Caffè lungo – In molti Paesi dell’America Latina e del Centro America la libertà di stampa è sempre più oppressa e i giornalisti sono vittime di minacce, violenze, rapimenti e omicidi.
LIBERTĂ€ DI ESPRESSIONE DEI GIORNALISTI A RISCHIO
Negli ultimi anni si è verificato un peggioramento della libertà di espressione dei giornalisti in America Latina e del Centro America. Stando all’indice di Reporters Without Borders (RSF) 21 Paesi della regione si ritrovano in condizioni preoccupanti. RSF classifica la libertà di espressione in 5 categorie: buona, soddisfacente, problematica, difficile, molto seria. Secondo le analisi dell’organizzazione, nessuno Stato dell’America Latina presenta politiche nazionali sufficientemente soddisfacenti da collocarlo nella categoria “good situation”. Ben 14 Paesi, invece, rientrano nelle categorie “difficult situation” e “very serious situation“. I dati di Rerpoters Without Borders vengono confermati dai recenti attacchi alle attività giornalistiche nella regione. Dal 2020 a oggi sono stati registrati circa 174 episodi di violenza: omicidi, scomparse forzate, rapimenti, incarcerazioni. Quattro Paesi rappresentano il 67,8% degli attacchi: Haiti (10), Messico (77), Nicaragua (12), Venezuela (19). Tra i casi di maggior deterioramento della libertà di espressione figurano l’Argentina, l’Ecuador e il Nicaragua. Il Brasile, invece, dimostra come politiche mirate migliorino la qualità della libertà .
Fig. 1 – Il Presidente del Nicaragua, Daniel Ortega, all’inaugurazione della presidenza in Venezuela di Nicolas Maduro nel 2019
CASI DI SOPPRESSIONE IN AMERICA LATINA: BRASILE, ARGENTINA, ECUADOR E NICARAGUA
Dall’ascesa come Presidente dell’Argentina, Milei è considerato uno dei principali responsabili dell’insicurezza e repressione della libertà di espressione per giornalisti e media. Durante il suo mandato è stata emendata la Ley de Servicios de Comunicación Audiovisual del 2009, permettendo la formazione di monopoli di compagnie televisive e di comunicazione, e indirettamente minando la posizione dei giornalisti. Inoltre, secondo i dati del Foro de Periodismo Argentino, nel suo primo anno di presidenza si sono verificati 178 casi di censura, abusi, attacchi verbali, violenze fisiche e azioni volte a limitare l’accesso all’informazione pubblica. Ciò rappresenta un aumento del 53,5% rispetto al 2023 e del 102,3% considerando il 2022. Il Presidente Milei ha anche richiesto tagli al personale di canali televisivi e radio nazionali come Radio Nacional, Canal 7, Encuentro e Paka-Paka TV. Reporters Without Borders ha dichiarato che la qualità della libertà di espressione in Argentina è passata da una “satisfactory situation”, al 40esimo posto, a “problematic situation“, in 60esima posizione su 180. In Ecuador, invece, la situazione ha richiesto l’intervento della Comisión Interamericana de Derechos Humanos (CIDH) a gennaio 2025. L’azione della CIDH era soprattutto di carattere tecnico-assistenziale nei confronti del Governo ecuadoriano ed era dovuto al deterioramento della libertà di espressione e della sicurezza fisica dei giornalisti. La CIDH ha dato sostegno in diversi ambiti, tra i quali la riforma del Meccanismo di Prevenzione e Protezione del Lavoro Giornalistico (2022) e il monitoraggio di organizzazioni criminali che minacciano e attaccano i giornalisti. Infatti, il Consejo de Comunicación de Ecuador ha dichiarato che solo nel 2021 erano stati assassinati 11 operatori dei media. La situazione è degenerata nel 2024 con 131 avvisi di aggressione e almeno 15 giornalisti forzati all’esilio. RSF considera la situazione in Ecuador come “difficile”, portandola in classifica dal 60° posto nel 2023 al 110° nel 2024. L’impunità dei crimini contro i giornalisti, la presenza di ostacoli economici e la delegittimazione dei media indipendenti sono tutti elementi che hanno contribuito al declassamento dell’Ecuador. Infine, il Nicaragua è il più estremo dei tre casi analizzati. Con una libertà di espressione pressoché estinta, il Paese rappresenta il secondo dei peggiori nell’America Latina, superato solo da Cuba (secondo RSF). A confermare l’analisi è anche Freedom House, che inquadra il Nicaragua come Stato “not free”, al pari di Burundi, Laos e Ciad. Sulla libertà di espressione, in particolare, afferma che la sua repressione è dovuta al regime di Ortega, al Governo dal 2007. Alcune azioni politiche di Ortega includono incarceramenti, censura, limitazioni alla produzione di materiali per il lavoro dei giornalisti, criminalizzazione del dissenso mediatico tramite la Ley Especial de Ciberdelitos (2020). Lo scorso anno il Governo ha espulso dal Paese almeno 46 giornalisti, mentre sono 81 i casi di infrazione del diritto alla libertà di stampa documentati.
Fig. 2 – La veglia a Quininde, in Ecuador, per il giornalista Patricio Aguilar, ucciso il 4 marzo 2025
TREND POSITIVO PER DIVERSI PAESI
Solo 5 Paesi presentano delle politiche nazionali “satisfactory” per proteggere la libertà di espressione: Giamaica, Trinidad e Tobago, Costa Rica, Suriname e Repubblica Dominicana. Nonostante ciò, ci sono altri 9 Paesi che, secondo Reporters Without Borders, hanno migliorato il proprio impatto sulla libertà di espressione. Tra questi sono degni di nota i Paesi in “difficult” e “very serious situation”, come: Messico, Honduras, Cuba, Venezuela. Ultimo degno di analisi è il Brasile, il quale, come il Nicaragua, ha ricevuto la visita CIDH, con lo scopo di valutare l’avanzamento nella protezione della libertà di espressione dei giornalisti e di monitorare l’elaborazione di due disegni di legge, i cui obiettivi erano la riduzione della possibilità di monopolio per la prestazione dei servizi e la responsabilizzazione degli utenti sulle piattaforme digitali. A febbraio del 2025, quindi a più di due anni dalla proposta dei disegni di legge, non è stato ancora raggiunto un accordo.
Sebbene gli esiti positivi in molti Paesi, quindi, nell’America Latina prevale ancora la repressione della libertà di espressione. Il miglioramento nella protezione dei diritti non è costante, né tantomeno omogeneo, ma è comunque possibile intravedere cenni di progresso.
Juan Pablo Bautista Morales
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