confini nazionali tra Cina e Paesi ex sovietici e partendo dal consenso sviluppatosi intorno a tale tema ha allargato il proprio raggio di azione a tutte le principali sfide comuni ai Paesi membri. Una di esse era il narcotraffico, superato per importanza solo dall’estremismo religioso dopo l’11 settembre 2001. La SCO si è dimostrata più efficace e veloce della CSTO nel rispondere a queste nuove minacce. Anche gli USA tentarono di instaurare una collaborazione nell’ambito della sicurezza con i Paesi della regione, ma al di là della Partnership for Peace della NATO prima (fallita per una mancanza di coerenza dei suoi interventi) e dell’utilizzo poi di basi militari a fini logistici in Uzbekistan e Kirghizistan, la loro attività è stata molto limitata e senza successo. La SCO e la CSTO hanno invece creato delle agenzie specifiche per ogni tema che i loro membri si trovavano ad affrontare, portando gli Stati locali a considerarle i frameworks dove almeno discutere i temi della sicurezza regionale.
Ma l’azione della SCO è stata fin da subito più efficace della CSTO sia in termine di strutture che di obiettivi. Tra le strutture più importanti messe in piedi dalla SCO c’è sicuramente la Regional Anti-Terrorism Structure (RATS), un’agenzia per la condivisione delle informazioni raccolte dai servizi segreti dei Paesi membri relative all’antiterrorismo. Se la CSTO si è sviluppata principalmente sull’aspetto militare, nel settore antiterrorismo può contare sull’Anti-Terrorism Center (ATC) creato negli anni Novanta, ma a differenza della RATS fin dalla sua fondazione l’ATC è supervisionata dal Federal Security Service (FSB) russo. La SCO già dai primi anni ha fissato la lotta all’estremismo, al terrorismo e al separatismo come obiettivo politico e questo è sostanzialmente condiviso dai Paesi dell’Asia Centrale per due ragioni: può essere usato per fini interni, rafforza un’Organizzazione regionale senza che uno dei cinque Stans risulti più influente degli altri, in quello che è stato definito “regionalismo virtuale”. Pur mantenendo forti relazioni con la Russia, e non potrebbero fare altrimenti, i cinque Paesi regionali hanno quindi visto la possibilità nella SCO di affrontare i problemi regionali conservando una certa autonomia.
Fig. 2 – Un carro armato uzbeko impegnato in una delle recenti esercitazioni militari regionali promosse dalla Russia al confine tra Tagikistan e Afghanistan, agosto 2021
AFGHANISTAN, DI NUOVO
Attualmente la minaccia maggiore per la regione è nuovamente rappresentata dall’Afghanistan. Kabul fu un fattore determinante nella risoluzione della guerra civile in Tagikistan nel 1997, perché la presa del potere da parte dei talebani rischiava di ampliare la minaccia del terrorismo in tutta la regione, specialmente se considerato che il conflitto era iniziato con la presa del potere da parte del Partito di Rinascita Islamico (IRTP). La caduta del regime nel 2001 poi spostò il fardello sulle spalle di Washington, almeno fino allo scorso agosto. Sempre secondo Cooley in questi ultimi anni la SCO non ha mai raggiunto una posizione comune sull’Afghanistan perché ognuno dei membri dell’Organizzazione aveva un approccio differente a seconda dei propri interessi. Bisogna poi considerare che con la presenza degli USA sul territorio la questione non è mai stata percepita come urgente. Ora che gli Stati Uniti si sono ritirati l’Afghanistan è invece la preoccupazione maggiore degli Stans. Ma, ancora una volta, non esiste un approccio unitario al problema. Se al momento ci sono Stati come l’Uzbekistan e il Turkmenistan che sono a favore del dialogo con i talebani, il Tagikistan è su posizioni completamente opposte. I primi vorrebbero instaurare relazioni non ufficiali ma quantomeno “ufficiose”, tanto che Ashgabat ha iniziato a dialogare con i talebani prima della presa del potere, mentre il Tagikistan si oppone a qualsivoglia tentativo di dialogo o riconoscimento, come espresso da Rahmon nel summit della SCO organizzato il mese scorso. Intanto il Kazakistan è intenzionato a stabilire contatti commerciali con il nuovo regime. Si delinea quindi una situazione divisa come al solito, ma con un sostanziale fattore: in Tagikistan ci sono basi militari russe e cinesi e il confine tra Afghanistan e Tagikistan è il più suscettibile agli avvenimenti a Kabul. Un effetto spillover a Dushanbe rappresenta in potenza una minaccia per tutta la regione, con una ragionevole certezza che Russia e Cina vengano coinvolte.
Cosimo Graziani
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