In 3 sorsi – Tra un’opposizione interna al collasso e la crescente preoccupazione della comunità internazionale, il Nicaragua procede verso elezioni il cui esito sembra essere già annunciato. Intanto il clima di tensione non accenna a placarsi.
1. LA CONTROVERSA REALTÀ ELETTORALE
È tempo di convenire alle urne anche in Nicaragua, dove il 7 novembre si designeranno il Presidente della Repubblica, 92 deputati dell’Assemblea Nazionale e 20 deputati del Parlamento Centroamericano. Il calendario elettorale, già ampliato per accogliere le raccomandazioni del Ministero della Salute rispetto agli sviluppi pandemici, si chiuderà il 25 novembre con la proclamazione del Presidente e dei deputati entranti. La realtà elettorale nicaraguense, però, è molto più composita di quanto non appaia: 39 figure di alto livello provenienti dall’opposizione detenute su accusa di cospirazione e tradimento, partiti e organizzazioni della società civile privati di accreditamento legale, e una performance economica in declino sono solo alcuni dei fattori che contribuiranno a rendere le prossime elezioni terreno di scontro.
Fig. 1 – Dimostrazione di cittadini nicaraguensi in Costa Rica – tra le principali destinazioni dell’emigrazione nicaraguense
2. COME SIAMO ARRIVATI A QUESTO?
Nel quadro elettorale emergono diverse organizzazioni politiche, ma le capacità che queste hanno di incidere sugli esiti delle votazioni sono esigue. Lo scenario più probabile, invece, vedrebbe emergere ancora una volta il Fronte Sandinista di Liberazione nazionale (FSLN), nella figura di Daniel Ortega per la carica di Presidente e della moglie Rosario Murillo in qualità di vicepresidente. In questo caso si tratterebbe del quinto mandato presidenziale per Ortega, che ricopre tale carica in maniera ininterrotta dal 2007, a seguito di una riforma costituzionale che ha visto la rimozione dei limiti di mandato.
Grande assente è Cittadini per la Libertà (CxL) – principale partito d’opposizione, – al quale lo scorso agosto è stata revocata la personalità giuridica. Tra chi avrebbe dovuto partecipare alle elezioni, ma di fatto vi farà solo da spettatore, figura pure Cristiana Chamorro, figlia dell’ex-Presidente Violeta Chamorro che nel 1990 interruppe la prima esperienza al Governo di Daniel Ortega. Aspirante candidata alla presidenza, Chamorro è stata posta agli arresti domiciliari nel mese di giugno e successivamente rinviata a giudizio su accuse di riciclaggio, suscitando segnali di disapprovazione. Inoltre tra le forze dell’opposizione si fa strada l’idea che i candidati rimanenti facciano capo a partiti collaborativi col Governo in carica, precludendo così la possibilità che l’opposizione si configuri in maniera solida e coerente. Le misure draconiane introdotte dal Governo Ortega hanno progressivamente eroso gli spazi democratici, ma la crisi in cui versa il Paese non è unicamente frutto di accadimenti recenti. Il Patto Alemán-Ortega del 2000 – istituito dagli allora leader del PLC e del FSLN – fu l’epitome del progressivo annullamento dell’opposizione, dacché la legge elettorale rafforzò il bipartitismo, contribuendo alla perdita di prospettive pluraliste all’interno del Paese. Eventi più vicini, poi, mostrano che l’opposizione presso la società civile ha vissuto un’esperienza analoga. Le proteste dell’aprile 2018 crebbero in misura tale da generare una escalation di violenza prontamente contenuta dal Governo. La forza emergente del 2018 avrebbe potuto ispirare una rivitalizzazione del sistema politico, ma il collasso dell’opposizione risultante dalla forte repressione del Governo ha impedito che queste iniziative confluissero in un programma coerente. Qualcosa, però, si muove nell’opinione pubblica: i sondaggi mostrano cittadini consapevoli del fatto che Ortega abbia maggiori possibilità di essere rieletto, ma esprimono pure giudizi poco favorevoli rispetto alle figure attualmente al Governo.
Fig. 2 – Managua, 25 febbraio 2020: manifestanti dell’opposizione durante protesta
3. SUL FRONTE INTERNAZIONALE
Nel frattempo, seppure si denoti una preoccupazione crescente, la comunità internazionale non è giunta a una risposta concertata rispetto alla situazione in Nicaragua. L’Amministrazione Biden riconosce l’America Centrale come una delle aree da attenzionare maggiormente, ma gli strumenti a disposizione sono limitati. Anche l’Unione Europea ha imposto sanzioni mirate, però questi sono mezzi per raggiungere un fine che tuttora non è chiaro, e che spesso sortiscono l’effetto di generare coesione negli ambienti governativi interessati. Il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione per la protezione dei diritti umani in Nicaragua, e lo stesso ha fatto l’Organizzazione degli Stati Americani, ma dopo l’esperienza in Bolivia le possibilità che quest’ultima svolga un ruolo costruttivo in Nicaragua sono notevolmente ridotte. Mentre dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea si levano voci di critica che denunciano la perdita di credibilità e trasparenza del processo elettorale, per notare dei cambiamenti bisognerà forse attendere un’azione coordinata a livello regionale dagli Stati che maggiormente risentono degli sviluppi in Nicaragua. Intanto sulle elezioni di novembre non si aprono ulteriori prospettive.
Annagrazia Caricato
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