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La sfida di Amel contro l’abbandono scolastico dei bambini siriani in Libano

Storie A partire dallo scoppio della guerra in Siria, il Libano è stato uno dei Paesi che ha accolto il maggior numero di profughi in rapporto alla popolazione. La situazione, ad oggi, è particolarmente drammatica soprattutto per le donne e i bambini.

AMEL

Donne e bambini rappresentano la maggioranza dei profughi siriani in Libano, ed è proprio verso di loro che in questi anni le varie ONG internazionali e locali hanno indirizzato i loro progetti. In particolare, l’organizzazione non-governativa libanese “Amel International” ha risposto alla crisi siriana nel 2012 iniziando a creare dei progetti nell’ambito della sanità, della formazione professionale, della protezione dell’infanzia e delle donne. Come afferma la stessa ONG la crisi siriana in Libano è prima di tutto una crisi dell’infanzia e della gioventù. L’arrivo di un numero elevato di bambini e ragazzi ha causato il collasso del sistema della scuola pubblica libanese che già versava in pessime condizioni per la mancanza di fondi e il ridotto numero di insegnanti. Ad oggi solo il 48% dei bambini siriani va a scuola e i tassi di abbandono scolastico sono altissimi. Tutto questo, secondo la visione di Amel, è una minaccia ad una generazione intera che viene privata dei suoi diritti fondamentali, uno tra tutti quello all’educazione. Per fronteggiare questa minaccia, negli ultimi anni Amel ha portato avanti diversi progetti educativi sulla base della forte convinzione che “l’educazione è il primo baluardo contro l’estremismo, la miseria sociale e la violenza”.

Fig. 1 – In classe! (Copyright: “Joséphine Bichareil for Amel Association International”)

IL PROBLEMA DELL’ABBANDONO SCOLASTICO

Ne parlo in modo approfondito con il responsabile dei progetti educativi di Amel, Lucas Wintrebert, il quale mi spiega che buona parte dei progetti si rivolgono al sostegno contro l’abbandono scolastico. Mi racconta che i bambini siriani hanno problemi a stare a scuola dovuti al ritardo accumulato a causa della guerra e dell’esilio, ai traumi psicologici, alla discriminazione che subiscono costantemente e alle difficoltà economiche delle famiglie. Inoltre, un altro aspetto da tenere conto è il fatto che in Siria la scolarizzazione è in lingua araba mentre in Libano si iniziano ad insegnare le lingue straniere fin da subito. Tutto questo porta i bambini a sentirsi indietro e molto vulnerabili.

“Nei due centri a Beirut situati nei quartieri di Haret Hreik e Ain el Ramaneh e nella scuola pubblica di Choukine nel distretto di Nabatiye, organizziamo, durante tutto l’anno scolastico, delle attività di aiuto compiti e supporto scolastico a bambini integrati nella scuola pubblica libanese. Durante l’estate, invece, si approfondiscono diverse materie come matematica, scienze, arabo, inglese e francese con dei programmi specifici per ogni classe in modo da preparare al meglio i bambini quando ricominceranno la scuola. Inoltre, organizziamo attività ricreative e culturali anche in collaborazione con i nostri partner, tra cui l’agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo”. Lucas prosegue dicendomi che una parte fondamentale di questi progetti è l’aiuto psicologico in quanto “molti bambini hanno traumi causati dalla guerra, dalla violenza di cui sono vittime a casa o a scuola e dagli abusi sessuali”.

Fig. 2 – Ogni giorno c’è sempre una sfida nuova (Copyright: “Joséphine Bichareil for Amel Association International”)

PARRAINAGE

Chiedo a Lucas di parlarmi più nello specifico del progetto “Parrainage” di cui ho avuto esperienza diretta come volontaria nel centro di Haret Hreik. “Questo progetto è nato da un’idea di Pierre Lacoste, pastore della chiesa protestante francese a Beirut e amico di Amel che nel 2014 ha iniziato a mobilitare una rete di contatti tra le famiglie della comunità protestante francese per fare in modo che ogni famiglia potesse sostenere l’educazione di un bambino siriano. All’inizio il progetto è cominciato con venti bambini e adesso siamo arrivati a 150”. Gli chiedo se si sentono soddisfatti del lavoro svolto e dei traguardi che hanno raggiunto. “Ogni giorno c’è sempre una sfida nuova. I bisogni sono immensi, ci sono ancora tantissimi bambini che non vanno a scuola e che avrebbero bisogno di un aiuto ma i fondi sono limitati e non possiamo fare di più. Per questo è stata aperta una campagna di raccolta fondi. Tuttavia, ripensando a come siamo partiti e vedendo il progetto adesso non possiamo che esserne orgogliosi. La cosa più importante è aver creato un posto dove i bambini si sentono veramente al sicuro, rispettati ed ascoltati”.

Mi dirigo verso il centro di Haret Hreik per avere più informazioni sul progetto. Al quarto piano dell’edificio, oltre alle classi dove i bambini fanno lezione, si trova l’ufficio della direttrice sociale, Suha Hussein. Mi spiega, innanzitutto, che il centro accoglie ad oggi 150 bambini divisi in varie classi in base all’età. Vengono qui per tre ore il lunedì, il mercoledì e il venerdì pomeriggio dopo la scuola. Tutti i bambini provengono dalla periferia sud di Beirut e il 90% di loro sono siriani, ma ci sono anche libanesi e bambini di altre nazionalità come sudanesi e palestinesi che abitavano in Siria. Alla domanda su quali siano i maggiori problemi che affrontano questi bambini mi risponde che “oltre al peso di aver dovuto cambiare paese e di doversi ambientare in un contesto di vita totalmente differente devono anche affrontare i problemi a scuola. C’è molto abbandono scolastico ed è per questo che Amel ha a cuore l’educazione perché è alla base di tutto, se no sarebbero bambini perduti, come i tanti che si vedono nelle strade di Beirut. Inoltre, le famiglie non possono permettersi un insegnante privato. Così questo centro diventa una grande opportunità per loro”. Tra gli altri problemi c’è quello della violenza domestica. Suha mi spiega che “anche i genitori si devono riabituare ad una vita che è totalmente diversa da quella che conducevano in Siria. Vivono spesso in condizioni precarie e ciò porta ad una tensione che sfocia in casa”. Un altro problema dei bambini siriani, mi dice Suha, è il lavoro minorile. Molti ragazzi tra i 12 e i 18 anni lavorano nei giorni in cui non vengono al centro per aiutare i genitori che non riescono a guadagnare abbastanza. Tutto questo, però, rende la loro vita molto pesante perché devono studiare e lavorare allo stesso tempo.

RISULTATI

Chiedo a Suha quali siano i successi di questo programma. Lei sorride e mi risponde entusiasta che si i risultati positivi si vedono nel rendimento dei ragazzi a scuola; molti di loro hanno iniziato a passare gli esami di fine anno. Inoltre, si vedono i risultati anche a livello psicologico, ma di questo non riesce a parlarmi perché siamo interrotte dall’orda di bambini che entra in aula. Manca un quarto d’ora all’inizio delle attività. Le chiedo velocemente qual è il problema più grande che affronta ogni giorno e lei con rammarico mi dice “il numero limitato di studenti che possiamo accogliere. Là fuori ci sono molti più bambini che avrebbero bisogno ma noi non riusciamo a garantire un numero maggiore. C’è un lista di attesa infinita di genitori che vorrebbero mandare qui i loro figli e che ogni giorno mi chiamano per sapere se si è liberato un posto”.

La psicologa del centro, Mirna Deeb, durante il programma estivo si occupa delle attività ricreative continuando, comunque, il lavoro di supporto psicologico tramite le sessioni individuali con i bambini. “All’inizio è stato difficile avere la loro fiducia. Non volevano parlare con me di quello che gli era successo e dei loro problemi. Allora gli ho raccontato la mia storia e le difficoltà che anche io ho superato grazie alla psicologia. In questo modo hanno trovano in me una persona di fiducia, con la quale possono esprimere i loro sentimenti. Adesso se hanno un problema vengono subito da me”. Chiedo anche a lei quali siano le maggiori problematiche legate a questi bambini. “In primo luogo la discriminazione e il razzismo che vivono a scuola in quanto siriani, a volte da parte delle stesse insegnanti. In più c’è la violenza in famiglia: i genitori sono spesso aggressivi con i figli e poco affettuosi. Lavorano tutto il giorno e tornano tardi quando i figli sono già a dormire quindi non li vedono, e per questo sono abbandonati a loro stessi. Per aiutare i genitori ad entrare più in contatto con i loro figli organizzo degli eventi di sensibilizzazione su diverse tematiche quali i diritti dell’infanzia e la comunicazione non violenta”.

L’EREDITA’ DELLA GUERRA

Molti di questi bambini, inoltre, hanno dei traumi legati alla guerra come, mi racconta Mirna, un bambino che in Siria rimase traumatizzato dai cadaveri che aveva visto, sviluppando così diverse patologie. Aveva una paura folle del buio e non parlava più con nessuno. È stato quattro mesi chiuso in casa senza uscire. Adesso è stato spostato in un altro centro ed è riuscito a superare alcuni dei suoi problemi. Come lui molti altri bambini hanno beneficiato delle sessioni individuali come, ci tiene a raccontami Mirna, una ragazza siriana di 12 anni che dopo la morte del fratello maggiore e di quello appena nato iniziò a sentirsi depressa. In classe stava sempre da sola e a volte scoppiava a piangere all’improvviso. Mirna ha iniziato a lavorare con lei nelle sessioni individuali e durante le attività ricreative cercava sempre di proporre dei giochi di gruppo in modo da coinvolgerla nella classe e farla sentire accolta e al sicuro. Oggi ha completamente superato i suoi traumi e ha deciso di fare la volontaria nella Croce Rossa libanese perché quando aiuta gli altri si sente bene e si sente utile. Da grande sogna di fare il medico e di lavorare nelle ONG per aiutare la popolazione siriana e le persone più povere.

Mi affaccio in una delle classi. I bambini seduti ai loro banchi mi salutano alzando le mani e mandandomi grandi sorrisi. Sorrisi di speranza per una generazione che Amel sta contribuendo a salvare. Una generazione che sarà chiamata un giorno a ricostruire la Siria.

Beatrice Morlacchi

Copyright immagine di copertina: “Joséphine Bichareil for Amel Association International”

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